L’Esperto

 

Rubrica di expertise gratuite


Rubrica di expertise gratuite

Autore: prof. Antonello Ferrero
Prof. d’arte e antiquariato ai sensi della Legge 14-2-2013 comma 1-2

In collaborazione con il Museo del Collezionista d’Arte – Metodi Scientifici d’accertamento, Milano


Hai ereditato o acquistato un oggetto e vuoi sapere quanto vale? Inviaci una richiesta di expertise gratuita!
• E-mail: info@lagazzettadellantiquariato.it
La richiesta di expertise deve essere completa di: foto dettagliate dell’oggetto; misure precise; firme e marchi (ove presenti).
Si dichiara che i pareri esposti nella rubrica sono espressi dallo scrivente in ottemperanza della Legge 14 Gennaio 2013 n° 4 in materia di professioni non organizzate in Ordini o Collegi.


Gentili lettori, stante il crescente numero di expertise che ci pervengono quotidianamente, vi informiamo che tutte le richieste saranno soddisfatte ma che potranno passare anche due/tre mesi dal vostro invio del materiale.
Le risposte, a meno di casi particolari – ritenuti tali dal prof. Antonello Ferrero – verranno date esclusivamente attraverso la rubrica “L’Esperto” pubblicata su www.lagazzettadellantiquariato.it. Pertanto, per poter rimanere aggiornati circa l’uscita periodica di nuove expertise, vi consigliamo l’iscrizione alla nostra newsletter gratuita.


Non so come, si è sparsa la voce che il perito sia un veggente. Non è vero! Per valutazioni corrette servono più foto degli oggetti: fronte, retro, sotto, interni. Inoltre non risponderò più a quesiti su oggetti, quadri, mobili, mancanti di misure. A.F.


Luglio 2024


La dottoressa Laura De Properzi da Ciampino (RM) manda una serie di reliquie di vari santi di epoca ottocentesca in cattive ed impubblicabili immagini, che già dalla vista delle teche-contenitori (addirittura eguali), denotano la loro dubbia origine. Sicuramente la dottoressa le ha acquistate in rete dove deambulano dei veri e propri professionisti delle reliquie false (che ostentano particelle di ossa, vesti, sangue, terre, legni o presunti tali in quantità minimesimali) di beati, di santi e addirittura di cristi e di madonne, poste in teche-contenitori che sono copie tra loro. Ebbene, in mezzo secolo di studi patristici e curatore di chiese e musei ecclesiali non ho mai – e dico mai! – visto un contenitore di reliquia eguale ad altro con venerati diversi di epoche anteriori il XX secolo. Allora, il consiglio a lei Laura e ai fedeli lettori è di non comprare reliquie né in rete né altrove se non ne capite abbastanza. Inoltre, e rispondendo al suo altro quesito: le sole certificazioni scritte e redatte (senza bolle plumbee o in metallo) delle reliquie ordinarie (ma senza reliquia) non costano sui 1.000 euro l’una (cifra raggiungibile solo da “grandi santi particolari” (tipo S. Francesco d’Assisi o santi papi antichi) come dettole dal solito “antiquariuciuccio” o scaltro individuo tale qualificatosi, ma ordinariamente sui 50/100 euro.


Signora Elena Colli, i suoi quadretti a firma Rech sono stati eseguiti da uno di quei decoratori sconosciuti da “fiera e mercato” che – e lo scrivo da decenni – lavoravano per conto di quei mobilieri che accompagnavano in omaggio alle loro vendite dette opere, oppure sono quadri realizzati per negozi di corniciai o regali per la casa. Dagli anni 50 fino agli 80 e anche 90 del ‘900, questi decoratori hanno imperversato in Italia con opere per la maggior parte prive dei canoni artistici pur a volte non mancanti di una certa leziosità e piacevolezza, ma certo per arredamenti sommari e/o seconde case “a rischio furto”. Naturalmente, esse non hanno valore che di poche decine di euro cornici comprese, da mercatini.


Il signor Piero Molin Pradel manda foto di una coppia di sedie (h 92 cm) della fine dell’Ottocento. Dalle cattive immagini non si evince chiaramente se siano in stile Luigi Filippo – prodotte da fabbriche sorrentine se ad intarsi – o se siano state realizzate in aree piemontesi o venete, se lumeggiate e dipinte ad oro matto. In ambedue i casi, per il loro buon stato di conservazione valutato solo dalle immagini, valgono sui 300/400 la coppia.
La tela (cm 60×80) a firma Guido Gnocchi (1917) acquistata, credo, a caro prezzo nel 1965, oggi purtroppo, gentile lettore, ha una quotazione sui 150 euro (grazie alla leziosa cornice di accompagno).


Signora Anna Ragghianti, la firma L. Accarisi (Ludovico Accarisi, nato nel 1867-68 da una famiglia di orafi – argentieri, suppostamente venuto a mancare nel ‘900 poiché non ho altre notizie certe) non mi convince con l’abbinamento al tratto disinvolto e poco curato dell’opera presentatami, nonostante, e con lei concordo, essa abbia un che di piacevole e di pregio. L’Accarisi era pittore di vecchia scuola ritrattista e attento e “fotografico” dei particolari, cosa che non si evince nel suo dipinto che, anzi, sembra un veloce bozzetto per opera ulteriore. Neanche ho prontuari che me ne indichino la verosimiglianza della firma o artista diverso da abbinare. Naturalmente, non stiamo parlando di valori economici ma solamente estetici e personali.


Professor Giovanni Catena, mi spiace che lei abbia inteso la mia risposta personale “inadeguata” e financo “offensiva”, e le voglio fare pubblicamente le dovute scuse se a lei tale è apparsa.
Il dipinto ad olio del suo amico Carlos, che non pubblico come richiesto, aveva suscitato le mie perplessità nonostante la datazione apposta sul frontale della tela, per via della visura della sua trama visibile al retro che rivelava una tessitura con telaio meccanico dell’Ottocento inoltrato e novecentesco.
Lei – esimio (nel senso antico del termine) professore d’arte di Istituto secondario e, ci mancherebbe, degno di ogni stima per il suo gravoso e benemerito impegno che io non mi sono mai neanche sognato di svilire e offendere – aveva ipotizzato che fosse opera del Francesco Colussi, pittore di Ospedaletto-Gemona (UD) operante nella Carnia e nel Cividalese tra il 1774 ed il 1801, a cui invece secondo me non corrispondeva la stesura pittorica veloce e “mestierante” espressa nella tela.
Inoltre, mi permetta una piccola dissertazione sulla firma “An.as F.C ad sim.a 1789” che, a mio avviso, esprime appieno quel “F.C” usato per “Faciendum Curaviti (ovvero Fece Fare) e quindi “Andreas (committente) fece fare “ad similia” (come simile ad altro dipinto del 1789). Naturalmente la mia è un’ipotesi basata su altre analoghe firme pittoriche visionate in oltre mezzo secolo, ma sempre suscettibile di errore. Spero di essermi spiegato e, ripeto, da esperto di carta o cartone – se si vuole – qual sono.


Signora Vanessa Guarnera, il suo contenitore intarsiato per liquori (cm 30x30x25) con relative 4 bottiglie e 12 bicchierini in cristallo degli anni 70-80 del ‘900 vale solo sotto il profilo arredativo, poiché il suo uso è prescritto nei tempi e il cristallo oggi lo “regalano” anche i cinesi. Valore 150/200 euro, per darle un riferimento sommario.


Signora Magda Moro, interessante la sua cornice con attestazione del Sacro Ordine Militare della Mercede fondato da Pietro Nolasco nel XIII secolo e avente per scopo la liberazione, l’affrancazione e la redenzione degli schiavi dei mussulmani. Decaduta la schiavitù l’Ordine ha avuto varie vicissitudini su cui non posso, per motivi di spazio e tempo, qui discettare. Le posso solo fornire per ulteriori informazioni l’indirizzo romano dell’Ordine che è in Via Carmelo n.3 ma che non fornisce altri contatti. V’è però la chiesa – parrocchia postulante l’Ordine in Roma a S. Maria della Mercede e Sant’Adriano, via Basento 100 – 00198 Roma, tel 06-8554648 – 8840353, cui potrebbe rivolgersi.
Circa il suo attestato con cornice in lamierino di rame o argento (cm 77×90), le impossibili da decifrare foto inviate non mi consentono altro se non di stabilirne il valore collezionistico che per simili attestati ottocento-novecenteschi è di 250/400 euro.


La signora Barbara invia una “stampa” (cm 40,5×50,5) in offset ,un procedimento di stampa ove la matrice – in alluminio – non inchiostra la carta ma un supporto di caucciù che a sua volta inchiostra la carta o il materiale in cui si intende depositare. Parlo di “stampa” e non di litografia, come furbescamente scrivono gli aventi diritto a stampare tali opere, perché le litografie per avere senso e valore dovrebbero riportare una tiratura dichiarata che le offset non hanno. La sua opera – originale, lei scrive – di Picasso è un prodotto editoriale di migliaia(?) di copie che ha valore solo quando la si compra convinti di avere fatto un investimento, e così non è! Come potrà appurare anche in rete le offrono a 50/100 euro e non consiglio ad alcuno di comprarle.


Il signor Edoardo pone alla mia attenzione una caraffa – lui scrive – ereditata dal nonno, che ha il vago sentore di una olpe greco-etrusca. Naturalmente, è per me una copia e niente affatto un reperto archeologico che avrebbe bisogno di una notifica alla Sovrintendenza dei Beni culturali per poter essere detenuto e un mio allertare gli organi preposti per tale domanda ricevuta. Il suo valore è quindi quello modesto di una copia. Fosse autentica la valuterei – beh! non proprio io ma l’art. 91 del Lgs 42-2004 – con una reclusione sino a 3 anni ed euro 516,50 di multa. Eh… lo so! sono quei 50 centesimi finali che disturbano un po’.


Il signor Gianluca Destro manda in visione una cornice ovale (cm 86×73) in legno dorato e pastiglia di produzione seriale degli anni 50-70 del ‘900. Nello stato in cui la vedo, valore sui 250 euro.


Signora Claudia Cardia, il suo arazzo sardo in lana (cm 202×73,20) ha una valutazione attuale di mercato di 300/350 euro. I mobili in stile purtroppo, seppur in castagno massello: il tavolo (cm 246×79) e la credenza (cm 237×45), non valgono che sui 300/400 euro cadauno e a comprarli invece saranno costati certamente una discreta cifra. Purtroppo è questo oggigiorno il mercato!


Signor Federico Buzzati, innanzitutto le dico che posso darle solo un giudizio sommario. Lei spedisce due opere senza particolari e senza la visione del retro (tela e telaio) ed io posso unicamente parlare del figurativo presentatomi. La prima, un bozzetto senz’altro italiano (cm 24×40) del 600-700, valore tra i 600 e gli 800 euro; la seconda (cm 68×82) scuola emiliana – fiorentina (?), epoca non accertabile dalla foto, forse 700 fine, forse sui 2.500/3.500 euro.


L’affezionato lettore Roberto Contisciani presenta alla mia attenzione 6 tazze e relativi piatti in stile Satsuma, quindi del Giappone (scritta: Dai Nihon Satou), con timbro spurio non identificato. Valore sugli 80/120 euro per il buon livello decorativo.


Signor Alessandro, le pessime foto inviate non mi consentono che un giudizio di “primo acchito”. I suoi vasi sono eclettici di area non italiana, forse francesi, forse dei primi del 900. Purtroppo tali tipologie non sono affatto richieste dal mercato. Valore, per la grandezza e solo a livello d’arredamento, sui 300 euro la coppia.


Signori tutti, per spazio e prassi lavorativa, non posso occuparmi di expertise che richiedono prolungati studi e ricerche. Il rispondere a decine e decine di quesiti, sia pur risolti in maggioranza in email private, richiede ore ed ore di impegno, e più di tanto non posso. Grazie


E come sempre, un saluto a tutti e un abbraccio ai pochi!



Giugno 2024


L’attento e fedele lettore Giuseppe Rigolli mi manda delle gouache del Francesco Guardi (1712-1793), insigne pittore veneziano; egli ipotizza siano autentiche benché abbia ricevuto da un suo amico collezionista e professore d’arte un diniego netto a tale conclusione affermando – giustamente – come le opere, essendo propriamente “delle chine acquarellate”, avrebbero dovuto ed essere eseguite su carta “straccia” e “vergellata”. L’uso della pergamena ha poi come indispensabile supporto la carta pesante per aderire, rimanere tesa e non arrotolarsi, e ciò non mi pare risponda ai requisiti delle sue opere che mi sembrano apposte su carta “lucida spessa” ad imitazione della pergamena e propria degli anni 50 -70 del 900. Detto ciò e con precauzione, in quanto potrei valutare con un solo colpo d’occhio la materia di cui si parla… ma dal vivo e certamente non da foto, debbo portarla sul piano figurativo intrinseco e sulla tecnica del pervenutomi. I suoi disegni hanno infatti la mano – veloce – di un bel mestierante che ha una conoscenza e del Guardi e della sua scansione pittorica, ma non è lui! Il tratto è diviso, a piccole curve e sommario nell’esecuzione, apparendo nell’insieme piatto; l’esecutore non ha pause né tentennamenti, opera con padronanza del mezzo in ottima maniera e tanto più trattandosi di materia ostica come l’inchiostro e l’acqua. Plauso… ma da copiatore seriale per gallerie “turistiche”! Insieme a quanto da lei inviato, pubblico un “acquarello a seppia” del Guardi quale esempio; noterà la continuità del disegno statico ma scansionato dal panneggio pittorico in un continuo movimento.
Ed in finis: proprio delle riproduzioni non certamente fatte a trarre in inganno gli specialisti, sono l’apposizione di timbri o pseudo tali. Nel suo addirittura v’è tutto il contorno fatto con un tappo o con un tubo, nitidissimo e a rilievo, senza che all’interno vi sia una sola scritta! E da investigatore mi chiedo: come mai? Ed inoltre sulle pergamene difficilmente possono essere incisi dei timbri “a secco”. Pur bagnandola e usando una pressa, con il tempo ed essendo una pelle animale e colloide il relativo si ridistenderebbe sparendo. Ed infatti le pergamene hanno timbri a fuoco o con ceralacche.

 


Un preparato collezionista, il signor Carlo Crociatelli da Genova, manda in visione il dipinto di un artista conterraneo, l’eclettico e valente Nicola Neonato (1912-2006) che, come lui ben scrive, è stato anch’egli travolto da un mercato ormai “stravolto”. Mi vergogno quasi ad indicare per il suo olio (cm 40×60) una valutazione di 70/100 euro, ma d’altronde non è il povero (o ricco che sia) perito a determinare ciò ma il funesto mercato attuale.
Per quello che concerne le sculture in legno: non mi dicono nulla sotto il profilo artistico e né altrettanto dicono ai miei prontuari in cui non compare il nome dell’artista firmatario Nava.


Il signor Vincenzo Moschetti manda foto di un’opera (cm 36×26) con la scritta incisa in metallo (fuori tela sulla cornice) ed indicante H.C Camille Delpy (1842-1910) artista impressionista francese ma anche H.C ovvero in gergo tecnico: Horse Commerce ovvero fuori commercio, ovvero una stampa non in vendita in possesso dell’artista. Ma dalla visione dell’opera del signor Vincenzo non si evince per fattura l’appartenenza pittorica all’artista detto! Cos’altro dire da visione cartacea?
Circa l’altro quadretto (cm 24×17) con firma a me sconosciuta di arte moderna italiana del 900, anche qui non sono in grado di esprimere alcunché di valutativo.


Signora Carla famiglia Marchet, la sua credenza in lacca povera (cm 176x104x55) sembrerebbe dalle – mi permetta – non felici foto inviate un mobile di fine Settecento o provinciale dell’Ottocento inoltrato. Lei ha inviato particolari di zone amorfe del mobile e nessuna visione del mobile intero come si deve. Il valore potrebbe essere – non ha craquelure né patine di rilievo – intorno ai 1.000 euro. Ma è un giudizio sommario basato su ciò che ha inviato.


Il signor Alberto Rondalli manda in visione una bella pittura (cm 77×43) dell’attraente Vittoria Rosa Caldoni, l’immaginifica “vignarola” di Albano (RM), modella di innumerevoli artisti italiani e stranieri dell’Ottocento quando Roma era crocevia artistica del mondo. Il suo quesito su chi abbia dipinto la “bella castellana romana” è interessante e meriterebbe uno studio approfondito che purtroppo non ho potuto svolgere. Metterò comunque in archivio la bella immagine, chissà che non mi possa illuminare il continuo vagare tra opere d’arte. Il valore del dipinto, che poteva essere senz’altro più elevato, risente della mancanza della figura intera quasi l’autore avesse una bella mano per i volti e viceversa poca confidenza con i “corpi”, e ci sta: erano non pochi i pittori d’epoca specializzati, chi nei volti, chi nelle mani, chi nelle figure; tante opere venivano portate a termine anche da artisti di fama con l’aiuto di altri autori minori, oppure potrebbe essere che sia un bozzetto, una stesura inerente il volto per poi addivenire ad una sua interezza. E così siamo sui 2.500 euro, anche per l’enorme interesse, ancora, del mercato per la tradizione, la campagna e quant’altro romana di due secoli fa.


Signor Gianmarco Sciarra, la ringrazio per la stima e per essere mio assiduo lettore, il che mi onora, ma venendo all’opera inviatami, un cartone dipinto (cm 52×42) donatole da persona cara con firma non cognibile, devo purtroppo relazionarle che il suo donatore probabilmente è stato indotto in errore sulla valutazione dell’opera o dalla scarsa conoscenza in materia d’arte o da un mercato che negli anni 60-80 (a cui la ascriverei) assegnava a tanti – troppi – artisti quotazioni nell’ordine delle centinaia di migliaia di vecchie lire se non anche superanti il milione per figurazioni leziose magari di impatto arredativo come la sua ma carenti di quei canoni tali da farle assurgere ad opere d’arte. Mi spiace scriverle quindi, anche perché nello stato precario indicatomi, che il suo cartone dipinto non ha alcun valore.


Signora Sonia Pedretti, la Alexanderwerk è una fabbrica fondata in Germania nel 1885 a Remscheid nella Renania, ancora attiva. Produsse macchinette per la vita quotidiana e per le macellerie, ampliandosi poi ad altri accessori d’uso. Oggi li chiamiamo elettrodomestici da lavoro, allora erano oggetti manuali e meccanici con ingranaggi e manovelle. Il suo utensile è sicuramente, come lei ha scritto, un “taglia foglie di tabacco” molto arredativo e in più prodotto di una rinomata ditta: almeno 350 euro il suo valore.


Signora Enza Lucia Vaccaro, sino agli anni 80-90 del 900 tutte le ditte di ceramica-porcellana producenti servizi da tavola lavoravano oltreché industrialmente a caro prezzo anche per alberghi, transatlantici, ristoranti, istituti e privati di ogni genere, che espressamente li richiedevano con loro loghi e scritte sulle produzioni standard. Non faceva eccezione la SCI di Laveno che aveva nel suo fulgore migliaia di operai assunti. La sua ricerca sul piatto da lei in possesso – facente parte di un servizio di bordo di un cabinato Chris Craft americano di proprietà del principe Antonio De Curtis in arte Totò, leggenda della comicità italica – fu appunto ordinato alla società ceramica lombarda, ma il valore di tale superstite stoviglia è relegato e solo al suo passato proprietario che ha tanti e tanti collezionisti dei suoi cimeli. Ora, non risultano dalle mie ricerche – che contemplano bauli, cappelli, panciotti di scene, auto, tagliacarte – piatti di alcun genere da comparare, né saprei indicarle una minima base d’asta. Le consiglio di rivolgersi a gruppi di aficionados del Maestro o a case d’asta che ogni tanto – come la Bertolami di Roma lo scorso maggio – indicono sessioni con ricordi e cimeli di attori e personaggi.


Il signor Andrea Destro manda in visione alcune opere. La prima è un pezzo del 1974 di Ettore Consolazione (1941), artista che non gode di grande mercato, e che vale sui 120/150 euro. La seconda, una lito di Emilio Isgrò (1937), è di tale basso valore, sui 40/60 euro, da non consentire restauri, a meno che lui stesso, per divertimento e passione, non li operi in proprio. La terza, un’acquaforte o lito (cm 52×68) classica, vale poche decine di euro ai nostri giorni. In finis, non riesco a decifrare l’autore dell’interessante “vaso di fiori” del 1920 (cm 45×56), ma potrebbe valere sui 200/300 euro.


Signora Claudia Pisegna, il suo teodolite (misuratore di livellazioni, tracciamenti topografici con gli angoli azimutali e zenitali) non ha marchi di riferimento. Se funzionante, vale sui 350/400 euro.


La signora Lucia Pollini, fedele lettrice ma con l’inveterata abitudine di scrivere non mandando le misure per la valutazione dei suoi oggetti, non riceverà più responsi perdurando la sua ritrosia all’uopo. Rispondo alla valutazione di un’icona moderna priva di misure e di nessun valore, né artistico, né artigianale né economico anche l’avesse, per l’ultima volta.


Signora Annalucia Bigerni a cui sono “simpaticissimo quando mi arrabbio” (“annamo bene…”, si dice a Roma, …e io che mi impegno al contrario!), come ha intuito le sue miniature sono “crosticine”, opere di mestieranti illustratori degli anni 60-70 del 900 per sommari arredamenti e per le pur gradevoli cornici in legno intagliato e dorato. Naturalmente non si parla di valore alcuno.


E come sempre, un saluto a tutti e un abbraccio ai pochi!



Maggio 2024


Ebbene, è d’uopo ricordare ai lettori che l’esperto sottoscritto dà responsi e giudizi da SOLE IMMAGINI e non ha altri elementi se non le poche e quasi sempre scarne notizie che gli forniscono i richiedenti lettori.
Un esperto “vero” esamina de visu le cose: le tocca e soppesa, ne analizza il materiale, i colori, lo stato, e le sottopone – dovendo – anche ad analisi strumentali e di laboratorio prima di pronunciarsi in merito a vetustà, rarità, valutazioni.
Scrivermi: “altri esperti hanno valutato diversamente”, mi lascia nella più completa indifferenza! e per motivi semplici: a) io non sono gli altri, b) sono più preparati. E vi chiedo: ma se erano sì bravi perché vi siete rivolti a me? Non scherziamo… E se volete pareri che vi aggradino appieno parlatene e/o scrivetene a qualcun altro che pagando magari vi accontenterà.
Signora Maria Rosa E. da Genzano (RM), naturalmente svolgere la perizia ereditaria sì vasta e complessa che lei mi detta, esula dai miei compiti e mansioni d’ufficio e di carta attinenti la rubrica.
È un lavoro non semplice, gravoso e di rispondenza notoria e certificata, visto le non comuni vedute degli appartenenti all’asse ereditario. Potrei aderire all’incarico se tale mi fosse conferito unanimemente e/o previo accordo tra le parti che desiderano le mie valutazioni.


Il signor Roberto Bacco invia quesiti su due oggetti. Il primo è una maschera in bronzo firmata e numerata (cm 30x26x15) dello scultore Amedeo Sartori (1915-1962), copia, lui mi dice, di una analoga presente nel Museo Amleto e Donato Sartori ad Abano Terme. Trattasi quindi di multiplo dell’artista (V/5) che penso – in mancanza di quotazioni di mercato – possa valere intorno ai 500 euro (maschere in cuoio dello stesso autore hanno raggiunto in asta aggiudicazioni intorno ai 100 euro).
Il secondo è una bella teiera degli anni 40-50 della SCI di Laveno diretta allora dal valente designer, architetto e ceramista triestino Guido Andlovitz (1900-1971), il cui valore è intorno ai 120/150 euro.


Signor F.mex, secondo me il suo non è un vaso della Venini: bruzzoloso il “pontello”, e mi pare di vedere, dalle pur non eccelse foto, una bolla (una sola quindi un difetto) nella composizione. Ma non è che i vetri possano valutarsi con certezza per immagine, o almeno, non ne sono in grado io. Le fornisco i contatti con la maison Venini per ulteriori conferme: contact@venini.com o WhatsApp 39-0131929859 ore 9-13/14-18.


Il collezionista e mio lettore Roberto Desogus dalla bella città sarda “maremonti” di Quartu S. Elena che invito a visitare, mi propone questa volta due ceramiche. La prima è di Giuseppe Mazzotti (1865-1944) di Albisola detto il “bausin”, caposcuola e fondatore di prestigiose ditte coroplastiche di cui ho avuto modo di scrivere più estesamente sulla rubrica. Si tratta di un piatto a mezzo lustro di 35 cm che ascriverei agli anni 30-40 con un valore di 500 euro.
La seconda è un vaso (32cm) della Fenice di Albisola fondata dal ceramologo, anch’egli di spessore, Manlio Trucco nel 1922; l’opera, firmata “valerisce” – Luigi Valerisce (1921-1922) scultore, pittore insegnante di educazione artistica a Cuneo – fu prodotta negli anni 60 e prima del 1969, anno in cui l’artista lasciò la manifattura Fenice per la Pastorino Ceramiche sempre nella città ligure. Valore 300 euro.


Signor P.T., il suo centrotavola trilobato della Ginori (difficile parlare di periodi con una ditta che ha prodotto gli stessi modelli anche dopo un secolo, e “trafficando” per meglio vendere anche con i marchi) ad occhio e sigla, e comunque ipotizzando gli anni 40-60 – dalle sole immagini non posso specificare – se intonso vale intorno ai 150/250 euro.


Signora Vania Pizzicotti, la sua credenzina da farmacia piemontese-lombarda (cm 230x150x45) è un bel mobile ottocentesco che 15-20 anni fa avrebbe spuntato sui 5.000 euro, oggi 600/900. Purtroppo l’antiquariato ha subito un crollo culturale non più recuperabile e specialmente nella mobilia.
Per il ritratto del prelato suo presunto avo, mi invii altre migliori foto.


E “riecco” quadri, quadretti e quadroni

Faccio una piccola premessa: ai nostri giorni e con l’avvento della tecnologia e del progresso virtuale o meno, sono venuti a mancare insieme agli obsoleti valori di cose come “Patria, Dio, famiglia, amicizia”, anche l’amore per l’arte, l’antiquariato, l’archeologia, la letteratura e la musica classica in parte e quant’altro si addiceva e addice ai vecchi retrogradi e classisti (in cui mi arruolo seduta stante) che adesso vedono solo un’interessata e curiosa conoscenza transeunte e desunta da internet, un vuoto culturale spaventoso e a seguire il disinteresse per mobili e arredi di complemento: quadri, sculture e opere di artigiani e artisti di pregio e valore indiscusso.
La faccio breve e mi si intenda: la pittura dell’Ottocento italiano di maestri minori ma validissimi e a volte superiori ai conclamati ha subito quotazioni al ribasso del 50-70%; la pittura del 900 e dalla sua metà in avanti pagata intorno agli uno, due milioni a suo tempo è scesa ai 100/200 euro di oggi (il costo delle sole cornici!), quando poi si ha la ventura e fortuna di poterla vendere!
Quindi, mi spiace veramente dover comunicare ai lettori richiedenti che le opere nelle loro case, acquistate dai loro genitori o da loro stessi decine di anni fa a migliaia e migliaia di vecchie lire, non valgono più un fico secco. Ma non sono mie le stime, sono di un mercato oramai voltato ad altro: alle scritte ed insegne pubblicitarie, ai barattoli d’olio meccanico vuoti, ai pupazzetti, ai gadget ecc. … un collezionismo povero o di complemento arredativo che non implica conoscenze e cultura ma solo ricerche, e neanche complicate, sul web.


E appunto ecco il signor Daniele che mi chiede lumi su una serie di dipinti (tutti rigorosamente senza misure, tanto non servono! grr!) di cui quattro a firma Lorenzo Palazzi (1921-1990) e altri due di illustri sconosciuti di nessun valore iconografico e/o artistico. I quattro quadri dell’artista livornese in auge furono pagati nel 1976 500 mila lire l’uno, oggi purtroppo girano nel mercato tra gli 80 e i 200 euro al massimo.


 

Il signor Luigi Flisi mi presenta un’opera (“cinghiali”, 1963 cm 60×70) dell’omaggiato autore calabrese, eclettico, poliedrico e una volta “internazionale” Nick Spatari (1929-2020). Ebbene, purtroppo signor Luigi per quadri di dimensioni come il suo le aste odierne relegano l’artista a valutazioni intorno ai 100/150 euro.


Signor Carlo Croc con due quadri (cm 27×33): scena pastorale a firma O. Sornaga, autore a me sconosciuto, valore sui 200 euro; scorcio di paese sardo a firma Giuseppe Scano (1862-1942), importante artista insulare purtroppo anch’egli in calo quotazioni, sui 500 euro in Sardegna, 300 nel “continente”.


Da Torpignattara (Roma), la signorina Ines Perini con una serie di “cose”… quadri, quadri che a suo dire sono in casa, essendo lei giovanissima presumo, eredità della sua “bisnonna” (che viveva in uno dei quartieri più chic di Roma, i Parioli) ed essendo tali senza tema di smentita degli anni 50-60-70, i calcoli sono belli che fatti! Comunque la signorina Ines aggiunge come postilla non affatto necessaria che tali “opere” custodite gelosamente (e ci mancherebbe) hanno avuto negli anni variegate proposte di acquisto addirittura dal cugino della mamma (che svolge la mansione di portalettere) per conto di un importantissimo museo (non lo cita) americano! Ora signorina, lo confesso: quando mi è arrivata la sua mail ho pensato ad uno scherzo (ne fanno… ne fanno) di qualche buontempone che mi sa (o così presume) sempre pronto alla pugna e/o all’occorrenza allo sberleffo dei quanti si affacciano alla mia rubrica più che con gli oggetti, con le dichiarazioni e propalazioni più fantastiche. Questa volta voglio invece pensare ad una persona – lei – così lontana dal mondo dell’arte, ma così lontana da rasentare l’incredibile. Non mi farò fuorviare né dal suo zio di secondo grado postino, né dai suoi rapporti con il famoso museo americano che immagino pagherebbe in migliaia di sonanti dollari le vostre opere avite. E le rispondo pacatamente: sono “cose” fatte a suo tempo – ripeto – da più o meno abili decoratori sconosciuti, per i commercianti di mobili e per ambienti relegati – con tutto rispetto – nelle più remote periferie italiche; di nessunissimo valore, andrebbero smaltiti nell’indifferenziata quanto prima.


Al signor Carlo Crociatelli, fedele lettore e collezionista di garbo ed occhio, devo fare uno dei soliti discorsi non da amante e ammalato d’arte come lui, ma da bieco speculatore della stessa professando la figura dell’esperto che è equiparata e/o equivalente, nelle grevi valutazioni, al mero commerciante. Dunque signor Carlo, Domenico Balbi è stato un valente pittore e incisore italiano (1927-2005) che ha avuto un gran bel mercato con vendite ad alte quotazioni e costanti. Ricordo che negli anni 70 si vendevano bene persino le stampe! Lei ha acquistato, e direttamente dal Balbi, quattro grandi e medi oli e delle incisioni che non sto neanche ad elencare e sottolineare dacché l’artista ha esaurito ai nostri giorni lo slancio vitale ed economico di un tempo. Le sue quotazioni non sono univoche: scendono a 100/200 euro le opere di 20×30 cm e a 300/500 euro le opere da 80-100 cm ma con tanti e tanti “invenduti”, e ciò nelle aste. Nel mercato dei negozi e in rete vi sono viceversa quotazioni di migliaia di euro e di centinaia. Cosa dirle!


Signor L.C., ringraziandola per le gentili parole che ella dedica alle mie “stroncature” di cui paventa con divertimento di poter essere vittima, vengo al suo quesito riguardante un’opera del pittore Hussein Madì (1938-2024) che lei – dopo diverse intelligenti ricerche – ipotizza possa ascriversi ad un periodo primario dell’artista libanese. Il problema però signor lettore è che nell’arte moderna soprattutto, non avendo documentazioni, fatture, certificazioni, bisogna trovare chi sia in grado di poter autentificare l’opera. E gli unici a poterlo fare sono le fondazioni, i parenti o gli studiosi da loro autorizzati. Ma nel suo caso, e attenendomi alle quotazioni base dell’artista (cm 35×40 – 600 euro, cm 50×60 – 1.000 euro, ecc.) nel mercato e nelle aste – a parte le solite sproloquianti valutazioni della rete, dei privati o dei “negozietti” – non le trovo di rilevanza tale da affrontare complicate istanze e richieste agli aventi diritto, tutte rigorosamente a non minimi costi al di là della positività o meno dei responsi, e in finis, per un artista di non primaria importanza né visibilità commerciale.


Signor Rocco, mi spiace informarla che le stampe raffiguranti qualsiasi dipinto come il suo (cm 35×50) con paesaggio non valgono nulla. E anche la riproduzione di un quadro di J. Clouet (1480 1541) eseguito da un copiatore d’arte professionale, tale Max Kolbe, non credo possa valere alcunché in un’epoca crescente di digitalizzazione eseguita con stampanti 3D che riproducono persino i rilievi del colore e della tela.


E come sempre, un saluto a tutti e un abbraccio ai pochi!



Aprile 2024


Signora Ludovica P. da Perugia, per mia somma e imperitura grazia non conosco affatto l’individuo Tommaso Montanaro che mi dice essere storico dell’arte in quel di Siena. Lei me ne parla con dovizia e se mi occupassi di faziosi sedicenti e propalanti stupidità magari potrei spencolarmi vieppiù, ma non è appunto né la mia attitudine né la mia professione. Sono stato vaccinato da antico tempo con lunghi studi al discernimento tra “uomini, mezzi uomini e quaquaraquà” citati dal maestro Sciascia, e così mi mantengo. Punto.


Signora Serenella Cappelli, il suo vaso (cm 23×23) prodotto dalla Rosenthal nel 1974 e ornato dal maestro eclettico artista Bjorn Winblad (1918-2006) vale intorno ai 300 euro.


Signora Sara Tizzoni dalla bella, gaudente, verdeggiante, antica, amiatina a me vicina Castel del Piano (Gr), veniamo ai quesiti dei due quadri che manda in visone: l’acquarello su carta firmato Maria Bandiera 1888 (cm 41×57) ed anche l’altro, non valgono che qualche trentina di euro cadauno per sommario arredamento. Idem il calamaio in onice colorato.
Il ritratto (cm 79×112) dipinto di sua nonna è certamente mano di Giovanni Nicolini (1872-1956), uno scultore che però non disdegnava anche la pittura, specialmente nei ritratti; purtroppo il mercato lo relega a basse quotazioni come oramai tutta l’arte ottocentesca e il valore è quindi sui 400/500 euro.


La signora Riba Odilia invia foto di un vaso (h 32) prodotto dalla ditta Gualdo – Deruta fondata nel 1953 dal grande ceramista Professor Alfredo Santarelli e chiusa nel 1955. Il valore – anche per la forma stereotipata e usuale agli anni detti – non è di grande rilevanza: sugli 80/100 euro.


Signor Franco Bertolini, il suo leone di San Marco intagliato in legno (cm 35×40) e usato come fermaporta in un salone di Palazzo Giovanelli a Venezia, è un classico esempio di artigianato ottocentesco neo-rinascimentale. Non ha purtroppo canoni artistici tali da ascriverlo a nomi o botteghe di rinomanza. Il valore non è rilevante: sui 250 euro o 350/400 se in legno di noce, oggetto per i pochi che ancora ne coltivino l’importanza.


 

La signora Silvia Spignoli dalla mitica Faenza presenta alla mia attenzione un grazioso contenitore per spezie (cm 9x7x4) prodotto dalla MZ cecoslovacca. E dato che sono un fanatico del mio sapere sulla coroplastica le racconterò la sua storia: nel 1909 la banca di Praga Moritz Zdekauer acquista all’asta una fabbrica di ceramiche in difficoltà economiche e crea la “MZ con l’aquila” che diventa un prestigioso marchio di porcellana finissima esportata in tutto il mondo; ciò sino al 1948 circa quando viene nazionalizzata. Nel 1992 la fabbrica torna privata e operativa con il marchio “Starorolsky Porcelan Moritz Zdekauer”.
La signora Silvia si chiede come mai la scritta impressa “Spezie” sia in italiano: ebbene, ciò è usuale. I venditori grossisti, quali essi siano e di che nazione, che ordinano alle ditte estere rilevanti quantitativi di prodotti per la mensa e i casalinghi, fanno apporre sugli oggetti nomi ed indicazioni specificatamente nella lingua del proprio Paese. Pensi se il prodotto fosse arrivato in Italia con la scritta Korenì (spezie in lingua ceca). Il suo manufatto, che lei aveva giustamente rilevato come di estetica déco, è infatti secondo il marchio degli anni 40 . Il valore è purtroppo modesto, sulle poche decine di euro, ma è un bell’oggettino.


Signora Emilia Durante: Chiurazzi è il nome di una famosissima fonderia di Napoli chiusa negli anni 80 del Novecento, ma che ancora astuti faccendieri partenopei tengono aperta “ motu proprio” per vendere a destra e a manca classici modelli in bronzo della tradizione dei Gemito, De Martino, Parente ecc., e a questi fa capo il suo bronzetto patinato (h 38 cm) (fotografato a pezzi… mah!) e firmato lei dice, ma io non lo vedo: De Martino (suppostamente Giovanni 1870-1935), che indico a prezzo da mercato e arredativo sui 400/500 euro. L’altro pezzo della pseudo fonderia detta (16 cm), sui 150/200 euro.
Infine, i due quadri seriali Esposito (cm 43×33) e De Simone (cm 55×70), autori confusi e di nessuna ribalta né visiva né artistica, li valuto 50/70 euro cadauno cornice compresa.


Nadi Salli manda foto di un quadro (cm 100×80) del 1890 firmato “d’apres Maniquet” (dopo-sulla maniera, di uno dei vari pittori di nome Maniquet dell’epoca ottocentesca). Pezzo di valore arredativo più che artistico, compresa la cornice vale sui 400/600 euro.
Quanto al comò otto-novecentesco in ciliegio e altri legni, con la crisi odierna del mobile antico siamo sui 300/400 euro: soldi che non ci si comprerebbe neanche il legno per costruirlo!


Il fedele lettore Renato Di Properzio presenta alla mia attenzione un quadro (cm 34×44) siglato in monogramma AP. L’unico riferimento che ho è la sessione d’asta 11-7-23 Finarte – Scuola romana XX secolo – inizio a cui la sua opera per alcuni elementi può essere accostata. Valore tra i 400 e i 500 euro.


La signora Carla Zanoli mi sottopone due opere: la prima, olandese (cm 30,5×21) a dicitura apocrifa “Van Der Meulen”, di scarna esecuzione e dal valore arredativo sui 600 euro; la seconda, un San Cristoforo in rame (cm 6×8), di mano mestierantica e dal valore di 150/200 euro.


Signor Andrea, il suo vaso, pur marcato 800, ha subito un elettro cromatura che è inusuale, ed anche le lettere vicino ai marchi: la grande M con all’interno le lettere C ed A (lei legge P), andrebbero a significare la sigla del Metal Closure Alluminium, cioè una placcatura e neanche in argento. Pertanto, deve necessariamente fare una prova con l’acido per testare il materiale o farla fare da qualcuno che lo abbia. Comunque, fosse argento, varrebbe il peso del metallo più un 20%.


Signor A. Torino da Bracciano (RM), lei paradossalmente prima mi invia un quadro per sentirsi dire che è un autentico Odilon Redon (come possa fare io a certificarglielo per posta non si sa) e poi, quando io le rispondo che tale non è, mi scrive: “come lei con sicurezza può dirmi… avendo visto solo delle foto?”. Ebbene, ripeto a lei e ai lettori tutti che piuttosto che appurare le cose vere io appuro da remoto le cose senz’altro false. Riguardo al suo “Cristo dormiente” le invio copia: olio cm 38×30 “Les yeux clos”, peccato che si trovi a Parigi e precisamente al Louvre e non a casa sua. Oh! …non mi dica lo ha asportato dal museo e ancora non se ne sono accorti…


Signora Penelope Sarti, le mando per conoscenza le firme nel tempo del pittore Anton Sminck Pitloo (Arnhem, Olanda 1790 – Napoli, Italia 1837), ma non quelle da “vecchio”, come dettole “dall’antiquario” da mercatino romano, giacché l’artista è deceduto a soli 47 anni!


Il signor Marco Biava manda in visione un quadro (cm 138×78) da mestierante degli anni 50-60 del Novecento: non vale nulla, ma fa parte di quella serie che pubblico per renderne edotti i lettori.


Chiudiamo con il signor Diego Pisa che crede ancora nei Capodimonte, marchio usato in tutto il mondo e privo di significato come potrà leggere nelle rubriche passate. La sua statuina probabilmente è stata prodotta nel vicentino (h 28 cm) e vale al massimo 60 euro se intonsa.
E due candelabri dorati, stampati in ottone-bronzo, anni 60-80 del Novecento (ma anche fossero più vecchi non cambierebbe) varranno 80/100 euro.
Sì! La Gazzetta dell’Antiquariato è ora solo online e fa capo all’associazione UMAIF (Unione Mercanti d’Arte in Fiera) Ente Organizzativo Regione Lazio a cui lei può scrivere (umaif@live.it) per prendere contatti e chiedere di iscriversi; non si paga nessuna quota, bisogna solo convincere l’associazione che si ha passione per l’arte, per l’antico e che si sia buoni.


E come sempre, un saluto a tutti e un abbraccio ai pochi!



Marzo 2024


Ed ecco dei miei diletti lettori: Rosaria e Salvatore Capuano che, collezionisti, sono tra i pochi giramondo rimasti sempre alla ricerca del bello. Ad Innsbruck, in un mercatino, hanno trovato un bel vaso (h 42 cm) sui tipi di Sevres, il cui marchio, apocrifo, presenta le 2 C di Carlo X dei primi decenni dell’Ottocento e la lettera D o A della metà del Settecento; in più non è coadiuvato nell’ordine delle dette lettere. Il suo valore è sui 400 euro.
Inoltre hanno acquistato una fanciulla in bisquit (h 36 cm) della quale non mi appaiono chiare le scritte impresse. Ad occhio, potrebbe trattarsi di quelle produzioni tedesche della Baviera o della Turingia, ma… ma! Valore sui 350 euro. Un abbraccio.


La signora Anna Ostuni presenta alla mia attenzione un mobile scrittoio in radica di noce a ribalta che, canonizzando il mobile veneto-veronese del ‘700 negli stilemi, si può classificare a cavallo tra ‘800 e ‘900 per piallacci, serrature e cassetti. Purtroppo, da tali mobili che venti anni fa valevano intorno agli 8 milioni di vecchie lire, oggigiorno possiamo ricavare tra i 1.000 e i 2.000 euro, secondo l’acquirente.


Signora Enza, mi scuserà per il ritardo nel rispondere al suo quesito ma le innumerevoli richieste mi lasciano un po’ indaffarato, alcune di esse sono bisognose di ricerche che, pur appassionandomi, mi limitano il tempo da dedicare ad altre. La sua tela (cm 80×104) di scuola fiorentina o dell’Italia centrale, pur non essendo di somma mano ha un bel taglio e composizione non scevra da un colorismo soave. La datazione, non possibile di fronte ad una rifoderatura e laccatura postuma nonché da sole foto, potrebbe anche risalire a ridosso dei secoli XVI-XVII. Il valore a mio avviso potrebbe andare dai 5.000 euro in su, anche per le dimensioni arredative non ultime.


Signor Luca Maglio, la sua icona bulgara aperta a trittico (cm 29,5×37,5) non può essere determinata nella sua vetustà da sole foto. Comunque, non appare di grande mano e soprattutto sembrerebbe posteriore agli anni 50 del ‘900. Valore: tra i 250 ed i 450 euro.


Signor Franco Papi a me – e ai galleristi che ho consultato – non risultano riproduzioni di Guttuso su maioliche (cm 80×100) né tali da lui autorizzate. Quindi, non so che dirle.
Riguardo il San Giovanni (cm 55×78) suppostamente del ‘700, lei invia un’unica foto frontale: che cosa posso valutare? Il quadro è inoltre in non ottime condizioni. Valore: tra i 600 e gli 800 euro, a occhio.


Signora Patrizia Capolongo, il suo quadretto (cm 23×18) a firma Rosai (Ottone Rosai, 1895 – 1957), a mio avviso e buona conoscenza dell’opera del Maestro, è un falso, e nonostante i timbri – sconosciuti e apocrifi – impressi nel retro. Tenderei così a non farle sprecare denaro indicandole specialisti (tutti a pagamento).


Anche il signor Marco Palladinelli manda foto di due opere del pittore Ottone Rosai comprate da un antiquario anni fa dal proprio genitore. Non invia misure, ma dato che le reputo ambedue delle copie, non sono necessarie. E ripeto che il mio giudizio si avvale della buona conoscenza sia dell’opera pittorica del Maestro del ‘900 sia delle tele usate sia di altri particolari come la scrittura e la firma.


Signora Rosa Mannara, il suo quadretto (cm 30×24,5) firmato Zundel vìola, non se n’abbia a male, l’ars visiva nella sua precipuità. Spero lo distrugga immanentemente.


Signor Aldo Ricci, anche per lei, non se ne abbia assolutamente a dolere, vale la “stessissima” risposta data alla lettrice signora Rosa.


La signora Marilyn Garcia manda in visione un quadro (cm 39×30) del 1983 a firma sconosciuta Zanacchi. Una natura morta con l’arte espressa anch’essa deceduta. Mi spiace: nessun valore.


La signora Federica Mariani chiede il mio parere circa alcuni oggetti frutto di uno “sgombero” ereditario. Iniziamo: le macchine da scrivere Remington anni ’60 con custodia, come quella presentatami, le offrono sul web a 200 euro e oltre, nei mercatini a 60/80 al massimo; i telefoni anni 70-90 sempre nei mercatini e nei negozi dell’usato, stanno sui 20 euro cadauno; le interessanti bottiglie di Barolo-Borgogno del 1947 invece, pur avendo le etichette non proprio intonse, penso possano spuntare sui 250 euro cadauna.


La signora Sandra Cossu manda in visione una tela (cm 37×48 circa) in cattive condizioni raffigurante Santa Lucia vergine (283-304) martirizzata dalle leggi romane e uccisa pugnalata alla gola (jugulatio). Solo dopo il XV secolo – non avvallata né da fonti relate né da documentazioni – iniziò la narrazione che le avessero strappato gli occhi o che se li fosse lei stessa estratti per non vedere le oscenità presentatele nel martirio. Da qui l’attributo dei bulbi oculari sul piatto aggiunto dall’iconografia popolare e l’indicazione di Santa protettrice della vista, ma molto semplicemente ciò fu dovuto all’etimologia latina del suo nome Lux (luce). Per tornare al quadro di mano popolare e probabilmente prodotto tra ‘800 e ‘900, penso gli si possa accordare una valutazione, nello stato attuale, di 250/300 euro.


Il signor Molin Pradel, che ringrazio per le belle parole rivoltemi, mi sottopone un quadro (cm 36×48) di genere popolare e di scuola fiamminga del XVIII secolo. Purtroppo il suo valore, non essendo l’opera di vasto respiro artistico, non può andare oltre i 600/800 euro. Ideale da proporre ad un dentista.


Signora Giovanna, innanzitutto la ringrazio per la definizione di “mitico” (eh… l’età è l’età!), e poi le rispondo in merito alle affezionate tazzine della Wedgwood di metà Ottocento. Penso che l’appassionato antiquario e collezionista cui si è rivolta abbia ragione: troppe le incongruenze sui marchi e, come lui dice, inammissibili per la famosa capostipite manifattura inglese di terraglie (tra l’altro ad imitazione di quelle orientali e Compagnia delle Indie associate) che ci teneva ad esporre e senza tema di inganno il proprio marchio. Come “imitatrici” del marchio mi viene in mente la manifattura italiana Pera, ma anche le prestigiose Sevres e Meissen hanno addirittura spacciato le proprie produzioni, alcune stampando lo stemma a leone ed unicorno per farle credere inglesi e anche copiando le decalcomanie proprie della Wedgwood, alcune adottandone pure il nome come potrebbe essere nel caso delle sue tazzine.


Signor Augusto Vagelli, la sua aquila (cm 37×40) reperita al mercato di Arezzo è scolpita in legno e dorata con stilemi medioevali, ma io credo sia del ‘700. Nella simbologia religiosa della Chiesa cattolica l’aquila indica il trionfo del bene sul male, la giovinezza eterna in Dio, ed inoltre è simbolo precipuo di San Giovanni evangelista. Il valore dell’oggetto potrebbe aggirarsi sui 600 euro, sia pur avulso da appartenenze, informazioni specifiche e fuori dal suo contesto originale.
In merito al suo secondo quesito che riguarda una “croce pisana” scolpita in pietra che più che “serena”, come lei scrive, mi sembra “arenaria”, devo dirle che senza patine e narrazione del modo in cui le è giunta, non mi entusiasma punto. Naturalmente il mio è giudizio da scarna foto e sommario, e non mi consente peraltro di poterla valutare.


Signor Stefano Fanesi, le comunico – e da oltre trent’anni lo ripeto – che la dizione ed i marchi “capodimonte” sono da due secoli un’invenzione commerciale. Oramai sia il nome sia il marchio sono usati persino in Cina. La sua statuina firmata Caggiari è, ad esempio, di fabbrica vicentina, e naturalmente nulla ha a che fare con la Real Fabbrica Ferdinandea napoletana di Capodimonte e suoi posteriori contesti. Può valere al massimo 70 euro e a tanto in rete le offrono, a parte certi profani ottenebrati che invece non hanno riserbo e illusoriamente chiedono cifre di centinaia di euro. L’oggetto donatole come regalo di nozze sicuramente fu pagato allora fior di quattrini, ma purtroppo fallacemente.
L’altro suo quesito riguarda un’opera di Alessandra Casaccia (senza misure: ma si può?). Non sapendo chi fosse, mi ha costretto a sommaria ricerca dalla quale ho appurato che fu una cantante perita in disgrazia aerea, e già! …Ma l’opera regalatale dalla stessa è una litografia con tiratura, poi, alta (90/200)! La tenga pure come ricordo, quello purtroppo vale.


Il signor Silvano Gori invia foto di un’opera (cm 40×50) che pensa essere attribuibile ad Amerigo Bartoli Natinguerra (1890-1971), valente pittore umbro, ma io ne sono un po’ meno convinto, e per lo svolto del vaso e per la firma. Comunque anche fosse, non è tra i soggetti prediletti dai collezionisti e non presenta quel pathos proprio dell’artista in questione. A mio avviso quindi, 250 euro per una mera “attribuzione”.


Signor C.P., la sua alzata in porcellana (senza misure!) è stata prodotta dalla Hutschenreuther di Arzberg – azienda fondata nel 1814 nella Baviera tedesca e con innumerevoli cambi e modificazioni, acquisizioni – negli anni 50-60 del ‘900. A mio avviso il suo valore è di 80/120 euro, anche in considerazione del fatto che collezionisticamente il marchio impresso è di difficile reperimento.


Signor Nicola Laterza, le rispondo in questa rubrica per “educare”, se vogliamo, i lettori in merito agli acquisti di opere e riproduzioni d’arte prodotte su lastre o pellicole d’argento e vendute con enfasi come oggetti di valore. In realtà esse non valgono nulla, assolutamente.


La signora Sonia da Udine mi chiede di valutare un bassorilievo in marmo venato di Carrara (cm 35×46 spessore 2 cm). Signora, il fregio non ha patine di vetustà, e il basso spessore lo esclude da un lavoro artigianale a “mazzetta e scalpello”. Si tratta di un prodotto pantografato da macchina e ha un valore tra gli 80 ed i 120 euro.


Ultima curiosità

La signora Serena pensa che io possa sapere tutto. E fortunatamente per lei e per la sua curiosità so un po’ di tutto. E soprattutto posso risponderle che la sua “piastra” metallica ritrovata in spiaggia era abbinata ad un manufatto in cemento armato (probabilmente un palo per l’elettricità) e che è infatti della CAET (Cementi Armati in Elementi Tubolari) di Santa Teresa Riva (Me), azienda fallita il 12-2-2020.


E come sempre, un saluto a tutti un abbraccio ai pochi!



Febbraio 2024


Signora Cristina, il suo vasetto non mi parrebbe liberty né tanto meno di Albisola. Lo ascriverei ad un decoratore che dagli anni 30 del ‘900 firmava i suoi pezzi TM, ovvero Moreno Toscani di Montopoli (PI). Ma questa è una mia supposizione poiché non ho altre notizie (freccia aggiunta compresa). Metterò nel mio archivio il dilemma.


Il signor Francesco Nocera manda in visione una zuppiera tedesca del 1942 (altezza 18 cm, diametro 23 cm).
Propedeuticamente, un po’ di storia del marchio. La Porzellanmanufaktur Mehlhorn, azienda fondata nel 1869 a Eisenberg nella Turingia tedesca con trenta dipendenti, si specializzò nei servizi da caffè e tè e successivamente nella ristorazione. La manifattura copiava il famoso motivo di Meissen “Zwiebelmuster” (cipolla blu) molto di moda in quel periodo e ciò grazie alla direzione del socio occulto Jager, che però per divergenze abbandonò l’azienda nel 1881. Rimasto solo il Melhorn vendette a certo Muhlenfeld che si riunì con Wilhelm Jager nel 1911. Dopo pochi anni Jager portò la fabbrica a circa cento operai con enorme successo.
Negli anni 30 divennero proprietari Oscar Singer e Max Schiller che mantennero nel marchio il nome Jager, sinonimo di ottimi prodotti. Nel 1956 la ditta si trasformò e nel 1960 si unì con la Porzellanfabrik Reinecke che continuò a produrre sino alla chiusura nel 1979.
E veniamo alla sua zuppiera, signor Francesco, che porta inserito nel marchio il nome della città, dell’ideatore della fabbrica, dell’anno, e insieme il simbolo della svastica dello stato nazista imperante e la M che sta a significare che fu fabbricata per la Marina tedesca da guerra. Ma dopo aver sviscerato i miei saperi sulla coroplastica tedesca le debbo purtroppo comunicare che la sua zuppiera “rincollata” e mancante di coperchio non può valere che poche decine di euro e non so a chi possa interessare. Fosse nella sua interezza, potrebbe valere, per collezionismo, sui 400/500 euro.


Il signor Sebastiano Berardinelli presenta alla mia attenzione un busto di fanciulla in bronzo (H 30 cm, peso 5,35 Kg), marcato dalle prestigiose officine Collas. Achille Collas (1795-1859) fu il poliedrico ingegnere e incisore francese che inventò un pantografo speciale capace di riprodurre sculture in qualsiasi materiale (una specie di stampante 3D attuale). Si può ben dire che egli abbia trasformato specialmente l’industria del bronzo e che del suo sistema usufruirono migliaia di artisti. La sua azienda con oltre 600 operai chiuse nel 1954. Il bronzo del lettore, stando alle brutte foto inviate, è uno stereotipo senza patina e senza leggiadria. Il suo unico valore sta appunto nell’essere una copia della prestigiosa ditta: 500 euro.


La signora Claudia Chiozzotto è in possesso un meraviglioso servizio della Reinhold Schlegelmilch (RS) fondata nel 1892 a Tillowuitz (Slesia Prussia ora Polonia). Composto da 132 pezzi di una finezza e bellezza unica (ne conosco bene per aver avuto alcuni pezzi e proprio della medesima tipologia di quelli della lettrice), l’insieme apparteneva ai suoi genitori che lo avevano avuto in dono in occasione del loro matrimonio nel 1930 (ed infatti il marchio impresso è quello adoperato dalla ditta dal 1916 al 1945). Devo dirle, signora Claudia, e a malincuore, che oramai tali servizi non sono più richiesti da alcuno se non a prezzi che ci comprerebbe quelli cinesi di un certo garbo. Ma io, nonostante ciò, non posso che valutare il suo splendore a non meno di 5000 euro, poi faccia lei.


E sempre dalla meravigliosa Quartu Sant’Elena tra mari e monti (ne esorto la visita a chi si rechi in Sardegna), il collezionista Roberto Desogus manda in visione le sue scoperte coroplastiche.
Prima di rispondergli però, desuetamente, voglio rivolgermi a sua moglie che non conosco ma che so paziente e diligente (d’altronde con gli ammalati d’arte e del bello lo si è per forza). Signora, mi permetta di dirle che questo mondo ha ragione d’esistere in mezzo a guerre, egoismi, ipocrisie e quant’altro viviamo solo perché esistono uomini come suo marito che danno vita ed esistenza al passato e lo coltivano nella sua trascorsa bellezza non cessando mai di farlo, oltre poi onorandomi della loro conoscenza e del loro plauso.
E detto ciò, Roberto: quel piatto derutese moderno e falso marcato Ginori (che non ha mai prodotto simili cose) può mai essere accostato a Gio Ponti? …Da regalare alla parrocchia.
E parliamo di cose serie e cioè dei vasi delle Mazzotti. Una breve storia della vita artigianale, artistica e familiare: Vittoria Mazzotti (Albisola 1907-1985), figlia del grande ceramista Giuseppe che l’avvia insieme ai fratelli Tullio e Torido all’arte ceramica, lavora insieme a loro nei locali di via Matteotti sede della M.G.A – Fabbrica di ceramiche d’arte tradizionali e moderne Mazzotti Giuseppe Albisola – sino al 1959 (per inciso sottolineo che il capostipite, creatore di ceramiche meravigliose – a trovarle! – lavorò attivamente con i Futuristi e certamente fu sempre artista di livello molto superiore ai pur bravi figli).
Il primo gennaio del 1960, a causa di continue liti, Vittoria si stacca dal padre rigoroso e fumantino detto Bausin (che abbaia), si trasferisce con il fratello nei locali di Via Aurelia sempre in Albisola e insieme al marito fornaciaro e lustratore Mariano Baldantonio, alla madre Celestina e alla figlia Esa fonda la “VMA” (Vittoria Mazzotti Albisola), marchio che con la variante “VM Albisola” rimane invariato sino al 1984. Nel 1985 la ragione sociale passa alla figlia Esa e al marito pittore Rinaldo Rossello che cambia marchio in “Ceramiche Mazzotti Esa” a cui in seguito si unirà il figlio Giovanni Rossello. Nella manifattura lavoreranno fissi anche i ceramisti Giacomo Raimondi, Pina Olivero e la decoratrice Rita Saglietto (poi riconosciuta pittrice) che, frequentando Parigi e i grandi artisti, fa da trait-d’union tra l’ambiente artistico d’Oltralpe e le Mazzotti.
I vasi recuperati dal solerte Roberto, dai 23 ai 27 cm di altezza e variamente marcati, a mio avviso possono valere: sui 500 euro la coppia eguale e 150/200 euro cadauno gli altri, anche come da quotazioni di case d’asta.
A nuove cose.


L’ottimo scrittore e genealogista Alberto Lubelli Prasca, che conosco di fama per aver scritto dei libri specialistici sul patriziato cuneense (vengo da una linea secondaria dei Ferrero d’Ormea), invia in visione una bella tela ottocentesca (cm 50×75, cm 66×92 con cornice) che potrebbe provenire, mi scrive, dalla bisnonna svizzera Leumann. In effetti, e per i toni, e per la delicatezza ordinata di acque, alberi e figure, l’opera mi indica proprio una mano svizzera. Non essendo firmata e di composizione decorativa, essa non può avere una valutazione che superi i 1.000 euro. Professor Alberto, a ben nuovamente leggerla.


Quadri e pseudo quadri

Si è sparsa la voce che io sia un grande conoscitore di quadri di arte antica e posteriore al secolo XVIII. Naturalmente, non è vero. Certamente avendo magari molto studiato, molto visto, e avendo conosciuto i più grandi critici d’arte del mondo, da Briganti a Marini, da Caradente a Zeri con il quale fui in frequente contatto, non amico (che suo unico amico vero fu il dott. Salvatore Vicario di Fonte Nuova, tra l’altro suo medico – mi diceva – inascoltato). La mia competenza sta magari nel saper dire “cosa non è” piuttosto che certificare un’opera su cui hanno scritto, discusso e discettato molto meglio di me eminenti critici e storici. E ciò, per introdurre un bel quadro del signor Antonio Corrao il quale, senza preamboli, scrive di averlo avuto in dono e afferma che il dipinto è stato attribuito a Luca Ferrari di Reggio Emilia (1605-1654). Ma attribuito da chi, signor Antonio?… Perché la sua raffigurata “Giuditta con la testa di Oloferne” (cm 123×100), di già prodotta dal Maestro e attualmente presente nel Museo Civico di Modena, non ha nulla a che fare col suo quadro, e per dirgliela tutta, non ha nulla a che fare con l’opera intera del pittore emiliano intessuta di un dinamismo soave che certo manca alla sua scollacciata e statica dama. In più, dalle modeste e scarne foto, mi pare che il retro della tela sia un prodotto otto-novecentesco. Che altro dirle se non che i quadri – repetita juvant – non sono patate e che avrebbero bisogno (come i mobili e gli altri oggetti complessi) del supporto di molte e variegate foto per essere valutati, soprattutto se da uno che se ne sta bello seduto, o in piedi che sia, a leggere e guardare i vostri quesiti da sola immagine?


Il fedele lettore Marco Maggioni ha finalmente svolto l’arcano circa l’appartenenza o meno al Carlo Dolci di una sua “ Vergine annunciata” che ha impegnato me pure in variegate e inconcludenti ricerche. Togliendo il rintelo, infatti, è apparsa la firma del vero autore: Michele Cortazzi (1800-1865), ottimo copista di metà Ottocento. Il lettore, in merito ad una commissionata scientifica perizia che lasciava spazio ad una copia autografa del Dolci, riflette: ma non è che non hanno voluto vedere il nome del copista così da farmi digerire meglio la costosa expertise fatta? …E certo! signor Marco, poiché se il team incaricato fosse stato composto da una scarsa compagine allora ci poteva star tutto, ma per mia conoscenza e di altri, quelli a cui lei si è rivolto sono considerati primari professionisti, ed anche il lavoro svolto lo dimostra. Quindi, che non abbiano sottoposto il quadro a radiografie che potevano e facilmente “leggere” l’autore sulla prima tela, beh! …mi pare proprio difficile.


Signor Luigi Flisi, purtroppo i sui quadri (cm 50×70) sono stati eseguiti negli anni 70-90 del ‘900 da “mestieranti da piazza” di tal genere pittorico. Non hanno alcun pregio se non come pezzi decorativi dal modesto valore di 50/100 euro cadauno e sono di difficile vendita.


Il signor Daniele Postiglione, fedele alla rubrica e al bello, presenta alla mia attenzione un quadro (cm 50×60) in tela di canapa, opera che pur di non eccelsa fattura, come lui stesso dichiara, pensa possa avere un qualche valore significativo in ragione della sua vetustà. In effetti, posta in cornice adatta e restaurata, si potrebbe pensare a quelle cose ornamentali e arredative adatte, che so, per ambienti non principali come stanzette, bagni o corridoi, ma poi, però, il suo valore sarebbe comunque di un paio di centinaia di euro. Signor Daniele, le conviene rimetterla in sesto?


Il signor Elio Barbati, altro affezionato lettore, invia immagini di due bei quadri dei quali, però, non produce foto sufficienti a potermi esprimere circa la vetustà. Pertanto, attesa l’assenza, collocherei le opere in ambito ottocentesco: la prima (cm 76×96,5) molto bella e con un verismo di pregio, raffigurando purtroppo un canonico che mostra un santo eremita non è che possa avere molta collocazione sul mercato. Comunque a mio avviso ne determinerei il valore intorno ai 1.500 euro per l’eccellente mano. La dama (cm 58×72), più sommessa e nei toni e nell’esecuzione, è comunque passabile “per antenata propria” come si conviene a chi acquista queste opere, e può spuntare sui 1.200 euro.


Signora Elena Cargnello: cavalli cinesi e incisione sono cose di nessun valore; della dama con cavalieri su lastra di metallo va cercato l’autore per bastonarlo di santa ragione. Ma… ma il quadro firmato M. Kastner 1873, pittore di cui ho solo notizia di un’altra opera rinvenuta a Roma ove egli operò per alcuni anni, è una bellissima natura morta che per la grandezza (cm 106×84) non può che valere, e nello stato, tra i 1.200 ed i 1.600 euro.


Signor Francesco Scarpa il suo quadro raffigurante la “Sacra famiglia” (cm 13×21, 25×33 con cornice) presenta una mano popolare e di scarno livello artistico, ma nonostante ciò ha un interessante svolto pittorico di rappresentazione; bello l’abbinamento con la cornice in pastiglia a due ordini, novecentesca anch’essa. Purtroppo, e cornice, e condizioni del dipinto (dalle scarne foto inviate non si evince nemmeno se pittura su carta o tela) non sono ottimali e così com’è penso valga sui 250 euro in virtù, come detto, dell’abbinamento con la cornice e di quel tocco scenografico inusuale.


Il signor Federico Mat manda foto di una serigrafia “Mickey Mouse” di Andy Warhol, edita dal CMOA (Carnegie Museum of Art) in Pennsylvania (USA). Non indica le misure, e vabbè, e mi chiede solo se sia autentica. Ebbene, sul retro l’opera è siglata e timbrata con la garanzia della Gilibert di Torino, Galleria libraria e d’arte tra le più conosciute e serie d’Italia. Quindi, rispondo: certamente sì. La tiratura è alta 367-2004, e ne sono state fatte molteplici riproduzioni (come per tutte le opere di Warhol che quindi sconsiglio vivamente di acquistare) dalla Fondazione e da altri istituti che ne avevano e ne hanno diritti. Il valore dell’opera è infatti sui 100 euro, come il lettore potrà determinare anche sbirciando in rete e districandosi tra altre simili riproduzioni ma con altre edizioni e/o tirature che sono e solo un grande mondiale bluff.


Riappare “capodimonte”

Con lei, signor Ferruccio Martinelli, ritorno a parlarne, ed anche a lei ripeto che la denominazione “capodimonte” non vale nulla e viene usata da migliaia di fabbriche in tutto il mondo. Se vuole ragguagli vada a spulciare nella rubrica “L’Esperto” dei precedenti mesi ed anni quanto già pubblicato in merito. E veniamo al suo gruppo (cm 25x15x10) degli anni 70-80 del ‘900, tenuto in considerazione dai suoi genitori. Il pezzo è probabilmente di fabbriche vicentine e non può superare la valutazione di 120/150 euro per mero arredamento.


E come sempre, un saluto a tutti un abbraccio ai pochi!



Gennaio 2024


Buon nuovo anno a tutti i miei lettori, a quelli che oramai mi seguono da trent’anni (sino al 2017 in forma stampata) sopportando e supportando le mie velleità linguistiche, arteantiquariali e soprattutto i miei strali e le mie escandescenze – sia pur attenuate – emprate da una scrittura e da un lessico variegato che mi permette ancora un buon seguito tra voi.
E nuovamente e come sempre, finisco la rubrica mensile: saluti a tutti e l’abbraccio a quei pochi che sanno e che mi onorano della loro benevolenza e del loro gradito giudizio.


Signor Silvano Glori, Giovanni Battista Trevisan (1735-1803) detto Giovanni Volpato (dal cognome della nonna) è stato un eclettico personaggio ed artista di genio e maestria. Ceramista e incisore, fu anche imprenditore, ebbe in appalto papale, tra l’altro, le cave di argilla bianca (ball-clay) di Civita Castellana da cui estrasse il materiale per sue fabbriche di ceramica in loco e a Roma. Oltre a riprodurre manufatti in bisquit di porcellane antiche, fu uno dei primi antiquari italiani di livello; mecenate e investitore, finanziò gli scavi di Caracalla, delle Terme di Tito, di Piazza Venezia ed altri luoghi in Roma. Lei manda una sua incisione su disegno tratto da Giovanni Maggiotto (cm 37×28) e da una serie sui mestieri eseguita dal Volpato che è probabilmente (per le incisioni ci vuole visione diretta per appurare il tipo di tecnica, tiratura, e per distinguerle anche da vecchie stampe prodotte con macchine ottocentesche a torchio) autentica. Ci sono poche cose sul mercato inerenti l’artista, da alcune vendite d’asta ho trovato similari incisioni quotate tra i 150 e i 250 euro ma invendute, e credo che il valore di 200 euro sia il prezzo giusto.
Il secondo quesito postomi riguarda un centro tavola in argento (gr. 422) della Cesa 1882, ditta fondata ad Alessandria appunto in quell’anno e ancora attiva. Manifattura di prestigio fornitrice di posateria da tavola della Real Casa Sabauda dal 1920, continuò negli anni 50 per il Quirinale e nel contempo per una serie di alberghi prestigiosi in tutta Europa. Dal 1994 la Cesa è stata inglobata nel gruppo argentiere Greggio. Il suo “ananas” si può quotare intorno ai 500-600 euro.
Riguardo infine alla porcellana di Sevres di cui non manda misure – come peraltro per il centrotavola – posso azzardare, e con il vistoso calo collezionistico dei nostri tempi, una quotazione, se intonsa, di 250-300 euro.


Il signor Luigi Bellanova chiede valutazione di una papera da tavola firmata Egidio Broggi, membro di una dinastia di milanesi che opera dal Novecento nell’argenteria e nella posateria. Uno dei rami di Egidio (1949) si è specializzato anche nella ceramica e porcellana. La papera porta bon-bon alta 17 cm, credo degli anni 70, vale tra i 120 ed i 160 euro se perfetta.


In una fredda mattina invernale, la signora Francesca ha veduta presso un mercatino una bimbetta sperduta con un’oca e non ha saputo resistere: l’ha comprata. Il bronzo (h 31cm) che con base in marmo nero del Belgio raggiunge i 38 cm, è firmata De Martino.
Ebbene, Giovanni de Martino (Napoli 1870-1935) fu scultore che operò per metà della sua vita a Parigi ove conobbe fama e riconoscimenti prestigiosi. Tornò poi a Napoli ove era stato allievo all’Accademia del Toma, del Lista e soprattutto dell’Orsi che lo spinse alla ricerca veristica, e che nei soggetti di bambini e fanciulli determinò la sua maggior gloria. Il De Martino è, naturalmente, figura tra i bronzisti più copiati e riprodotti: i suoi scugnizzi pescatori e venditori sono delle icone della napoletanità insieme ai personaggi da presepe e ai santi in campana. Tutte le fonderie passate e le attuali del capoluogo campano hanno i suoi modelli, così come quelli di Gemito, e ancora li producono.
La sua peraltro bella fanciullina, signora Francesca, è un modello non comune ma la patina ne tradisce la non eccelsa vetustà. Tra l’altro i primi modelli erano firmati dal maestro “G. De Martino”, ma v’è da dire che non esistette né esiste privativa per detti, e non è che siano siglati con numeri determinati e certificati. Pertanto si comprano i soggetti che, per il fatto di avere una bella patina antica, si presume siano quelli messi in commercio e vendita dal maestro o comunque che siano della sua epoca, ma…. ma, ho conosciuto dei veri maestri delle patine antiche su oggetti nuovi – come i fratelli Bovi operanti prima a Torre Maura nel castelletto ove ora davanti sorge il Policlinico Casilino (ex clinica Trombetta negli anni 40-70) sulla via Casilina e poi nella borgata Giardinetti sempre a Roma – ed altri esperti che mi dicono quanto sia impervia la perizia su bronzi prodotti tra ‘800 e ‘900. E comunque la patina, vera o falsa che sia, ancora paga, ma la sua oca ne ha purtroppo una seriale e con l’ossido di rame verde ancora imperante (la faccio breve e non le elenco le mutazioni chimiche, passa negli anni al colore del “cuoio liscio invecchiato”), quindi che dirle… sui 300 euro.


Signora Cosetta Garilli da Torino, la coppia di vasi cinesi (h 19×15) che manda in visione sono del periodo repubblicano (avvento di Mao). Essendo di ottima fattura, penso possano valere sui 500 euro se intonsi ed in perfette condizioni.


Quadri, quadroni, quadrucoli

E un signore anonimo inizia bene l’anno: manda in visione le opere “di un famoso pittore africano degli anni 70” (sic), talmente noto che è d’uopo non farne il nome, e che io, nella mia ignoranza purtroppo – cercando di invano di decifrare la firma – non ho mai conosciuto. Il lettore possessore di tale famoso artista, non invia neanche le misure delle tele e così siamo proprio a posto! Buon anno anche a lei, sconosciuto lettore. Pubblico le immagini per far sì che qualche diligente e specifico collezionista sappia più di me mi comunichi il nome.


Signora Giulia Pane, mi spiace che negli anni lei abbia avuto da me solo risposte a cui, lei dice, si univano valutazioni negative e sarcasmo. Ma signora, mi perdoni, io tendo purtroppo ad essere uomo di conseguenza, e quando una lettrice, tipo lei, si professa intenditrice e “dall’occhio lungo” (sic) e poi mi presenta opere che definire brutte mi parrebbe un vero eufemismo, ecco che io mi spencolo nel linguaggio e uso la penna “a fioretto”.


Signor Walter Trumpy da Genova, le rispondo non in privato ma su questa rubrica nonostante i suoi quesiti, per raggiungere anche i signori Lorenzin e Draghetti, che mi hanno spedito cose analoghe e cioè quadri con riproduzioni oleografiche, ovvero opere che non sono altro che stampe su tela o cartone. Realizzate con processo cromolitografico in tricromia o quadricromia, esse imitano l’impronta di un quadro originale in olio o tempera o acrilico o altra qualsiasi tecnica. A volte, oltre ai rilievi del colore, riproducono anche le trame della tela. Va da se quindi che, ripeto, trattasi di stampe; che poi nel suo caso vi siano sigle, anni di esecuzione o nomi di autori ecc. non è che questo cambi la sostanza. Mi spiace, ma tali tipologie rimangono semplici stampe di nessunissimo valore anche fossero tratte da eminenti autori e non, come nel suo caso, mi perdoni, da sconosciuti G.B. o tale Lepoldina Zanetti Borzino.


Il maestro Alberto Mauro Serpilli, restauratore in Ferrara, mi manda un un soave dipinto su rame (cm 32×38) che ascriverebbe a Meindert Hobbema (Amsterdam 1638 – 1709 ). Ebbene, pur ripetendo di non essere un grande e precipuo conoscitore dell’arte antica anteriore al XIX secolo, debbo però necessariamente dire di aver studiato non poco i maestri olandesi di tali periodi per aver in anni e anni avuto un’assidua frequentazione con Federico Zeri. Spirito irrequieto e burlone egli mi interrogava sempre specialmente sull’arte pittorica dei Paesi Bassi di cui era era, più che uno specifico conoscitore, un attento indagatore ed io un profano. Naturalmente, ho avuto modo anche di andare in Olanda a “spulciare” nei musei, oltre ad essere attento lettore delle recensioni degli studi di Berenson, Longhi, Venturi, Morelli, De Vecchi, per dirne alcuni. Pertanto, conosco bene l’Hobbema, considerato uno dei più grandi paesaggisti olandesi benché la sua carriera pittorica fosse durata poco più di dodici anni. Si sposò infatti trentenne, e malauguratamente preferì alla pittura un impiego governativo sicuro ai Dazi d’importazione dei vini della sua città. Smise praticamente di praticare ciò che lo avrebbe reso immenso giacché dotato di una maestria unica nei semitoni che gli permettevano di dettare nell’ombre – che altri abilmente sfumavano – figure di una nitidezza fresca che lasciavano e lasciano senza parole, ammirati: creava l’ambiente ombra non attenuando il colore ma dandone altro corpo e al di là della luce solare. L’artista perse in seguito sia “il posto fisso” sia la moglie per cui aveva rinunciato alla grande arte sua; morì povero e solo, naturalmente, rare le sue opere nel mercato.
E tornado al bel dipinto inviatomi signor Alberto, a mio avviso e conoscenza esso non presenta affatto i canoni pittorici dell’Hobbema: velato e soave nei toni, smorzato dalla luce solare che richiama un dolce meriggio, a me ricorda più i fratelli Van Hannen e la loro cerchia. Che altro dire… lei non mi parla di documentazioni inerenti, passaggi di proprietà, ecc.. Dovrei darle solo una valutazione come bel quadro, e senza averlo visto, toccato, annusato. Le suggerisco di portarlo in visione a qualche casa d’aste per vedere cosa le possono dire dal vivo, poi, quando crede, mi potrà resocontare.


E infine…

Ringrazio la signora Antonella Fontana alla quale ho risposto ad un quesito il mese scorso e che mi invita a Cagliari dove la encomiabile lettrice ha costituito un Museo del Giocattolo. Signora Antonella, sicuramente venendo nella sua bella città non mancherò di farle visita e invito i lettori della Gazzetta presenti nel capoluogo, ma anche lontani, a farlo.


E come sempre, un saluto a tutti un abbraccio ai pochi!