Rubrica di expertise gratuite
Autore: prof. Antonello Ferrero
In collaborazione con il Museo del Collezionista d’Arte – Metodi Scientifici d’accertamento, Milano
Hai ereditato o acquistato un oggetto e vuoi sapere quanto vale? Inviaci una richiesta di expertise gratuita!
• E-mail: info@lagazzettadellantiquariato.it
La richiesta di expertise deve essere completa di: foto dettagliate dell’oggetto; misure precise; firme e marchi (ove presenti).
Si dichiara che i pareri esposti nella rubrica sono espressi dallo scrivente in ottemperanza della Legge 14 Gennaio 2013 n° 4 in materia di professioni non organizzate in Ordini o Collegi.
Gentili lettori, stante il crescente numero di expertise che ci pervengono quotidianamente, vi informiamo che tutte le richieste saranno soddisfatte ma che potranno passare anche due/tre mesi dal vostro invio del materiale.
Le risposte, a meno di casi particolari – ritenuti tali dal prof. Antonello Ferrero – verranno date esclusivamente attraverso la rubrica “L’Esperto” pubblicata su www.lagazzettadellantiquariato.it. Pertanto, per poter rimanere aggiornati circa l’uscita periodica di nuove expertise, vi consigliamo l’iscrizione alla nostra newsletter gratuita.
Non so come, si è sparsa la voce che il perito sia un veggente. Non è vero! Per valutazioni corrette servono più foto degli oggetti: fronte, retro, sotto, interni. Inoltre non risponderò più a quesiti su oggetti, quadri, mobili, mancanti di misure. A.F.
Novembre 2023
Signora Elsa Laurentis, il consigliare acquisti d’arte moderna o meno è sempre per me cosa problematica poiché, svolto l’incarico gratuitamente, c’è sempre il sospetto che si possa avere indirizzato il consigliato verso gallerie, negozi o amici, e comunque con interesse personale. Quindi, io ho sempre una certa remora a farlo.
Lei mi propone una grande opera di un artista romano, certo Enrico Di Nicolantonio Dicò (1964), che le è stata proposta ad una notevole cifra. Del detto autore – che praticamente si richiama nei suoi lavori un po’ alla pop art, un po’ a tanti artisti della “street art” che ne hanno sperimentato, dando mano nelle sue tele al fuoco che ivi agisce creando fortuitamente o meno degli effetti coloristici particolari – non ne so molto. Ho visto delle foto dell’artista con sue opere e una miriade di personaggi famosi del cinema, della canzone, della politica e ciò sta ad indicare che è ben introdotto nel mondo del “jet set”. Riguardo all’arte vera, mi pare di aver letto una critica fatta dallo Sgarbi che si arrampicava sugli specchi per costruire un percorso artistico a connubio tra Warhol e Burri, ma oltre a non essere incline a queste forme d’arte, ripeto di non conoscerne abbastanza.
Il mercato con opere offerte dai 1.500 ai 3.000 euro e oltre non mi sembra così partecipe agli acquisti; le aste a 2.000 euro ma con “offerta libera”, una a 200-300 euro di valutazione. È questo il personaggio che frequenta i salotti bene di Roma ma di cui v’è molto poco di giudizi critici nel mondo artistico. Insomma pur non essendo il mio campo precipuo le consiglierei di non impegnarsi in cifre a tre/quattro zeri per opere di artisti “non accertati” in modo significativo dal mercato. Ho sempre consigliato l’acquisto di opere di pittori, scultori ancora non conosciuti ma di bella mano ed ingegno, ma ciò a prezzi adeguati.
La signora Roberta Leone manda più quesiti. In prima visione, scarne foto di una scrivania in stile Boulle francese (114×73 H cm). Non invia – come si dovrebbe per la mobilia – né foto dell’interno del cassetto, né della serratura, né dei particolari dei bronzi, ed io, e solo ad occhio, posso dirimerne considerandola novecentesca. Il valore, come per tutti i mobili antichi e/o vecchi è al minimo; la sua scrivania signora, come discreto mobile d’arredamento, vale sui 1.200-1.500 euro, e badi bene, sono gli unici mobili che “da effetto” ancora tengono il prezzo. Calcoli, e come sempre, che la vendita, a meno che non abbia già un compratore, è molto difficile.
Altra valutazione per un leggio dorato da tavolo (35×28 cm) di cui invia una sola foto. Evidentemente esperta in tal senso lei mi scrive come sia del XIX secolo; io ne prendo atto, ma lei prenda in considerazione come per me non valga, così come proposto, che 150/200 euro, e sempre per mero arredamento. Il terzo quesito è una sontuosa specchiera novecentesca (260 x100 cm) e certamente potrebbe spuntare – in un’asta? – sui 1.500/2.000 euro.
Professoressa Emilia Stanchi da Roma Cinecittà, mi spiace non poter accettare il mandato per la ricca divisione ereditaria tra lei ed i suoi tanti parenti, ma avendo sondato alcune delle parti coinvolte ho evidenziato come esistano conflitti personali che valicano l’asse dell’amato de cuius e rendono le partizioni problematiche non più legate a valori antiquariali, e di conseguenza monetari, ma a discrezioni e rilevamenti etici e morali che sinceramente non saprei redimere. Si è passati dal contendere sugli oggetti scopo della mia mediazione e valutazione, alla disputa dei soggetti. Leggevo a tal proposito, e sui conflitti in genere, un libro veramente utile: “L’accordo e la decisione” modelli culturali di gestione dei conflitti, opera edita dalla Utet di un giurista e filosofo docente all’Università di Siena, Giovanni Cosi, un libro utilissimo di formazione per i futuri avvocati ma anche un vademecum mentale per tutti coloro che oggigiorno – me e lei compresi – pensano di far valere le proprie ragioni anche se non sempre hanno ragione. Non posso quindi, al di là del mio mandato specifico di periziare, favorire – mi perdoni ma così essendo tardo ho compreso – alcuno. le scrivo ciò pubblicamente in modo che anche gli altri eredi capiscano le ragioni della mia rinuncia al mandato e non se la prendano – come sempre lei narra – con la sua emerita persona che, al di là delle posizioni personali nei confronti dei coeredi, si è sempre mostrata di una onestà adamantina addirittura lesiva per le proprie spettanze. Ed è proprio ciò – mi perdoni nuovamente – essendo chiamato a “dividere” equamente, che ha dato l’avvio alla rinuncia del mio mandato.
Signor Paolo Forti, sono solo uno che ha studiato molto ma molto ma sempre non abbastanza, e sul giudizio dei dipinti dei secoli XI-XVIII non mi sono mai paragonato – benché li abbia conosciuti e frequentati – al Briganti, allo Zeri, al Carli, alla Bucarelli, per dirne alcuni, critici di professione e non stracciaroli evoluti e topi di archivio, categorie alle quali appartengo “di cappa e di spada”, senza dimenticare di essere un collezionista compulsivo di tutto.
Detto ciò, la disamina del suo quadro mi ha portato a dirle di non essere affatto d’accordo con il pur prestigioso connoisseur e studioso di cui mi invia la perizia. Lo strano è: come mai dopo avere pagato un si valente critico ha pensato poi di rivolgersi a me affinché le potessi confermare quanto dichiaratole dall’esimio? Io non sono che un operatore di carta della vasta materia antiquariale, collezionistica, artistica e, come dicevo, rigattiera. Uno che scrive per professione e quindi con un lessico variegato che copre a volte – e come poi fanno tutti i critici – i propri limiti. Inoltre, sospettosamente, ho appurato che la sua email è la stessa di una certa signora “venditrice di erbaggi” con cui ho avuto in passato non poche grane, tali da esserci finito, e non a braccetto, in pretura. Scrivo “signora” poiché essendo di genere femminile non mi vengono in mente altre accezioni che quelle che mi riporterebbero in quelle giudicanti aule dove la tale sedicente antiquaria mi aveva portato querelandomi per averla definita, come detto, venditrice di erbaggi e frutta “pericolante” (più che matura); e ciò in effetti era la primaria e nobilissima, peraltro, professione della di lei madre al mercato rionale del Tufello a Roma ove la detta l’aiutava. Quindi, negli anni 2000 io avrei dovuto scrivere pedissequamente: “aiutante venditrice…” poiché non ne era titolare, ma tant’è. Il pretore, reso edotto dalla donna di come ella avesse un fiorente negozio di vendita di antichità con tanto di licenza e tasse presentate, mi ammonì, ed io replicai presentando le foto del materiale contenuto nel suo negozio a Via dei Coronari, nel centro di Roma, ove il falso primeggiava come primo articolo, negozio da tempo chiuso non per la crisi che ha colpito il settore ma per fini avvenimenti collaterali come: la morosità dei canoni di affitto, due o tre truffe di cui una consistente nell’aver venduto, alla Toto’, una fontana dipinta da De Chirico senza l’ausilio del maestro, e una piccola appropriazione indebita essendosi portato via (alla chiusura dell’attività) un portone ottocentesco in noce del proprietario dell’immobile, sostituendolo con un obbrobrioso e cimiteriale portone di quell’alluminio dorato che imperversa in Italia e che dovrebbe portare i quanti proprietari espositori non solo a severe pene detentive ma anche ad onesti lavori forzati, insieme, naturalmente, ai fabbricanti dei detti. Per farla breve io fui assolto, e la detta erboraia condannata alle spese processuali.
E ora ritorniamo a noi: caro signor Paolo, cosa debbo pensare? Voleva anche lei che scrivessi qualche colorato epiteto per il suo titolato perito? Che so: asinaccio, guitto di terz’ordine non esistendo il quarto, tale da confondere una pittura (100×90 cm) di scuola senese, “Matrimonio mistico tra S. Michele Arcangelo e Santa Caterina” (15 mila euro di stima, crederei io), con una di scuola veneziana con “Gesù bambino benedicente una regina turca (?!?)” e stabilirne esageratamente il valore a 50/60 mila euro, cosi da querelarmi? Eccola servito!
Signora Giuliana Levorato, la sua ballerina (cm 34) a firma Paolo Troubetzkoy (1866-1938) potrebbe essere assegnata allo scultore italiano di nobile famiglia russa. Dico “potrebbe” poiché cominciano ad essere troppe le repliche di tale soggetto e, non essendo d’altronde numerate, posso immaginare che ci siano molte repliche recenti. Comunque, come ho già scritto, nelle aste tali esemplari vengono venduti intorno ai 1.500 euro, e sinché dura…, e trovando il compratore… Certamente, e difficilmente, ci può essere una certificazione che ne attesti la paternità esecutiva trattandosi come detto di multipli senza l’indicazione del numero delle opere riprodotte e da parte di chicchessia. Le fornisco un’altra notizia in genere non conosciuta: la ballerina riprodotta è la giovine Lady Costance Stewart Richardson (1882-1932), nobildonna di famiglia illustre scacciata dalla Corte inglese proprio per il suo danzare”semivestita”.
Signora Manola Mancini, il suo vaso (cm 20 H 28) a cartigli savonesi-liguri è firmato Cesare Moretti Roma 1887, ceramista di cui non conosco né i natali né il percorso artistico. Alcune sue opere, ma con decori moreschi e di grande fattura tecnica, sono apparsi in alcune aste ma senza ulteriori informazioni. Il valore, naturalmente ai sensi della mia conoscenza e di fronte al suo malridotto manufatto, non può essere che di 60/70 euro.
Signora Francesca, la ringrazio innanzitutto per la stima e la mia lettura, le sue statuine (21-25 cm H) sono della Egidio Broggi, ditta milanese che si occupa soprattutto di posateria in metallo per la tavola non disdegnando nel campo la ceramica e la porcellana. Il pittore che le ha decorate, Adalberto Sampaolo (1924-2011), un marchigiano trasferitosi a Milano, aveva un bello e storico studio ai Navigli; valente artista, aveva trovato una sua personale versione pittorica del mondo rurale e contadino, estesa poi anche ad altri campi sociali. Purtroppo, come tutti i pittori in auge e “ricchezza” negli anni 70, ai nostri giorni non ha mantenuto valori di riferimento certi, e spunta nelle aste e nelle vendite (nei dipinti) cifre non superiori ai 150/200 euro. Le sue statuine, prodotti industriali della Broggi, soggiacciono a questa legge di mercato e valgono suppergiù ciò che lei le ha pagate e cioè intorno ai 60 euro.
Il signor Paolo Monacò ha recuperato in una casa di Accumoli (RI) comprata dieci anni fa ed ora purtroppo terremotata, tre libri. Il primo e il secondo: “La dottrina del parroco”, 1709 Ferri editore Ancona, e “Meditazioni su Gesù cristo”, Napoli Valiero 1709, valgono rispettivamente sui 50/70 euro il primo, 30/40 il secondo. Il terzo libro: “Anatomia chirurgica” di Bernardino Genga del Ven. Arc. Osp. Di S. Spirito, edito in Bologna nel 1687, è certamente quello più interessante ed ha un valore di 400 euro. Naturalmente le dette quotazioni sono per i volumi interi delle loro pagine e senza mancanze o gravi difetti, se pur sciolti, cioè non ben assemblati tra loro i fogli.
Ed ecco i quadri ed i quadracci
Il signor Andrea Morisani invia, per cominciare, una madonna con bambino “raffaellesca” (22×30 cm) dalla cui scarna foto e senza il retro non so sinceramente dire molto; sembrerebbe un lavoro di onesta mano ottocentesca e valutabile intorno ai 400/500 euro, ma… mah!
Il secondo quadro (110×88 cm) il lettore lo ascriverebbe al Giuseppe De Nigris (1832-1903), pittore pugliese, per via di una scritta evanescente e in stampatello apposta nella tela: io non lo credo tale, e sia pur nella sommaria visione di una brutta foto, lo valuterei, da arredamento, sui 300/400 euro per le dimensioni.
I due ultimi pezzi (60×70 cm) ad opera di tal Leonida Beltrami sono cose degli anni 60-80 che – consiglierei – non varrebbe la pena di appendere onde non guastare l’animo e la predisposizione benevola di chi per qualsiasi caso si possa recare in visita alla sua abitazione.
Il signor Concetto Cassarino ha posto alla mia attenzione un acquarello (20×30 cm) il cui retro tela riporta una dichiarazione, “anomala e imprecisa” peraltro, che lo indica genericamente come “del Campi” (sic), Giulio? (1502-1572) pittore ed architetto cremonese di vaglia, a firma di persona – perito, gallerista (?) – da me non identificata. Lo stemma centrale raffigurato che fa capo a Milano e al “biscione” dei Visconti suoi signori all’epoca è, per inciso, anche il marchio dell’Alfa Romeo. Gentile lettore, la scarna foto con il foglio incorniciato non mi aveva consentito che un giudizio sommario – d’altronde trattasi di bozzetto seriale che si potrebbe ascrivere a chiunque – ma le ulteriori più definite foto inviate mi inducono a crederlo una vera e propria contraffazione: labili e imprecise le figure, e le scritte di basso valore esecutivo.
Signora Irene Panada manda foto di un’opera a firma Nastuzzo (50×70 cm): Antonio Nastuzzo (1908-1990), artigiano bresciano, affreschista, copista di grande scuola italica, poi dedicatosi certamente con grande animo alla pittura vera e propria con una bella decoratoria, ma altresì modesta maestria. I suoi quadri hanno mercato solamente nella provincia bresciana ove si attestano sui 400/700 euro, altrove invece spunta cifre non superiori ai 150/200 euro.
Signor Alan dalla bella Liguria, il suo quadro di famiglia “Maddalena penitente” (50×70 cm) – di impianto ottocentesco ma con una tela fine bianca sul retro che mi parla anche di Novecento – è molto rovinato e di fattura non eccelsa. Considerando che un restauro ben eseguito con rintelaiatura e rifoderatura non le costerebbe meno di 1.000/1.200 euro, non glielo consiglierei di certo, poiché il quadro, ora sui 250/300 euro, potrebbe dopo aspirare ad una valutazione massimale di 600/700 euro (anche per il soggetto non certo agognato dal mercato).
L’affezionata lettrice Elena Bulla manda in visione una tela (33×36 cm) raffigurante un’Annunciazione che ipotizza essere del 600-700. Gentile signora, il suo olio è stato rintelato e non consente un esame del supporto tessuto ma nella raffigurazione dell’evento religioso si notano sedia e forbice ottocentesche. In più, parliamo di una pittura di mano e gusto popolare (con una eccezione nel singolare volto della vergine di esecuzione più felice, ma che lì si ferma) che non può pretendere valori superiori ai 600/700 euro.
Signora Gloria Paisano mia simpaticissima e fedele lettrice dalla provincia di Caserta, non si adombrerà se le comunico che il suo quadro conservato, ohivoi!, in famiglia da più di cent’anni! (sic), in realtà non mi parrebbe tale. La cosa (50×70 cm) da lei spedita, si riferisce all’epoca in cui un anonimo malfattore ha inteso, e deliberatamente, ovviare ad ogni canone di gusto e di attenzione per l’altrui vista, intorno credo agli anni 50 del 900, “pitturando” una povera tela certamente destinata ab inizio e dai suoi fabbricanti ad altro augusteo destino. Il delinquente in questione – a meno che non si sia trattato di un menomato mentale – ha certamente ipotizzato di poter essere per tale atto, e giustamente, redarguito quando non mai sufficientemente malmenato, indi sicuramente ha optato di firmare il suo delitto con nome di fantasia: “I. Franz”, onde non venire assolutamente rintracciato. Cos’altro le posso dire se non di distruggere bruciandola la cosa negligentemente conservata in famiglia?
Signora Rita Piroddu, la sua opera (50×70 cm) di tale Piero Masini si intitola: “S. Anna, la vergine ed il bambino con l’agnellino”, ed è una copia dell’originale di Leonardo da Vinci che si trova al Louvre a Parigi. Non ha che il valore di un centinaio di euro, per arredamento.
Incisioni e acqueforti
Signora Liselotte Illemann, la sua “originalradierung” (32×54 cm) proveniente dalla nonna, è una bella e suggestiva acquaforte. Non conosco né ho notizie sull’autore e/o incisore “M CL Crucini” da lei evidenziato sul foglio e collocherei l’opera tra fine 800 e 900 inoltrato. Per tali tipologie il valore ai nostri giorni è al ribasso, tanto che non vengono trattate nel mercato a meno che non siano di autori illustri e conclamati. È solo in virtù della bellezza estrinseca del suo esemplare che posso spencolarmi in un giudizio di valutazione intorno ai 300/400 euro.
Signor Renato Di Properzio, lei manda in visione una bella incisione (55,5×45,5 cm) edita dalla Calcografia Nazionale, raffigurante la Mole Adriana e Ponte Elio, incisore Luigi Rossini (1790-1857). Datare tali incisioni è problematico poiché la stessa Calcografia Nazionale (nascita pontificia nei primi decenni dell’Ottocento) che parla sempre di edizioni limitate in realtà non ha registri di alcun tipo sulle edizioni postume “tirate” sino al 1975 (anno della sua costituzione moderna). Comunque, il suo esemplare sul mercato attuale vale dai 120 ai 200 euro.
E come sempre, un saluto a tutti un abbraccio ai pochi!
Ottobre 2023
Signor Giuseppe Tassielli, il suo libretto “Elenchus tractatuum et quaestionum…” estratto di 31 pagine da un testo, è sì del 1757, ma certamente stampato posteriormente; John Duns Scoti ne è l’autore, detto Johannis Scoto, prete cattolico scozzese, frate francescano, teologo, filosofo e professore universitario (1265-1308), beatificato nel 1993. La sua opera omnia completa è stata stampata dalla Tipografia Vaticana in 12 volumi nel 1954; l’estratto in suo possesso, purtroppo, non ha alcun valore né storico né collezionistico, fosse pure stato stampato nella supposta data da lei indicata.
Signora Tiziana Fina, mi spiace ma il suo orologio su porcellana “FC Collection” (46 cm H) è un oggetto “bombonieristico” e viene venduto in atti negozi; fabbricato ovunque, non ha valore che per gli amanti qualunquistici delle cose un po’ così.
Signora Arianna Pace L. da Roma centro, la rubrica “L’Esperto”, che io da trent’anni gestisco, risponde ai quesiti basandosi esclusivamente su immagini, non so se mi intende bene, quindi non con l’oggetto “vero” di fronte, come sarebbe d’uopo e di norma per una valutazione seria e completa. Poi anni e anni di studio ed esperienza portano il sottoscritto – e altri colleghi in altri siti – a dirimere in siffatto “anomalo” modo. In genere, quello che si dà è un parere di massima che esclude – certo ad occhio, e questo ci sta – le cose che non valgono nulla o poco, oppure si danno valutazioni di massima ai begli oggetti, dettate non dal perito per suo buzzo ma dal mercato: negozi, fiere e case d’asta. Siamo mestieranti dell’arte e dell’antico che cercano di fare quel che possono con, a volte, foto orrende e nessuna informazione, che i lettori quasi sempre si ostinano a non rivelare forse per metterci alla prova. Altri addirittura ci spediscono foto tratte da cataloghi d’asta per provare la competenza. Quindi, ed è la terza o quarta volta negli anni che glielo scrivo, non può pensare che le possa valutare la sua immensa magione con foto d’insieme di decine e decine di mobili, oggetti, quadri alla rinfusa… E non mi scriva più “se la chiamassi a pagamento correrebbe” (sic), che la mando a villeggiare prontamente in quel paese che più o meno tutti hanno di già visitato nella vita. Io per sua norma non corro da chicchessia, ed inoltre, un conto è vedere le cose dal vivo e un conto è farlo confusionatamente come intende lei per posta. Ma per quel che mi riguarda e che le significo, accetto pochi incarichi professionali di valutazione, metto delle condizioni, e discerno anticipatamente se il futuro cliente mi stia a genio o meno. Le comunico che lei, per tanti motivi che mi esautoro dall’elencarle, non potrebbe certamente rientrare in quel ristretto numero.
Signora C.G. (amica comune con il professor “Lindo”, vecchio “trasteverino e portaportesaro” che a me la invia), i suoi grandi piatti cinquecenteschi “a lustro” acquistati a caro prezzo in Belgio vent’anni fa (lascito di una casa nobiliare) senza alcuna documentazione né provenienza altra se non la dichiarazione su foto di appartenenza specifica che li escluderebbe da furti o trafugamenti, a me sembrerebbero della serie prodotta a metà Ottocento dalla Ginori di Doccia quando ne era direttore l’antiquario fiorentino – ma non adamantino – Giovanni Freppa (1795-1870), che di altre clamorose truffe fu autore. Scoperta la frode – ne vendette a josa sul mercato dopo averli artatamente invecchiati e/o rotti e ripristinati con diligente restauro addirittura non visibile ad un primo esame visivo! – ne nacque l’allora famoso “scandalo Freppa” che gettò lo scompiglio tra compratori privati e musei. Comunque, non sono cose da trattare per foto da “un perito di carta”. Deve rivolgersi ad esperti precipui della materia e conseguenti laboratori d’analisi (anzi prima). Ho azzardato un libero parere poiché tali tipologie sono rarissime in siffatte dimensioni (38 cm), in tale stato di conservazione e senza mai nei secoli essere state inserite in nessun catalogo, retrospettiva o mostra con probanti immagini. Non pubblico, come richiesto.
La signora Loredana Cervello manda immagini di un servizio da tavola da 12 completo – scrive – senza elencare però gli elementi acclusi ai 24 piatti e che io deduco da una succinta foto. Il servizio è degli anni 50-60 del Novecento, realizzato dalla LB, una delle centinaia di fabbriche della rinomata industria ceramica della allora Cecoslovacchia, non censita nei prontuari. Ai nostri giorni affatto richiesto dal mercato, il valore, per un servizio intonso e senza alcun difetto anche nei decori, è intorno ai 400/500 euro; anni fa andava oltre i 1.000.
Signora Anna Ragghianti, mi rivolgo a lei e ai tanti lettori a cui le risposte tranchant dell’esperto possano apparire sminuenti verso gli oggetti dei ricordi famigliari che, come nel caso del suo servito da te o cioccolata, costituiscano qualcosa di affettivo intrinseco e inalienabile. Ma… ma quando si fa esaminare a professionisti o addirittura ad un museo (il Sartorio di Trieste) un servizio per certi aspetti preludio ad una più accentuata facies déco ma di non eccelsa qualità né riconducibile appunto a scuole o ad autori di rilievo, per tali manufatti appartenenti e sommariamente ai primi decenni del 900 si riceverà sempre la stessa risposta di non identificazione specifica. Per remoto caso ci potrà sempre poi essere qualcuno che, perito o meno, magari abbia reperti analoghi dove si palesi un marchio capace di ascriverli pedissequamente a produzioni, ma difficilmente. Il valore poi che per compito debbo assegnare, e ai nostri giorni scevri dalle memorie e avulsi alla cultura, è modesto, anche in ragione di una tazzina mancante e dei decori sbiaditi: sui 60/80 euro, il doppio magari nei mercatini dove vendono i pezzi singolarmente per i vari collezionisti (chi di tazzine, chi di teiere, versatoi e zuccheriere).
Il gradito lettore Donato Luna mi sottopone un servizio da te del designer argentiere lombardo Guido Niest, argentiere, preciso, di cui non ho mai visto una creazione nel metallo prezioso titolato (400-600-800-925-1000) ma solo composizioni in lega a bassissimo tenore (tale da non poter essere punzonato). Tutte le sue produzioni, come il servizio da te/caffè in oggetto, sono in galvanizzatura o silver plate. Lei signor Donato mi rinvia a un sito americano (e la ringrazio per l’informazione) che ne valuta uno identico al suo 7.200 dollari, il che mi pare veramente eccessivo. Nelle case d’asta i singoli pezzi del designer Guido Niest vengono battuti con stime di 200/300 euro, nel suo atelier oggigiorno vengono proposti in vendita tra i 500 e i 1.000 euro ed oltre. Il servizio in suo possesso, composto da piatto e quattro pezzi, è a mio avviso valutabile intorno ai 500/800 euro, se intonso in ogni sua parte. La variazione è data dal non eccessivo trasporto del mercato verso manifatture che continuano a produrre a livello di designer ma senza che i prodotti vengano quantificati e relegati a certificate “tirature”, e/o proposti in metalli preziosi “veri”, e che non hanno prestigio di marchio sufficientemente conosciuto da classificarsi come “brand”.
La signora Lina L. da Varese pone due quesiti. Il primo riguarda un lampadario prettamente novecentesco (H 95 cm) in ottone e bronzo patinato: fossero originali le rose di illuminazione in vetro lattimo il suo valore sarebbe sui 600/1000 euro, altrimenti 400/500 (vent’anni fa il doppio). Il secondo quesito riguarda una lampada da terra degli anni 60 del Novecento che potrebbe essere, scrive la preparata lettrice, una Ruse & Kuntner, oppure, dico io, una Hans – JorgWalter & Josep Kuntner per Knoll, ma purtroppo tali pezzi non avevano marchi e/o loghi se non cartoncini stampati e legati alla lampada stessa. Stabilirne quindi l’originalità è arduo, e difatti dai 1.000/1.500 euro a cui si potrebbero alienare tali lampade se certificate, si passa al valore di 250 euro per i pezzi “anonimi”come nel caso della lampada in oggetto. Potrebbero esserci periti di tali tipologie che certamente ne sappiano più di me ma che io non conosco e non posso indicare.
Il signor Lello da Caserta manda foto di un pianoforte a coda in piuma di mogano, con due pedali e 6 ottave, siglato Balaschovits (Karoli burger cioè cittadino di Vienna), un magnifico pezzo arredativo, museale, di cui però so solo che vinse una medaglia d’oro ad una esposizione viennese nel 1839 e null’altro, né della meccanica né della valenza musicale dello strumento. Le posso consigliare in rete: Pianos Schaeffer, consulenti francesi di alta fascia che la potranno ragguagliare in merito.
Riguardo ai mobili di cui non si cura inviare le misure (…e vabbè!): il cassettone è del 1920-40, la vetrina (ciliegio?) degli anni successivi. Tali mobili, che nel passato valevano: sui 1.000 euro il primo e 600 euro il secondo, ora sono rispettivamente sui 400 e 300.
Pot-pourri di QUADRI
Signor Enrico Giammartini, la sfortunata – per tanti motivi famigliari – Maria Brignole Sale De Ferrari Duchessa di Galliera (1811-1888), senza eredi, lasciò le sue proprietà, palazzi ed arredi, al Comune di Genova ed a suoi ospedali, le Fondazioni dei quali, San Filippo e Galliera, vendettero le quadrerie e gli arredi loro assegnati attraverso aste pubbliche. Il suo quadro con “putti” (cm 106×85) fa parte quasi certamente di una delle tali alienazioni. All’epoca le opere d’arte venivano vendute al miglior valore soprattutto per la fama del proprietario, e la duchessa Galliera, sia per la sua difficile vita sia per l’altisonanza del casato, aveva un grande prestigio in Genova e non solo. Quindi, signor Enrico, la sua opera fu certamente acquistata dalla casa liquoristica Stock negli anni 60 a caro prezzo e/o comunque proposta come primo premio ad un concorso (1960) il cui secondo premio era addirittura un’autovettura. Il premio vinto dal nonno di sua moglie è un’opera settecentesca di bella mano che pur tuttavia – a mio modesto avviso – non raggiunge una maestria tale da potersi attanagliare ad un determinato maestro o ad una scuola definita di pregio. La valutazione potrebbe andare, per i motivi detti, dagli 8 ai 10 mila euro.
Signor Luigi Flisi la sua battaglia navale (cm 128×95) è a firmata Herman Conrad, artista noto negli anni 50-70 al pubblico, ma sconosciuto alla critica. Secondo alcuni il pittore era nato a Napoli nel 1935, secondo altri era un ufficiale tedesco di stanza a Napoli nella seconda guerra mondiale, poi ivi stanziatosi nel dopoguerra. La sua produzione è stata abbondantissima tant’è che si sospetta che vari pittori del genere abbiano usato – al tempo della notorietà – sia i suoi modelli sia la sua firma. Comunque, posto che fosse esistito nella sua interezza artistica, ai nostri giorni viene valutato alle aste e nel mercato a prezzi irrisori: un centinaio di euro per le belle battaglie o i gonfi velieri al vento. In internet alcuni profani propongono l’artista a 500/700 euro, ma credo senza costrutto alcuno. Il suo quadro lo valuterei, per le dimensioni arredative, sui 200 euro.
Signor Paolo Vallarano per il suo quadro a firma Spurio 1978 (cm 40×50) non le potrei indicare alcun canale di vendita: l’artista Mario Spurio (1934 Roma) non è trattato né in aste né in gallerie; era uno di quei migliaia pittori che non certo scevri di passione e talento non assunsero, però, mai rilievo di artisticità tale da poter essere considerati dal mercato e di conseguenza valutati.
Signor Luciano Scarpante da Porto Tolle (Ro), il suo quadro (cm 36×27) – al di là delle attribuzioni al Crespi o al Galizia avanzate dagli antiquari che attribuiscono generalmente tutto a qualcuno conosciuto – a me, e a prima vista, ha parlato di scuola fiamminga seicentesca di elevato spessore, ma le mie competenze in materia non mi consentono di andare oltre. Mi mandi gentilmente foto del retro della cornice “ripulita” e della tela, per ulteriore disamina.
Signor Aldo Ciccina da Centocelle Roma, ma suvvia! …mi vuol far credere che qualcuno le abbia offerto migliaia di euro per il quadro inviatomi in visione? Io non vorrei offenderla, ma lei non si permetta di offendere me. Non pubblico il quadro, non vorrei che fosse uscita qualche legge – da me invocata e perorata – sulla lesione all’ars visiva, con riapertura del carcere duro dell’Asinara dove ci terremmo non gradita compagnia.
E come sempre, un saluto a tutti un abbraccio ai pochi!
Settembre 2023
La signora Franca Boero mi scrive in merito a dieci piatti di peltro a firma Nino Ferrari sul retro incisi.
Nino Ferrari, nome noto ai cultori dell’arredamento di stile e architettura e a pochi altri, nacque e nel 1908 e morì nel 1981. Artigiano di grande spessore dei metalli tutti dai poveri ai preziosi, partecipò alle Triennali d’arte decorativa dal 1933 al 1951e collaborò con illustri architetti: da Gio Ponti a Frette a Camus e ad altri, per i quali elaborò tante creazioni presentate nelle riviste Domus, Stile, Casa e Giardino e altre pubblicazioni varie. Le sue creazioni avevano prezzi elevati, ma non v’è documentazione sufficiente ad appurare dove fosse la sua originale idea e quella degli illustri committenti che naturalmente avevano tutto il guadagno ad appropriarsi comunque delle idee esecutive “dell’artigiano”. Il Ferrari aveva una famosa bottega in Via Floriano Ferramola a Brescia dove per decenni e sino al 1979, con altri valenti collaboratori del grande artigianato “metallurgico italiano”, produceva dei veri e propri capolavori che esponeva e vendeva in grandi manifestazioni dell’arredamento ma sempre e sotto l’egida dell’artigianato che diventava arte, come sopra detto, quando se ne “appropriavano” i grandi designer italiani. I suoi piatti, signora, purtroppo non fanno parte delle serie dell’artigianato elaborato, colto, da esposizione e designer, sono relegati all’ambito di bottega seriale e fatti per la massa della borghesia. Difficile dare loro un valore anche perché nel mercato non v’è molta circolazione di cose del Ferrari. Mi spencolo autonomamente: sui 70-80 euro a piatto.
È da parecchio oramai che non ricevevo quesiti sul famigerato “capodimonte”. La signora Monica Alfieri nuova lettrice all’oscuro di quanto scrivo da decenni (e cioè che il marchio da oltre un secolo è adoperato senza privativa da chi lo voglia – cinesi compresi) manda un quesito cieca un’alzata in ceramica (cm 36,3×19 H) marcata Capodimonte – Bernini. Signora, innanzitutto il pezzo non è dei primi del Novecento come lei scrive ma degli anni 70, ed è un prodotto di non identificata fabbrica credo vicentina (Bernini è la serie) conosciuta solo per questi prodotti così connotati, come potrà appurare su siti di vendita privati in rete. La sua alzata, se integra e senza alcuna rottura, può valere sui 50 euro.
Signora Linda L. da Varese, le sue sedie sono prodotti eclettici; fabbricate con tornio e pantografi industriali sin dagli inizi del 900, uniscono la neo arte rinascimentale umbertina al nouveau e probabilmente sono state fabbricate negli anni 40. Purtroppo il loro valore è molto basso: sui 150/200 euro tutte se in buone condizioni, e se invece molto tarlate addirittura sono invendibili.
Signora Lionella Zafferini, lei ha inviato due foto scarne e mal fatte di un supposto servizio da tè senza indicarne i pezzi componenti ed il numero. Ma le rispondo egualmente perché anche altri lettori, Faldini e Riola, mi hanno inviato marchi della corona della Baviera (Germania) che sono spuri, nel senso che vorrebbero appartenere come tipologia alla Porzellanfabrik Shumann di Arzberg ma non ne hanno né stile né qualità (e anche il marchio è infatti poco omogeneo). Sono servizi degli anni 50-70 del ‘900 probabilmente prodotti in Asia o Cecoslovacchia e valgono comunque sui 40/60 euro cadauno come oggetti decorativi.
La signora Claudia Ukmar manda in visione un vaso della Schiavon Ceramica, degli anni 80 credo, quando Luca Schiavon (figlio dei ceramisti Elio e Linda Metta) dopo essere andato per studio in Giappone e averne appreso diverse tecniche, una volta tornato iniziò la produzione ispirata agli stilemi di quel Paese. Le sue brutte foto non consentono un bell’esame del vaso (36 cm) ma il marchio lo assegna alla produzione della manifattura e non a quella personale di Luca (che firmava stilizzato con una S ed una L), pertanto, esso ha minor valore: sui 200 euro.
Signor Pier Luigi Deiana, lei ha una cassaforte inglese del ‘900, F. Andrew-Birminghan (cm 45x40x65) purtroppo aperta dal retro da un fabbro, e con ciò le debbo confermare che tale atto l’ha resa non solo inutilizzabile ma invendibile. Il valore di una cassaforte sta nella sua integrità: già forzata e comunque aperta anche sul davanti è ai nostri giorni non più ripristinabile nei suoi meccanismi e non ha più alcun valore se non a peso del metallo o come oggetto di arredamento da giardino. Valore, 50/70 euro.
E con ciò rispondo anche al signor Paparesta quanto al suo forziere blindato ottocentesco, Ponzo & figli – Milano, tagliato con una fiamma ossidrica.
Signor Stefano B., sì! il suo servizio da caffè in porcellana da 12 è degli anni 70-80 del ‘900. Il marchio apposto della prestigiosa Winterling di Kirchenlamitz (comune tedesco della Baviera) è stato usato dalla ditta dal 1950 sino al 2000, anno del suo fallimento. L’azienda iniziò l’attività nel 1938 con Eduard Witerling il quale da direttore di un industria tessile, per avvenimenti nell’allora mercato di guerra, divenne direttore di una manifattura di ceramica-porcellana, e che nel 1950 si costituì come Gebruder Winterling.
Il valore ai nostri giorni è in netto calo rispetto al passato, per l’assoluto disinteresse a tali apparati da tavola; il servizio potrebbe spuntare, se in stato di perfezione anche nelle dorature e nei decori, sugli 80/120 euro. A comprarlo nuovo – non so se ancora vendano porcellane del genere – minimo andrebbe a costare sui 300/400 euro.
L’affezionato lettore Roberto Desogus dall’incantevole pur soleggiata, come scrive, Sardegna, scrive ponendo alla mia attenzione due vasi. Il primo (altezza 14,5 cm) è opera del maestro ceramista Raro Pastorelli (nato ad Arcidosso GR nel 1924 e morto nel 2003 ad Avellino, ove aveva bottega e negozio). Valore, sui 150 euro. Il secondo (altezza 12 cm), che è firmato sulla base A. Bucci Faenza, al lettore piacerebbe fosse opera del grande maestro coroplasta Anselmo Bucci (1887-1956) ma, mi spiace, non credo sia così. Il faentino era grande tecnico sia della pasta sia della decorazione, e i suoi modelli hanno ognuno un che di unico e di bello, qualità che purtroppo non riscontro nel vaso sottopostomi, che ha linee, modellazione e decoro seriale.
Bella la sua continua ricerca ceramica e sui suoi maestri. Forza Paris.
QUADRI e quadretti
Signor Antonio Ferro, lei pone in visione un’opera dell’artista Angelo Di Santo che in rete (e solo) ha quotazioni veramente alte per un arte che, le dico francamente, è cosa da mestierante di limitato bagaglio pittorico. A me spiace sempre svalutare persone che dedicano con sensibilità e passione la propria vita all’arte, ma al di là del giudizio del critico, se vogliamo effimero e transeunte (e quanti artisti tipo, per dirne uno, Vincent van Gogh,sono stati “oltraggiati” in vita da critici somari di cui non si ricorda ora neanche il nome), purtroppo quando si risponde a dei precisi quesiti qual è il suo, che non dubita evidentemente del livello del pittore ma ne chiede una valutazione, io sono costretto a rispondere: dai 30 ai 70/100 euro, e ciò corroborato dal fatto che il Di Santo non è presente nelle gallerie specializzate, nel mercato e nelle case d’asta e, a mio sommesso avviso, è un – semmai – bravo decoratore, nulla di più.
Il signor Gino Del Nero invia tre quadri. Il primo è delle serie anni 60-70, pezzi forniti da pittori seriali a mobilifici e negozi coloristici, il cui costo della cornice è certamente superiore all’opera contenuta. Gli altri due, invece, hanno la firma prestigiosa di uno degli esponenti pittorici più difficili ed estroversi del 900 italiano ma di riconosciuto talento internazionale: Ottone Rosai (1895-1957). Naturalmente, signor Gino, non le posso certo dichiararne l’autenticità né il valore da immagine, la posso indirizzare, se crede, al professor Giovanni Faccenda, che tra l’altro è preposto al Catalogo Generale Ragionato dell’artista – info@ottonerosai.it.
Signor Giovanni Bannino, purtroppo il suo quadro firmato Mal Bell AC67 è cosa di nessunissimo interesse artistico.
Il signor Paolo Mal manda in visione due quadretti ottagonali (cm 20×35) di impronta settecentesca. Purtroppo ho visto tantissime cose analoghe rifatte di sana pianta ai nostri giorni, e l’estrema rifinitura nonché l’essere in coppia – a meno che non abbiano subito un recente restauro – mi fanno, appunto, pensare. Fossero autentici, cosa che le scarne foto non mi danno modo di verificare, varrebbero sui 250 euro cadauno ,altrimenti 70/100 euro la coppia.
Il gentile signor Maurizio Marchetti Morganti manda alla mia attenzione un quadro (cm 100×75) che potrebbe rappresentare San Luigi Gonzaga (ma anche altri santi hanno un ‘iconografia simile). L’opera, novecentesca, non è di grande composizione né di eccelsa mano, in più è talmente devozionale da poter trovare alloggio, e solo, in un luogo di culto. Non la considero affatto appetibile per il mercato, e la quotazione quindi – benché sia stata rifoderata e restaurata – può essere sui 300/400 euro.
Affezionato lettore Massimo Ferrario anch’io, come il suo Cristo sofferente (cm 51×40) in tela incollata su tavola (?), alla sua disamina mi sono rattristato, ma lei mi è simpatico e gliela dirò così: il quadro, simile a quello che avevano come “capezzale” i suoi genitori nella loro camera da letto, e che lei ha ritenuto di dover comprare (non mi rattristi vieppiù e non mi dica a quanto) è sulla tipologia dei cristi sofferenti del Reni, ma il suo esemplare è reso “masaniello” dalla veste rossa annodata a fiocco garibaldino sul davanti. Naturalmente di modesta composizione (in controluce si vede un bassissimo spessore pittorico omogeneo), andrebbe visto senza cornice e a luce radente, ma se è per “ricordanza” e devozionale, va bene così. Il valore comunque, avendo cornice un po’ scomposta e fosse una vera pittura e non una ridipintura su un cartone, sarebbe sui 300 euro. L’abbraccio comunque.
Il signor Daniel Samalia pone alla mia attenzione quattro quadri. Il primo (cm 80×80) è opera dell’artista pop belga Antoine Liesens che, pur avendo prezzi sostenuti in siti ufficiali, nelle aste non riesce a spuntare che cifre dai 50 ai 150/200 euro. Il secondo pezzo (cm 60×120) è del pittore Antonio De Vity (pseudonimo di Umberto Morone, Napoli 1901-1993); anche lui in rete spunta cifre interessanti ma le sue opere alle ultime aste (Ponte-Gelardini) scendono ai 100 euro. Il terzo quadro (cm 64×55), con nome non identificato dal signor Samalia e neanche da me (Paris 1934), come pezzo arredativo vale sui 100/150 euro. Ed in finis, Edoardo Guerrero (cm 65×25), nome a me sconosciuto, la cui gradevole natura morta vale un centinaio di euro.
Un ben ritrovato al dott. Gianluca Destro che, laureatosi recentemente all’Università popolare di Google, aspira, scrive, a sostituirmi nella rubrica, e vista più che la mia senescenza la mia arteriosclerosi galoppante non gli sarà poi così arduo.
E veniamo, sino a che ne sono titolato, a rispondere ai suoi quesiti. Il primo riguarda un Picasso (autoritratto) di cm 67×51 e consigli, firme discriminanti e altre banalità del genere. I “picasso” sono tali (innanzitutto accompagnati da corposa documentazione, che i ritrovamenti in soffitte, cantine, bauli o mercatini sono balle) se li dichiara la Fondazione preposta o, in subordine, un grande esperto del Maestro a livello internazionale, ma non vi deve essere alcuno in contrasto a tale parere, altrimenti è solo la Fondazione che detta legge, e benché i Tribunali possano darne parere diverso, poi chi è che compra a suon di centinaia di migliaia di euro? Comunque, a mio avviso – sommesso – il quadro non è autentico, altrimenti tutti i “volponi e volpette” che lo hanno visionato non lo avrebbero lasciato senza “uccidere”.
Riproduzioni di Gaetano Previati? Cosa significa… che sono stampe? E per quale oscuro – a me – motivo avrebbero consigliato di comprarle?
La brocca di brutta produzione “talebana” è da tenere quale arma d’offesa e visiva e quale tangente per qualche malintenzionato si introducesse nella magione.
La litografia di artista non decifrato non si spertica in arte, in trasparenza v’è la filigrana (sembra fabbrianese) del foglio usato per la tiratura. Apro e chiudo il capitolo sull’artista (parente della sua compagna) Fausta Squatriti, certo personalità eclettica del panorama artistico italiano degli anni 60-70 che io, detto per inciso, non conosco bene, né amo granché. Di lei, in giro ed in alcuni siti e/o gallerie si danno elevate quotazioni che vanno però a cozzare con i risultati delle case d’asta presso le quali alcune opere hanno avuto aggiudicazioni di un centinaio di euro a malapena. Scritto ciò, vi sono tra i suoi lavori anche cose mirabili come il bel disegno di nudo inviatomi.
E a tal punto, non mi resta che attendere “a mancina” il suo “destroso” annunciato arrivo in redazione.
IL QUADRO
L’opera (cm 78×58) me la invia il signor Alessandro Tramontano. Vendutagli anni fa come ritratto di Luigi XV, dopo ricerche ha invece appurato essere simile al ritratto fatto al Principe James Edward Stuart detto Old Pretender, figlio di Giacomo II d’Inghilterra e Re di Scozia con il nome di Giacomo VIII dal 1745 al 1746, ritratto eseguito da Alexis Simon Belle (1674-1734) famoso ritrattista francese di nobili e giacobini. Il detto ritratto (cm 136×104), come ho appurato dai cataloghi della Dorotheum asta del 9-6-2020, è stato bandito (lotto n. 107) con una stima di 30-40 mila euro e aggiudicato a 50.300.
Signor Alessandro, c’è una certa somiglianza anche negli abiti “di scena” usati per ritrarsi (che erano poi simili secondo il grado nobile di appartenenza) ma, e al di là di questo, la pittura del Belle è intrisa di un phatos seriale proprio di un ritrattista di corte ed è incentrata sullo sguardo del principe designato e voluto, mentre il suo dipinto ha toni coloristici e dettagli più reali ma meno incisivi, meno fulgenti, e non raggiunge l’apice, a mio vedere, dell’arte ritrattistica. Ma… ma è d’uopo che io rammenti – a lei e a tutti – di non essere precipuo esperto di arte ritrattistica di corte o nobiliare antica anteriore al XIX. Il mio è un parere di vecchio frequentatore di mercati, aste e quant’altro e possessore di una ricchissima biblioteca di conforto a tale scorrere. Comunque, e a mio modesto parere, il suo quadro può essere stimato tra i 6 e gli 8 mila euro.
E come sempre, un saluto a tutti un abbraccio ai pochi!
Agosto 2023
Purtroppo ho capito che anche i lettori fedeli e gli amici, non sempre si ricordano o sono spronati, esortati, attirati dalla lettura della mia rubrica mensile. Ma d’altronde ciò è tipico della nostra epoca, attratti da un’infinità di cose che ci occupano interamente la vita quotidiana, e dove anche il non fare nulla è diventata una normale – piccola o grande – abitudine. Nulla a che fare naturalmente con “l’elogio dell’ozio” a cui spronava cerebralmente il grande filosofo Bertrand Russell.
E allora ecco che una mia affezionata lettrice da “trent’anni”, la dottoressa Pina Salvadori Benni di Milano che “mi vuole bene come un figlio” (sic), “mi ammonisce”: “professore io credo che lei sia un mostro di sapienza, ma a volte mi pare che lei sappia troppo (!?) cioè spazia talmente sulle materie da risultare o un genio o uno scaltro che trae poi le risposte da internet come noi tutti comuni persone” (sic). E seguono degli “ammonimenti” a non discettare troppo sui quesiti a vanagloria (!?). Dottoressa lei mi lascia basito, ho sempre scritto e più volte – ma già, dimenticavo appunto che non tutti e non sempre, pur essendo affettuosi lettori che mi leggono – che più mi impegno nello studio e nella conoscenza e più realmente capisco di non capirne un granché e di non saperne molto. Rispondo ai quesiti con ciò che ho letto e appreso nella vita, e certamente più che su internet con la consultazione di libri, cataloghi opuscoli, prontuari e quant’altro dispone la mia vasta – certamente ben più di me – biblioteca. Sommariamente, credo di aver capito nel tempo di essere abbastanza ignorante da non dovermi vantare, e lo dico senza alcuna falsa modestia e dolendomi di non aver abbastanza studiato e di aver perso tanto tempo nella vita in altre attività certamente piacevoli ma talmente transeunti da non avermi lasciato nell’essere che avvizzisce, nulla.
A tal proposito, dottoressa Pina pluricentenaria “mamma”, eh sì! che pur saltuariamente – e poco fidandomi – ricorro a Wiki, ma mi sovviene che se anche voi scaltri lettori ne avete l’accesso perché poi mi scrivete per saperne qualcosa? Eh… lo so di vivere un mondo improbabile, dove ai produttori di prosciutto di Parma (quelli del “venticello locale” che fa del loro prodotto un “unicum”) che si riforniscono da allevamenti dove l’igiene e la norma sono sconosciute e gli animali soffrono in dei “lager” (magistrale servizio Report Rai 3), fanno da contrappunto le iniziative “culturali”, ad esempio della città di Vinci (Firenze), dove hanno creato la festa dell’Unicorno: oh… gente adulta…, non bambini, travestita da gnomi, elfi e quant’altro, che passeggia in improbabili mise da carnevali mica di Venezia o Viareggio ma di proloco di paese! Mi verrebbe da dire, fossi buono, da deficienti. E ciò nella patria dell’immenso Leonardo! Oh tempora o mores… E mi viene da dirvi semplicemente: non consumate mai più il Parma né andate a Vinci, non è che cambierete la vostra vita ma… ma la potreste cambiare a loro!
Il professor Ugo Soragni, che ho conosciuto leggendo i suoi importanti saggi (già Direttore generale dei Musei del Ministero della Cultura, saggista e conoscitore della pittura lombarda e veneziana dei secoli XV e XVI, con pubblicazioni su Giorgione, Bellini,Tiziano, molteplici incarichi pubblici e una bibliografia sulle architetture italiche sorprendente), mi fa l’onore di scrivermi per poter valutare un quadro in suo possesso (cm 200×120) riportante la scritta del nome dell’effigiato: Comm. Antonio Bellini 1944, ma non la firma dell’autore che io credo di poter individuare nell’ottimo pittore mantovano Ugo Celada da Virginio (1895-1995). L’artista, iniziando la carriera giovanissimo, produsse nel corso del tempo molteplici opere attraversando diverse transizioni pittoriche, ma sono riconoscibilissimi i suoi ritratti e le nature morte, per quell’aurea nitida e sorprendente di pacatezza pittorica che lo ha sempre distinto nel corso della sua centenaria vita. Il valore della sua tela, professore, è a mio avviso intorno ai 1.500/2.500 euro poiché, purtroppo, trattasi di ritratto di privato non sufficientemente noto per proporlo a città, enti o parenti, ed in più non firmato e non avente (almeno lei non me ne parla) documentazione di passaggi. Può usare liberamente questo mio giudizio per un’attribuzione di massima.
Piccolo professor “accademico delle ciabatte e quant’altro” Sergio N.: lei è avanti con gli anni ed io non voglio “spubblicarla” né tanto meno offenderla, anche se lei non si perita di definirmi uno “dei tanti” periti della rete che scrivono per riempire una rubrica, senza né studi né arte (sic). Sergio, diamoci del tu: io provengo da una rivista che – sia pur specializzata nei mercati di piccolo medio antiquariato – è stata stampata a distribuzione nazionale per trent’anni con una tiratura di 10-12 mila copie mensili. Senz’altro ho studiato più di te, e so che in Europa il peperone – sì, quello che insieme a carote, verdure e cipolle adorna la natura morta del signor Paolo Inverni che tu hai definito pittura dei primi del 400 – è invero un ortaggio giunto insieme alle altre mercanzie che dal secondo viaggio (quello del 1493) un certo genovese, Cristoforo Colombo, portò da terre lontane nei nostri lidi. Ma e al di là di tale dato di fatto, quello che mi colpisce in alcuni individui, tipo te, è la tracotanza “ad libitum” con cui ci si permette il confronto con altri esperti che giudicano da semplici immagini, come me, e non dal vivo come – ma erroneamente – hai fatto tu. Ed inoltre la tela della natura morta in oggetto è stata tessuta addirittura con un telaio meccanico tipo a “licci” (Prato dopo il 1870 in Italia) e non ha nulla a che fare con le prime tele da pittura quattrocentesche dove si vedono le imperfezioni dei telai a mano, spoletta e piede. Ma prendere una pittura ottocentesca per una “dei primi del Quattrocento” è una cantonata talmente grande che, non fossi tu avanti con l’età, senz’altro ti pubblicizzerei con nome e cognome per quel che sei realmente e cioè un pensionato ex docente di arte in una scuola media, che d’improvviso si è scoperto connoisseur e perito. E ciò con tutto il rispetto per tutti i professori italiani di ogni ordine e grado ai quali – pagati poco – tocca ai nostri giorni trattare con equidi minori e loro procreatori, asini veri, così come tocca anche a me – ma perlomeno ben pagato – con te, Sergio N.
Signor Andrea Bonora, il suo “disegno” è una litografia dell’ottimo disegnatore ed illustratore Natalino Arfelli (1922-1997) che lavorò ad alto livello per libri, giornali, riviste e fumetti. Purtroppo le lito non sono più commerciabili ai prezzi di una volta e in più la sua: Bologna le due torri – 1978, è pezzo ad alta tiratura (159esima su mille) e può valere, nella città felsinea, poche decine di euro.
Il signor Francesco Lamaddalena pone due quesiti. Il primo riguarda uno pseudo arazzo (cm 100×100) tessuto industrialmente negli anni 70-90 del Novecento, di nessun valore monetario. Il secondo (di cui non manda misure, non indica se funzionante e né riferisce alcuna caratteristica tecnica a supporto) è un orologio tipico della Foresta Nera, zona nel sud est della Germania caratterizzata dalla Deutsche Uhrenstrabe, o strada degli orologi, dove ci sono centinaia di fabbriche e laboratori, alcuni con prodotti di prestigio altri con orologi per turisti a mo’ di souvenir. Lei, signor Francesco, pensa che la semplice provenienza lo collochi ad avere “discreto valore”, ma cosi non è. Il suo orologio, ad occhio, è un prodotto senza meccanismo di pregio, senza funzioni di “cucù” (funzioni predilette) ed ha una strana campanella, probabilmente fatta fare su ordinazione per scopi che si ignorano. Se funzionante perfettamente, il valore è sui 150/200 euro, altrimenti 60/80.
Signor Paolo Accardi, purtroppo il suo quadro (cm 50×70) fa parte di quelle opere eseguite da mestieranti negli anni 60-80 a scopo arredativo, e dove l’arte non è presente. Le vendono nei mercatini a decine di euro e le comprano per le cornici.
Signora Luisa Ghirimoldi, non ho cercato a lungo notizie inerenti il pittore Fulvio Sala 1965 inviatomi giacché il suo quadro (cm 48×68), pur avendo una certa mestizia, tradisce il suo carattere di scarna pittura da non professionista. L’altra opera della stessa misura non appartiene alla mano del pittore detto ma peggio a quella di un mestierante – pur altrettanto privo della peculiarità artistica – degli anni 60-80. Come oramai ripeto ai lettori in tante risposte, si tratta di opere di nessun valore se non quello sommariamente arredativo e/o quello economico di recupero delle cornici (che oggi, a farle fare, dovete privarvi di un occhio della vostra testa o di quella di qualcuno a voi vicino, parente o sodale che sia).
Signor Luca Collina da Bologna, mi spiace dover essere rude con lei così gentile, e non vorrei essere ‘sì profanatore di memorie parentali, ma la pittura (cm 26,5×40) postami in visione è copia di basso spessore artistico del Cristo sofferente del Reni. Gliela dico tutta: di mano dello stesso donatore o di altri scarni e scarsi pittori a lui coevi? Il quadro, compresa la sua cornice, può valere 250/300 euro, per una cappelletta o casa di campagna a rischio furti.
Signor Maurizio Tarantino, il suo vaso (cm 28) con bronzi e adesivo non è certamente di Limoges ma, dal nome italiano del decoratore, è stato fabbricato in una delle tante manifatture vicentine o campane specializzate in tali oggetti per regali “matrimoniali” che tanti comprano anche a caro prezzo in buona fede. Dal 1962 il Tribunale commerciale francese ha sentenziato che il marchio Limoges è da attribuirsi esclusivamente alla porcellana prodotta e decorata nella città; tale marchio è inglobato nella pasta in colore verde cromo con la scritta “Limoges-France affiancata dalla iniziale o simbolo di identificazione del singolo fabbricante. Il suo vaso, con fabbricazione di decenni, può valere sui 120/150 euro, per arredamento.
Signora Marianna Brambilla, rispondendo a lei mi permetto di rispondere anche alla signora Tina V. e a Piero Veneri.
L’arte, che nella storia dell’umanità è progredita passo passo con l’uomo comune ed era a lui vicina e conosciuta così come il cibo, il gioco, il vivere, mano mano si è evoluta al punto che sempre più l’uomo comune ha cominciato a non percepirla più come tale senza l’ausilio di altri uomini che per mestiere e passione vi si dedicano interamente. E l’arte è cresciuta a tal punto che non basta eseguire un ritratto o una scultura perfetta dal vero per essere considerato un artista valevole, no!, ci vuole il pathos, ci vuole un qualcosa che dia vita a ciò che si è creato: ciò che oggi designiamo con il nome di Arte con la A maiuscola. Nel suo Cristo firmato L.B, un altorilievo (cm 19,5×27) in legno di castagno di cui mi manda anche il peso (!), v’è, e solo, un’artigianalità seriale di non eccelsa fattura (non quindi la “mano esperta” di cui lei scrive) e potrebbe valere, per religiosi e amanti del genere, una cinquantina di euro.
Il signor Sebastiano Bastianelli mi pone due quesiti. Il primo riguarda un’opera in terracotta (cm 21×26) colorata e smaltata di Adam Dworski (1917-2011), ceramista e decoratore croato, ma che a me sembra un rifacimento sullo stile dell’artista (che amava essere definito come artigiano) perché non mi convincono le sigle retro-apposte. Ma… ma io non sono affatto un conoscitore dello stesso in tutti i periodi della sua lunga vita e l’ho confrontato con i miei cataloghi e prontuari che non possono essere certo esaustivi. Detto ciò, e comunque, il mercato odierno ha visto in ribasso tutta l’arte coroplastica, anche quella di eccellenti autori. Fosse autentica, ed io non posso azzardarmi a dichiararla tale, il suo valore sarebbe sui 200/250 euro.
Il secondo quesito verte su un vaso versatoio da farmacia savonese che non le nascondo – sia pur da sole immagini – mi pare un’imitazione realizzata nei nostri anni: labili il decoro e le scritte, estesa in modo uniforme la craquelure.
Signor Marco Cupellaro, lei presenta alla mia attenzione una pendoletta “de voyage” di prestigio firmata L’Epée (la spada), importante marchio fondato a Saint Suzanne in Francia nel 1839, acquistata in una rinomata oreficeria-orologeria di Roma nel 1980, la Baluardi di via Alessandria. Il suo modello, detto Corniche grande 702-51, non è “ottocentesco” come lei scrive, ma risale al detto anno in cui è stato acquistato. Però, signor Marco, ciò che conta, in questo caso come per tutta l’orologeria, non è la vetustà: a darne valore è il meccanismo fabbricato, che è veramente di pregio, e se in condizioni di perfetto funzionamento, con documenti e scatola originale, la sua pendola vale sui 2.500/3.500 euro. L’avverto però che nel mercato odierno girano tante pendolette L’Epée a prezzi da stralcio intorno ai mille euro, vuoi perché hanno pezzi sostituiti o da sostituire, vuoi perché non ne hanno soverchia documentazione o proprio per nulla (importante per gli orologi tutti), vuoi perché la fame è una brutta cosa!
Un nuovo lettore da Torino, il signor Cristiano Piccinelli, manda in visione un bozzetto ad olio (cm 30×42) reperito nella cantina della nonna ad Alassio, perla della costiera ligure; vi è rappresentato l’ episodio di un morente (santo?) a cui si fa vedere l’immagine della Madonna, e mi par quindi di poter collocare l’opera in ambito di cappelletta o privato e non propedeutica ad una pala d’altare. Oggetto più arredativo che d’arte, nelle condizioni in cui è vale sui 200/300 euro.
Signora Sofia… e basta (tralascio il cognome poiché dovendola offendere ed essendo lei alquanto ignorante e petulante – debbo dire con onestà in egual misura alla sua arteriosclerosi – non vorrei essere anche costretto a venire in qualche pubblica aula – ove lei ha d’altronde paventato risibilmente di condurmi – a perdere tempo e danaro), in un qualsiasi giudizio le darebbero dell’esagitata, della disturbata mentale e dell’impunibile, a me qualche calcio verbale per dispendio di risorse pubbliche.
Per i lettori tutti spiego la penosa querelle esibendo parole e immagini. Ella scriveva: “L’importantissimo quadro” (sic) “mio padre” (eh… la genetica ereditaria) “non l’ha voluto vendere per migliaia e migliaia di euro” (quanti?). “L’autore è un importantissimo pittore che non aveva piacere di farsi conoscere” (???), “ma tutti i musei se lo contendevano!!”. Insieme alla missiva la signora Sofia mi spediva foto del quadro con la raccomandazione di non pubblicarlo, ‘che temeva potessero venire dei malviventi ad asportarglielo dopo aver indagato e scoperto – tramite me o la rivista – il suo recapito! Ebbene, ho avuto la sventura di risponderle che il suo quadro era un ciarpame, l’opera di uno stagnaro – in maniera più elegante. Da lì, guai e fulmini: la donzella Sofia mi ha investito a male parole, paventando nei miei confronti azioni legali e terroristiche. Ed io invece, a dispetto, pubblico il quadro, avvertendo come sempre gli amanti del bello di non rattristarsi viepiù, e con la solita raccomandazione di non mostrarlo ai bambini, poveri innocenti che sono nel pieno dello sviluppo della loro ars visiva. Qualcuno di voi dirà: “A’ professo’… ma che discute pure coi pazzi?” Eh sì! e lo faccio per far capire a voi elevati con chi ho a che fare.
Buone vacanze a me che mi guardo bene dal fare in piena estate, e a voi tutti che avendo coraggio e ferie da vendere – embè già il fatto di essere miei lettori… – potete affrontare le masse querule, petulanti e “disturbose”, magari con bambini maleducati o peggio cani al seguito.
E come sempre, un saluto a tutti e un abbraccio ai pochi.
Luglio 2023
Il signor Luigi Di Biase che scrive da Lana – paese meraviglioso del Trentino in provincia di Bolzano che ho visitato mezzo secolo fa e che spero sia rimasto integro nella sua armonia e pace – invia foto di una credenzina (cm 115×50 h 170) in legni diversi, castagno e olmo, acero montano (?), a mio avviso pezzo creato alla fine del Settecento, come composizione finale (dal retro), usando elementi seicenteschi. I rilievi, infatti, non hanno quella profondità tipica della sgorbia più antica. Ma… ma il mobile è di area tedesca e si discosta dagli stilemi italiani cui io faccio per esperienza e conoscenza riferimento quindi, direi, a me così pare. Purtroppo signor Luigi un mobile che vent’anni fa avrebbe rappresentato una stima di perlomeno 6/8 milioni delle vecchie lire, ora glielo debbo assegnare ad una cifra intorno ai 1500/2000 euro. Così va ora il triste mercato che privilegia: targhe, insegne e “arruzziniti” (come è in uso a Roma dire) frigoriferi e similiari; per non parlare poi delle cifre stratosferiche di bidoni d’olio “d’antan” e pompe di benzina!
Signora Emilia Durante, la sua consolle eclettica, che come lei ben scrive sposa l’impero ed il biedermeier, naturalmente, è un rifacimento, sia pur artigianale e non d’industria, tipico degli anni 70-80 del ’900: valore 400/500 euro. La composizione in ottone (specchierina e bicchieri), tipica degli anni 50-60 del ’900, vale poche decine di euro, così come, purtroppo, le statuine orientali (27 cm) di importazione.
Quadri e quadretti
Signor Paolo Mal, il suo quadro ottocentesco con episodio biblico: Tobiolo e l’angelo, non ha particolari qualità artistiche su cui discettare. Sui 600 euro per buon arredamento.
Signora Anna senza misure! – ma in questo caso non servono – il suo quadro non ha alcun valore artistico e il A. Ferrario pittore firmatario avrebbe dovuto adoprarsi senza tema ad altri più a lui congeniali mestieri.
Signora Cinzia Jacopucci, mi spiace informarla che purtroppo i suoi quadri a firme varie non hanno alcun valore monetario, mancando di bellezza ed arte. I quadri di pittori conosciuti forse nel passato, non oggi, quando non sono firme d’invenzione (già ne ho scritto) di mestieranti per gallerie – come quella riportata nel retro dei suoi titolata “grandi firme” (e che fa sorridere) – e mobilieri, sono opere che allora come oggi possono trovare gradimento in arredamenti sommari. Valore: sui 30/50 e forse 100/150 euro (quel 120×70 a firma Sanna, che visivamente non disturba).
Signor Roberto Di Domenico, lei mi è simpatico “a lettera” e anche per le belle parole che ella ha ritenuto inviarmi, ma temo che le darò dispiaceri – sia pur sommari e per quel che valgono dettati da un perito di “carta” qual sono. Primo, il quadro (cm 50×70) a firma Previati (suppostamente Gaetano 1852-1920) caposcuola del “divisionismo”, non appartiene a mio avviso affatto alla mano del maestro e pur nella accattivante pittura ha un risvolto esecutivo di composizione non certo esaltante (la cesura tra madre e figlio stilisticamente “slegati” e uniti semplicisticamente dentro un drappo denota addirittura la mancanza di bagaglio pittorico afferente), e non ultimo, la firma, che non è nei modi né nella stesura dell’artista. Il secondo quadro (cm 120×80) ha solo valore documentario per il famoso sarto milanese (Angelo Belloni) ivi raffigurato. Terza, la tempera astratta (cm 100×70) che non ha né nella stesura né nelle scritte apposte, per me, canoni di rilievo monetario. In finis la Marina (cm 130×110) firmata Antonio Bresciani (1902-1998) che è piuttosto una natura morta, soggetto che anche per firma non mi convince. Ma fosse anche opera del Bresciani – che alcuni variegatamente e compreso wikipedia “dipingono”, è il caso!, come uno dei più rappresentativi pittori napoletani – il valore dei suoi dipinti in realtà, e secondo il mercato, è di qualche centinaia di euro al massimo per le misure dei 50×70 cm.
Il signor Giovanni Bergerone manda vari quesiti su pitture. La prima (cm 50×70), di discreta mano, Bimbo con balia, epoca Ottocento primi Novecento, vale intorno ai 400/600 euro, ma è poco appetibile nel mercato. La seconda, una natura morta (cm 50×73) ascrivibile anch’essa forse (il lettore mi manda scarne immagini senza i retro delle tele, né altro) alla fine dell’Ottocento, vale sui 600 euro. Il terzo soggetto (cm 70×100), un ritratto di nobile di non eccelsa fattura, sui 400/500 euro per sommario arredamento e per la voga, tra gli italiani, di assegnarsi un “nobile avo di famiglia”. L’ultima opera (cm73x83) potrebbe pur essere più antica, ma veramente fatta da uno stagnino sconosciuto, non oso pronunciarmi su un suo valore.
Signor Alessio, purtroppo il suo quadro con artista sconosciuto fa parte di quella serie di pittori decoratori che ne facevano dieci al giorno per appunto decorare case di persone comuni senza interessi artistici. Naturalmente il valore è di poche decine di euro, da mercatini.
Il fedele lettore dott. Graziano De Rivo manda in visione una tela seicentesca (cm 33×53) malamente interpretata come “Madonna” per via dello schiacciamento del serpente sul globo terra e la mezzaluna (che è un aggiunta postuma). L’immagine rappresenta è in realtà quella di Santa Caterina d’Alessandria, e dalle vesti e dalla spada con cui si narra sia stata martirizzata. Naturalmente, trattasi di pittura popolare, ed in più, nelle cattive condizioni in cui si trova e nel “refuso” aggiunto, non può superare il valore dei 300/400 euro.
La signora Claudia Bontempelli presenta alla mia attenzione due quadri del pittore Romano Ocri (1897-1980) con foto che, per quanto sono brutte, non si possono neanche pubblicare. Comunque…. mare che vai!… Signora, il pittore Ocri ha bassi prezzi nel mercato: sui 300/400 euro cadauno e indipendentemente dalle misure.
E come sempre, un saluto a tutti e un abbraccio ai pochi.
Giugno 2023
Signor Enrico P. Bennary, il mondo oramai si sta evanescendo socialmente, la società liquida preconizzata dal filosofo Bauman è in atto. La gente di colore americana che vorrebbe abolire la musica, la letteratura, la cultura non solo coloniale vera e propria ma addirittura risalire al Medioevo, responsabili a loro dire, delle loro passate e presenti condizioni. Quasi se quelle culture fossero state clementi con i poveri, gli ultimi i diseredati! È il percorso di un animale l’uomo, un animale che da ominide in un percorso lungo e tortuoso, non ancora giammai terminato, ancora continua tra guerre ed inciviltà varie. Ma poi, e qui in Italia la ciliegina sulla torta (di quel materiale escatologico umano): tale Susanna “Tamarra” che mi dicono sia una scrittrice, la quale non si perita di dichiarare: “bisogna abolire il Verga dagli studi scolastici”, “io non lo sopportavo” (sic!). Certo, e magari far studiare i suoi sconditi ed inutili libercoli. Da parte mia potrebbe benissimo andare “dove la porta” quell’organo inferiore, nascosto, e recondito che la misera ben conosce.
Signor Enrico, è quindi chiaro che la sua biblioteca eredità di famiglia, composta da quelle cose un po’ desuete (quando non sospette) che chiamano libri, è lontana dal mercato e dal commercio, e quindi è chiaro che le venga proposto l’acquisto a blocco (e a peso). Purtroppo sono anch’io – e per citare lo scomparso e sommo editore Giovanni Scheiwiller di Milano – un “libridofilo” e quindi a rischio (prima o poi) di essere recluso. Mi riscriva sui titoli e ne parleremo.
Signor Marco Ristori, la sua madonna in bisquit (h cm 19) ha il marchio seriale della N coronata o Capodimonte con cui, naturalmente, non ha nulla a che fare. E in più il marchio è talmente anonimo che potrebbe essere di manifattura tedesca o vicentina. Non posso stabilirne l’epoca dalle sole immagini, ma mi spiace dirle che l’oggetto non è di grande fattura artistica e che il suo restauro supererebbe di gran lunga il suo valore.
Riguardo ai due vasetti – anch’essi di non grande esecuzione (14,2 cm) – hanno un falso marchio della vecchia ditta boema di porcellane Pirkenhammer, e questi, quasi sicuramente, sono di fabbrica vicentina degli anni 40-70 del Novecento. Il falso è dato dalla scritta in italiano Austria sotto il logo, che non appartiene ad alcun marchio della fabbrica sin dal 1803 (anno di costituzione), e al di là di ciò, semmai, sarebbe stata indicata la sua denominazione in lingua tedesca che è Osterreich. Le fornisco comunque due indirizzi di valenti restauratori di ceramiche a Roma: Federico Squatriti (figlio della Gelsomina – un mito nel campo e intervistata anche dalla nostra rivista vent’anni fa) che lavora nella sede storica di Via Ripetta n. 29 (tel. 063610232), e Alessandra Zingarelli, di cui mi hanno parlato molto bene degli antiquari, che si trova in Via Gabriello Chiabrera n. 98 (tel 065417863).
Signor Massimo Sabbadini, certamente, ed anche per le modalità con cui le è pervenuto, il piccolo disegno (cm 8,5×9) è da ascriversi come originale all’opera di Tullio Garbari (1892-1931), pittore scrittore nato austriaco in Pergine Valsugana all’epoca non appartenente all’Italia, artista “primitivo” dal percorso tormentato, appartenente alla cerchia di Boccioni, Casorati, Gino Rossi, Severini. Farselo autentificare sì!, se ciò non ha un costo, o conservare documentazione e fatture dell’acquisto fatto, delle carte del critico d’arte (in cui lei ha pervenuto il disegno) ed inerenti l’artista. Le spiego, le opere del Garbari hanno un mercato eterogeneo: un olio (cm 50×40) stimato 300/500 euro è stato aggiudicato a 16.875 all’asta Pandolfini luglio 2022 (cosa incredibile e suscettibile di domande), ma in altre aste, sempre per tele, l’artista è stato valutato sugli 800/1.500 euro e venduto sui 2.000/3.000. È capitato anche che sia rimasto invenduto, come nel giugno 2022 quando un disegno (cm 48×34) messo in stima e partenza a 180 euro dalla Gonnelli aste (specializzata in cartaceo) è rimasto senza alcuna offerta. È la sorte oggigiorno degli artisti validi ma non di prima fila, che non hanno mercato stabile e che sono acquistati dai soli collezionisti o dai mercanti intermediari che poi ne decidono fattualmente il valore di volta in volta.
Signora Ines Sarri, il pittore palermitano Michele Catti (1855-1914) allievo del Lojacono amico del Michetti e del De Nittis che fu indubbiamente uno dei più grandi vedutisti italiani, dipinse in modo appartato. Era un aristocratico di grande animo e maniere, ma la sua fama era circoscritta alla Sicilia. Visse quindi anche in ristrettezze economiche e tutta la sua produzione finì nelle raccolte dei collezionisti siciliani che, pur apprezzandolo, naturalmente pagavano poco un pittore che non avesse fama continentale. Rarissime quindi le sue opere “originali” nel mercato sostituite nel tempo da quelle del di lui figlio Aurelio, (1895-1966) apprezzato pittore continuatore del padre che però non ne raggiunse mai la levatura e che in qualche modo “ricopiò, ma solo l’ultimo periodo impressionista del padre. Ed è cosi che lei ha acquistato a 2.000 euro un’opera firmata Michele ma quasi sicuramente dell’Aurelio. Può riportarla con “le buone” al furbo o ignorante gallerista. Non ho mai conosciuto in vita mia un gallerista onesto e/o serio, ce ne pur saranno – pochi – senz’altro, ma io non ne ho mai conosciuti e anzi nel corso della vita ho visto le peggiori cose appioppate a clienti affezionati: opere senza fatture (primo requisito), senza dichiarazioni con allegate foto (così come effettuato ai danni della signora Ines). E costoro – i gabbati – a distanza di decine di anni se la prendono con il povero perito, dandogli dell’incompetente quando dice loro che le opere che vorrebbero vendere non hanno alcun requisito: “Ma lei sa o no chi era la data galleria al centro di…”, “Ma scherza, ho comprato da loro a milioni – di vecchie lire – per anni”, “Sii…, truffavano a me!”, “Sono venuti al mio matrimonio!”. E in più, nell’arte moderna specialmente, la cosa più importante non è l’opera ma la documentazione che l’accompagna. La sua veduta, signora Ines, pur essendo “antica” dei primi decenni del 900, non appartiene al Michele Catti e per stesura pittorica e per i tratti più racchiusi in un lirismo ridotto che denotano proprio la minor mano del figlio Aurelio. Non pubblico l’opera come espressamente richiestomi.
Signora Giancarla Benedetto, il suo grande ghepardo (h 63 cm) in ceramica di cui non trova notizie è stato eseguito dalla manifattura Ronzan, fondata a Torino nel 1939 e chiusa definitivamente nel 2001. Il suo pezzo dovrebbe risalire al periodo degli anni 60-70. Il modello originario degli anni cinquanta – poi foggiato in diverse misure – è del Giovanni Ronzan (1906-1974); quelli misuranti sino ai 30-40 cm di altezza stanno sul mercato intorno ai 150/250 euro. Dei tipi alti come il suo purtroppo non ho riferimenti specifici di vendita, se non quello di un espositore al mercato dei Sabati dell’Usato (il più grande mercato al coperto del centro Italia, a Monterotondo scalo – Roma) che ne ha venduto nel gennaio c.a. uno uguale a 600 euro, e quello visibile nel sito di design online Pamono in cui un venditore lo propone attualmente a 2.500 euro. Io sinceramente penso che il valore reale possa essere intorno ai 1.000/1.200 euro non essendone né facile né scontata la vendita, ma ripeto, non ne ho contezza mercantile.
Il dott. Graziano De Rivo manda in visione un letto (cm 200×90) in ferro, lamiera e ghisa con pitture dei primi del 900. Tali tipologie decine d’anni fa erano in voga e spuntavano ottimi prezzi, ora purtroppo, non più richiesti, si stimano sui 300/400 euro.
Il mio lettore Roberto Desogus dalla magnifica Sardegna, che abbraccio, mi manda immagini di una formella in terracotta (cm 41×18) opera di Bruno Bini di Cannara (Foligno), 1889-1978, scultore artigiano, erede della grande tradizione italiana nel bronzo, nel legno, nella pietra, nella coroplastica. Artista di grande mano, schivo e appartato, non ebbe poi gli onori che gli sarebbero dovuti anche perché amava soddisfare opere e collocazioni pubbliche e insieme portali, fontane e manufatti privati di mero arredamento. La sua formella del 1974, seriale e devozionale, ne è esempio. È triste celebrarne il merito e poi valutarne il seriale lavoro: sui 200/300 euro.
Il secondo quesito del lettore è un vaso (h 40 cm) della manifattura Colonnata, fondata nel 1891 a Sesto Fiorentino e ancora attiva sotto la denominazione ACF (Arte Ceramica Fiorentina) dal 1964. Oggetto degli anni 40-50, vale sui 250/300 euro.
Ma le misure?… Ve possino…
Signor Beniamino Ribola, la prossima volta mandi le misure! Le sue spade, comunque, sono copie industriali, imitazioni di armi antiche fatte con materiali di bassa lega. È, così, esonerato dalla denuncia alla pubblica autorità per il loro possesso (armi bianche) che altrimenti avrebbe dovuto fare specificando la loro provenienza specifica. Il valore è di poche decine di euro cadauna, per arredamento.
Signor Michele Angelo, anche lei affezionato lettore non manda, chissà per quale oscuro motivo, le misure. La sua specchiera mobile è sì! opera del designer Aldo Tura, Milano (1909-1963). L’etichetta afferisce una produzione degli anni 50. Il valore è nell’ordine dei 600/800 euro, anche perché tali oggetti di complemento sono richiesti dal mercato.
Il signor Antonio Masullo che è un grafico affermato, ma non riferisce pudicamente anch’egli le sue misure – come fosse una gentil dama – mi manda una copia di un quadro di Pierre Albert Marquet (1875-1947), che lui dice – non so dove abbia reperito tale informazione – essere un pittore minore. Signor Antonio, la cerchia del Marquet era costituita da Matisse, Roualt, De Vlaminck, Derain, per dire alcuni nomi che non mi parrebbero appartenere al “Convitto degli artisti a riposo”. La sua fama è internazionale. Quotatissimo negli States, anche qui in Europa spunta nelle aste decine di migliaia di euro ad opera. Detto ciò, debbo ribadire che l’arte non antica non può essere espertizzata ad occhio; per stabilirne una provenienza certa ha bisogno di documenti di origine, percorsi, provenienza. Se anche la sua copia tale non fosse, ma invece fosse opera dello stesso Marquet, dovrebbe essere ancorata alla documentazione detta. E da perito, comunque, mi posso spencolare dicendo – dalla sola visione fotografica – che non è tale in quanto molto diversa e per tratto e per luce dall’opera originale del Marquet che lei manda in comparazione. Le copie in genere vengono fatte da autori sconosciuti che a volte hanno anche una “bella mano” ma non tale da esprimersi a propria creazione e nome, e nessun artista di rango e quotato farebbe copie di altri artisti. Ciò per dirle che è impossibile ed inutile risalire all’autore di una tela tra l’altro priva di valori di mercato.
La signora Raponi la capisco, …è una bella donna, suppongo, e mandarmi le proprie misure, sia pure del comò avito, e beh!… è cosa un po’ osé – neanche mi conosce, la comprendo – e a tal motivo, inoltre, per pudicizia fotografa il mobile da lontano e sfocato. A posto!
QUADRI purtroppo non valevoli
Iniziamo con la signora Elisa: il quadretto (cm 13×23) a firma dello sconosciuto Silvio Conti non ha alcun valore né artistico né commerciale.
Il signor Giuseppe Facchini manda in visione l’opera (cm 80×60) del pittore Mario Mantoni di cui vi sono pochissime tracce biografiche e che comunque avrebbe meglio fatto ad impegnarsi in altra professione. La cornice è l’unica cosa, benché di minimo valore, che, mi spiace, purtroppo noto.
Signora Ornella, la sua stampa non ha valore alcuno.
Il signor Renato di Properzio mi sottopone la tela (cm 50×70) di un pittore seriale degli anni 50 del Novecento, probabilmente con firma di fantasia. Questi “artisti” in genere dipingevano su commissione per i mobilieri (che abbinavano quadri omaggio ad arredamenti), per i negozi di casalinghi e/o corniciai. Purtroppo il valore è di una cinquantina di euro per sobrio arredamento.
Il signor Marco, oltre a non mandare le misure, spedisce immagini di opere a firma Blondell ed altri che non hanno alcun valore, né artistico né quindi economico.
E come sempre, un saluto a tutti e un abbraccio ai pochi.
Maggio 2023
Signora Mariolina Bonora Satta, voglio precisarle ad onor del vero che sono stato conoscente – più che amico o come lei dice allievo – di Federico Zeri (1921-1998), grande storico dell’arte di fama internazionale, con scambi telefonici ed epistolari e a volte con screzi; uno di questi da me provocato pose fine, al se vogliamo, sodalizio. Negli anni 90 uno scaltro e noto antiquario torinese, Giancarlo Gallino, sottopose un piccolo crocifisso di legno (40 cm) cinquecentesco, che girava anonimamente nel mercato, all’attenzione dei maggiori studiosi in materia dell’epoca, indicandolo come opera giovanile di Michelangelo. Una serie di questi (tra cui lo Zeri) esultarono nel riconoscerlo tale, e addirittura dopo un decennio, nel 2008 (e nonostante altri illustri pareri lo negassero drasticamente), fu venduto allo stato italiano per 3.250.000 euro! Io avevo suggerito anzitempo all’emerito Professore essere il crocifisso – a mio modesto avviso, che altri ne avevo visti – opera di un intagliatore dei valenti “legnaioli fiorentini” della fine del 500. Ne ricordo – ero nel 1996 in Mentana nella sua imponente magione tappezzata da opere e libri – il sorriso sarcastico di commiserazione. Il tempo passò, e nel 2012, dopo che il cosiddetto “cristo del Gallino” fu sbugiardato da critici in tutto il mondo, la Corte dei Conti avviò una tardiva richiesta di danni a carico dei pomposi funzionari che ne avevano convinto l’acquisto. Ma io ancor prima che succedesse ciò avevo definito il Cristo in questione, detto “del Gallino”, “il Cristo dei gallinacci”… e lo Zeri si adombrò più del solito ed interruppe di fatto, come detto, la comune conoscenza un anno prima di morire nel 1998. In seguito al suo decesso mi recai dai carabinieri del Nucleo Patrimonio per inoltrare un esposto denuncia su irregolarità e fatti non chiari inerenti il passaggio della sua fototeca e collezioni all’Università di Bologna, ma fui indotto a non presentarla dal comando degli stessi militari “per non ingolfare la spinosa vicenda”, e feci male ad aderire poiché tutto sparì dalla sua abitazione e con riserve su tanto materiale che ancora non si riesce a capire dove sia finito. Infatti, a rigore di legge e lascito, sarebbe dovuto nascere nella villa di Mentana un Centro Studi alla sua memoria con tutto il materiale: biblioteca, fototeca, archivio, e vuoi per l’insignificanza politica del comune del luogo, vuoi per le forti forze politiche targate Partito Democratico di cui era densa Bologna e la regione Emilia-Romagna con a capo la “ministramelandri” il suo patrimonio culturale-artistico s’involò tutto nell’Università della città capoluogo tra l’indifferenza generale e il disappunto dei pochi. Detto ciò come cronaca, sia chiaro: non sono esperto di Michelangelo ma neanche d’arte antica a livello dello Zeri e di altri, anzi , ne capisco ben poco e quel poco concerne l’archeo-antiquariato-storiometria che è quel sinonimo da me coniato che prevede uno studio pedissequo dei materiali oltreché delle “visioni” delle immagini. I detti professoroni evidentemente ignoravano il lavorio d’arte dei “legnaioli fiorentini del 400-500”, e qui mi fermo per non andare sullo specifico ed oltre, che ci vorrebbe un libro. Lo Zeri, e devo dirlo, era poi piuttosto accentratore e non riconosceva – per iscritto pubblico – alcun aiuto a lui dato da esterni, come ad esempio pacchi di foto da me a lui forniti e grazie ai quali poté esternare al mondo la sua abilità nello scoprire dei falsi (preferiva citare di averli reperiti casualmente presso rigattieri). Me lo aveva fatto conoscere nel 1992 Gino Ginori, critico d’arte romano minore ma di grande intelletto e spessore, che gli procurò anch’egli irriconosciuto innumerevole materiale di studio; purtroppo questi non aveva spesso comportamenti adamantini nella sua professione e il Professore pur adoperandolo lo dileggiava e offendeva anche pubblicamente.
Comunque, per ciò che concerne la sua complessa eredità americana, quindi, posso unicamente – se vuole – coordinare dal punto di vista fattivo e legale un pool di esperti che se ne potrebbe occupare. Mi parrebbe inusuale e improprio infatti che un solo perito – poi figuriamoci io – possa valutare dalla mobilia alla quadreria, dalla gioielleria alla prestigiosa enoteca, per non dir dell’altro. Rimango comunque a sua disposizione anche per semplici consigli, chi l’ha a me presentata è un galantuomo e vero signore che mi onora da decine d’anni della sua amicizia.
La signora Maria Giulia Panella presenta un altare ottocentesco in legno dipinto (230×187 h x130x95) proveniente dalla Puglia. L’impatto arredativo ne riverbera chiaramente la sua valutazione, quindi potrebbe chiedere senza tema intorno ai 5.000 euro.
Signora Elena Bulla innanzitutto la ringrazio per avere sottoposto alla mia attenzione le lettere del Francesco Ferrero che non credo appartenga alla mia famiglia, che è detta i Ferrero di S. Quirico proveniente dalla provincia di Cuneo e ramo secondario dei marchesi Ferrero d’Ormea. Un Giovanni Francesco Ferrero nato a Romano d’Ivrea nel 1825, ma operante a Roma dove morì nel 1862, fu eccellente incisore e pittore. Riguardo la sua annata del 1880 dei fascicoli della Scuola Medica Napoletana, che lei giudica rara per non averne trovato notizie specifiche in rete e quindi valere una fortuna, le dico, Signora Elena, che l’aggettivo raro non sempre si sposa con il valore; i suoi opuscoli possono interessare, e solo, a livello di studio e conservazione pubblica, non conosco alcun collezionista di tale materia né vi sono risultati di mercato inerenti. Io le posso fornire i contatti con la Biblioteca Gennaro Rispoli – Museo Arti Sanitarie e Storia della Medicina di Napoli, la quale senz’altro potrebbe essere interessata alla sua annata, ma non credo a pagargliela granché: tel. 081.440647 – info@ilfarodippocrate.it.
La signora Silene, che fa parte di quei lettori avulsi e non collegati al comun ragionamento, manda foto di un tavolo supposto di Giorgio Stoppino (1926-2011) architetto e designer italiano, per sapere se sia o meno originale. La gentile signora dovrebbe mandare perlomeno le misure, no?… Macché, i tavoli, si sa, sono tutti eguali!… e quindi le invio io le misure del tavolo in vetro fumé. quello originale, e cioè 75 cm di altezza x 118 di diametro. I bulloni, di cui perlomeno ha postato le foto, sembrano idonei nel metallo cromato. Valore intorno ai 1.200/1.500 euro.
Signor Luciano, il suo vaso eclettico (h 30 cm) novecentesco ha la sola particolarità di poter esser stato prodotto negli anni 30-50 dalla Zaccagnini: industria nata nel 1905 che negli anni 30 (aveva 120 dipendenti) si costituì in Spa, quindi con una produzione enorme esportata anche negli Stati Uniti. E comunque, valore sui 200/250 euro senza difetti né rotture anche minime.
Signora Michela Giovannini dalla bella Ancona, il suo bronzo (28 cm di altezza, peso 14,7 kg) art nouveau di epoca Liberty, non è affatto di “scuola napoletana” ma afferisce, e come da firma, allo scultore francese Auguste Moreau (1834-1917). Molto ben patinato e curato, è certamente una bella opera. Non si può affatto ascriverla come pezzo unico od originale dell’artista, in quanto già alla sua idealizzazione veniva fatto fare in molteplici copie dalle fonderie che ne richiedevano all’artista, a pagamento, il modello od il calco. Poi ci sono i successivi passaggi ad anonimi opifici che nei decenni e fino ad oggi, abusivamente ne imitavano e con tanto di firma. C’è da dire che il suo esemplare è indubbiamente bello, e al di là, valore tra i 600 e gli 800 euro.
Signora Maria Stella Clemente, il suo quadretto (cm 18×28) a firma, lei dice, Antonino Calcagnadoro (1876-1935), può essere valutato sui 250/350 euro (Casa d’aste Colasanti marzo 2022 un 24×16 lotto 130 valutato 100-150 euro).
Il signor Luca – io “rido pe’ nun piagne”, dicono a Roma – sentite: vuol sapere quanto vale un giornale siciliano del 1898 in prima edizione, e basta. Senza scrivere il nome del giornale ne altro!… Eh… è dura, ma ne ho scritto al collega mago Otelma.
Per fortuna – che di ciò si tratta – il secondo quesito è intelligibile: valore di una macchina fotografica Lubitel 2, apparecchio fabbricato dalla Gom2 di Leningrado, in 2 milioni ed oltre di esemplari tra il 1954 ed il 1980. La macchina aveva in originale una custodia in cartone similpelle che quella del lettore non ha. Comunque, per le buone condizioni apparenti e se funzionante, vale tra i 100/140 euro.
Signor Maurizio Castelli, i dischi copia (a volte fatti dalla stessa casa editrice degli originali, senza specificarlo quando le quotazioni salgono a migliaia di lire) e riprodotti in Asia anche su ordinazione, per essere espertizzati hanno bisogno di essere visti dal vero e con gli originali accanto, e non da semplici e, mi permetta, cattive immagini come le sue.
Pubblico nonostante ciò per renderne edotti anche i signori Flavio e Archimede Zedda, che mi avevano mandato mesi fa supposte prime copie dei Rolling Stone e di Roy Orbison.
Il signor Paolo Petris presenta un bronzetto (5,5 cm) non di bella fattura che io considero certamente copia da scavo, altrimenti ne sarebbe proibita la vendita ed io non mi riterrei così ingenuo da dichiararne l’autenticità ed andare a trascorrere con lui un – per quanto forse allegro – periodo tra gente sconosciuta ed in promiscuità di una stanza chiusa con catenaccio (va detto, con il solo motivo di impedire ad altri d’entrarvi e affollarla vieppiù). Quindi, il suo valore è di poche decine di euro.
Il secondo quesito è più interessante: un elegante e raffinato sigillo (9,5 cm) in avorio intagliato, con sopra una perla barocca che copre lo spazio deposito per un grumo di ceralacca; il resto dell’oggetto con punzone – il lettore non me ne parla – potrebbe essere d’argento o acciaio e riporta inciso stemma di famiglia nobiliare da identificare. Signor Paolo, va detto che gli stemmi come il suo hanno un valore di per sé intorno ai 150/250 euro, se ci studia e trova il nominativo del casato, un 20-30% in più.
Il lettore signor Francesco mi manda addirittura “diverse email” riguardanti un’incisione colorata (cm 34×50) del londinese William Neson Thomas (1830-1900), incisore ma soprattutto ricco nobile e fondatore di giornali. Una miriade di foto e informazioni per farmi dirimere sull’autenticità o meno! Ma signor Francesco: cosa pensa di essersi aggiudicato nella casa d’aste online Catawiki? La sua è un’incisione originale di fine 800 (e ci mancherebbe ne facessero pure false) che varrà sul mercato 10-30 euro a malapena cornice compresa, e spero (lei non mi indica a quanto l’abbia rilevata) davvero non l’abbia pagata oltre.
L’affezionato collezionista e mio lettore Mauro Magnati, che ringrazio per la stima, manda in visione delle belle opere. E finalmente, con allegata una seria dichiarazione di vendita (fatta dall’Antichità A. Caiazzo, Via dei Pastai 28 nella bella e storica città della pasta italiana di Gragnano), l’opera venduta è in foto, firmata e certificata con timbro e firma del venditore. Si tratta di un quadro (cm 22×27) del Giuseppe De Sanctis (1858-1924), valente pittore napoletano; ha delle craquelure e dei difetti (riportati nella descrizione di autenticità) che quindi ne limitano il valore. Potrebbe quotare sul mercato (dove sono più appetibili i ritratti di donne in costume ed in particolar modo – ma ciò vale un po’ per tutti gli artisti figurativi – i nudi ) sui 700/800 euro. Mi risulta altresì che degli “esterni in carrozza”, di cui era prolifico l’artista, i più ricercati siano quelli del “periodo francese” (fine 800 primi 900) ma non so dire, sinceramente, se questo dipinto appartenga a quelli.
La seconda opera, una ballerina in bronzo (cm 36), è dello scultore di origine russa Paolo Troubetzkoy (Verbania 1866 – 1938); una eguale è stata aggiudicata all’asta 146 (lotto 376, del 29-30 novembre 2021) della Casa S. Agostino a 1500+d.a (diritti asta), e penso sia il suo reale valore.
La terza opera, sempre scultura dello stesso autore (altezza cm 44), è una giovane a torso nudo, meno iconografica e rappresentativa, ma a mio avviso più soave e delicata. Valore, sui 1.700-2.200 euro.
Donna Carla Zanoli, indubbiamente la sua famiglia aveva ed ha, con lei, il gusto e la passione per le belle cose d’arte e antiquariato. Il grande quadro (cm 185×134) del pittore belga Frans van Damme (Hamme 19-07-1858 – Bruxelles 30-04-1925) specializzato in marine, ha la targhetta errata nelle sue date di nascita e di morte (1860-1918) ma, e per la stesura pittorica e per la firma, penso sia originale dell’autore. Opere così grandi non sono trattate sul mercato, e quindi, penso rare, lo valuterei in Italia sui 3.500/4.500 euro.
Il signor D.L. forse amatore, collezionista o scaltro commerciante, vuole saperne di più circa tre piatti della Fornasetti Milano. La ditta, fondata dal grande designer e ideatore Piero Fornasetti (1913-1988) passò alla sua morte al figlio Barnaba che la guida tutt’ora. I piatti in questione sono stati prodotti nel 1967-69 e anche dopo su sua commissione dalla Hunteschenreuther, azienda di porcellana in Baviera – Germania sorta nel 1814, che negli anni 30-40 assorbì la Tirschenreut ora di proprietà Rosenthal della Sambonet – Paderno Industrie. I piatti fanno parte della serie Grandi Maestri che mi consta essere una serie da 12 per i musicisti (che vi sono anche i pittori). I piatti (26 cm) del lettore, fondo oro ed istoriati, raffigurano Verdi, Puccini,Vivaldi. Il loro valore cadauno nel mercato va da un minimo di 150 euro ai 500, i prezzi sono variegati in quanto la Fornasetti è ancora attiva e potrebbe benissimo continuarne la produzione – che non figura a tiratura limitata – della serie detta.
Il signor Sebastiano manda in visione un vaso (cm 13×31 h) inciso “la murrina” prestigiosa vetreria muranense. Non sono precipuo esperto di tale marchio ma lei potrebbe e facilmente chiederne alla ditta (Murrina, Via San Donà 305 – 30174 Mestre – tel. 3476687199 – info@murrina.it). Io posso dirle che – non accostandolo ad artisti da me conosciuti – si tratta di una creazione con filigrana a retortoli (canne di vetro intrecciate e/o accostate per avere vetri che soffiati partono dal centro verso l’esterno formando spicchi) o a zanfirico. Non è possibile assegnarli ad un maestro singolo a meno che non vengano da questo firmati, anche se (risposta al lettore Enzo Tartagni sulla rubrica del mese di aprile) la ditta può utilizzare scaltramente un modello di detti designer-artisti e riprodurlo a prezzo minore senza indicarne la paternità. Il suo vaso – se della ditta veneziana – potrebbe quindi valere tra i 250 ed i 350 euro.
Il signor Marco manda in visione una deposizione dalla croce (cm 90×50) che attiene ad un inizio 800, ma non è che io possa da semplice foto e senza disamina almeno fotografica della tela dire altro. La tela, in cattivo stato e con uno svolto pittorico popolare forse di diverse mani, potrebbe esitare sul mercato nello stato in cui è 600/800 euro.
Il signor Giovanni Gentile invia foto di un mandolino (Premiata fabbrica di strumenti a corda Emidio Celani detto il Turco, Ascoli Piceno 1893) appunto del marchigiano Emidio Celani (1866-1898), senza dubbio uno dei più importanti maestri liutai dell’ultimo quarto dell’Ottocento italiano. Nella sua purtroppo breve vita costruì elencati: 32 violini, 3 violoncelli, 113 mandolini, 97 chitarre. Autodidatta (insieme al fratello Costantino), era un virtuoso del suono ed i suoi strumenti furono in breve apprezzati da musicisti in tutta Europa. Ma… ma non nascendo espressamente liutaio ed alternando il lavoro di restauratore di strumenti alla loro costruzione, le sue creazioni hanno incoerenze stilistiche e presentano veri e propri difetti nella sagomazione delle tavole, nell’intarsio, nei filetti e nella verniciatura. E quindi, ho visualizzato come nel corso degli anni i suoi strumenti abbiano avuto quotazioni di vendite assai discordanti, per i violini si va dai 2.500 euro ai 20.000 euro per fare un esempio. Non ho notizie su vendite di mandolini e certamente il suo è in condizioni pietose e bisognoso di restauro lungo e fatto da un maestro liutaio. Non so quanto potrebbe costare la riparazione, ma credo non poco e con un vistoso deprezzamento, e la vendita… un terno al lotto. Lo proponga ad una casa d’aste come la Arcadia di Roma o altre che potrà trovare in rete anche per appurare la sua originalità, cosa specifica che io – neanche de visu – potrei accertare.
Signor Andrea Formica, rispondo in merito ai suoi quadri. Il pittore libanese ma calabrese d’adozione, Fedhan Omar, non ha mercato nazionale derivante, nel senso che i pochi risultati trovati lo collocano in un limbo eclettico di valutazione. Si va dal centinaio di euro per opere 50×70 ai mille-duemila ed oltre. Quindi di fatto non classificabile, e la vendita esclusivamente privata. Riguardo al pittore Claudio Simonetti nato nel 1929, non ho altre notizie di sorta e appare ancora vivente. Certamente è un eccellente artista “padrone della luce” ma che forse ha prodotto molto e nelle più svariate tecniche e modalità. Ci sono delle tele da pittore d’arredamento e ritratti e nature morte nonché paesaggi di una bellezza incredibile. Purtroppo i risultati di mercato, ad esempio quelli del portale d’aste ArsValue del 2022, lo collocano, per misure dal 30×40 al 70×80, intorno alle centinaia di euro se non meno.
La tela firmata Mancini è di pittore seriale sconosciuto che non ha alcun valore pittorico ma solo quello arredativo un centinaio di euro.
E l’ultimo quesito del lettore mi dà modo di “parlare” ai retrivi, a coloro che catafratti della loro ignoranza nel mondo dell’arte e dell’antiquariato, ma edotti dalle informazioni e ricerche su Internet, pensano di saperne come uno studioso e/o un perito che ha dedicato decine e decine d’anni allo studio e comprato centinaia di libri (libri: per i molti lo spiego sommariamente, sono delle raccolte di fogli di carta dove vi sono scritte parole concernenti una materia e che consentono a chi li legge di saperne superiormente). E mi rivolgo a vari lettori che, coperti da anonimato o che l’hanno chiesto: Alessia C., Batman, Ermanno, dopo aver usufruito e gratuitamente del parere dell’esperto lo contestano, chi in maniera gentile, chi con arroganza e supponenza. Bene! Ad esempio la signora Alessia, che ha ricevuto in eredità dai genitori opere d’arte comprate negli anni 70-90, anni d’oro quando si vendeva di tutto, genitori che hanno purtroppo comprato artisti quali Testa, De Magistris, Parigini che erano allora all’apice del successo a prezzi abbordabili non superiori al milione delle vecchie lire. Oggi purtroppo tali artisti vengono trattati a un centinaio o poche centinaia di euro. Ma… ma la signora detta, ricevuta la stima al ribasso dell’esperto non ci sta: “lei la pensa così (come se le valutazioni le facessi io personalmente) ma ho visto in rete (aridaje) prezzi molto superiori alle sue stime nell’ordine delle migliaia di euro”! Cioè la signora ha visionato i prezzi con cui qualche disturbato nella vita o semplicemente ignorante metteva in vendita tele degli artisti citati a cifre strabilianti. Che dirle? Prendo ad esempio il caso del lettore precedente, il signor Formica (che spero anche lui non si lamenti), con un bell’artista – non so se vivente o meno – Claudio Simonetti (1929), il quale, lo ribadisco, è pittore veramente eccellente e che dovrò comprare: ma a che prezzi? Quelli di offerta in rete: 1.200-2.300-2.700 euro, o quelli a paragone della Casa d’aste Art La Rosa, di Catania, dove nel 2021 un 61×51 del Simonetti (lotto 232) valutato 100 euro è rimasto invenduto, e venduti altri pezzi dello stesso artista (cm 84×74) a stime massime di 100 e 80 euro? E similmente in altre aste. Io generalmente non parlo bene dei “sensali in buona fede” delle case d’aste, ma vi assicuro che quando stimano, opere d’arte specialmente, non sono secondi a nessuno, per il semplice fatto che sanno con perfezione e per esperienza ciò che si vende e ciò che è ostico e di conseguenza si comportano.
Detto ciò spero che gli affezionati della Rete, quelli che “sanno tutto” non scrivano alla rubrica e si accontentino del loro grande sapere, io sono solo uno che ha letto dei libri (già detto) e frequentato musei, raccolte, negozi e mercati da mezzo secolo, niente di ché.
E come sempre, un saluto a tutti e un abbraccio ai pochi.
Aprile 2023
Non essendo indulgente con me stesso quando commetto errori, figuriamoci se posso farlo con altri che vieppiù non paghi del loro ragliare pensano di continuare ad offendere chi non è loro pari per studi e conoscenze, e mi rivolgo nuovamente a quel somaro assunto – inizialmente per credo meri lavori di traino e fatica, e successivamente innalzato inopinatamente a perito e consigliere d’arte – dalla contessa E.A.S di Montebello (mese di Dicembre 2022) il quale aveva innalzato a cifre di mercato spropositate l’opera di un pur valente artista, l’Antonio Amorosi (1660-1738), che purtroppo tali livelli non ha mai raggiunto. Ultima conferma dalla Casa d’aste Arcadia – Roma: due oli pendant dell’autore (cm 28×24) battuti il 29 marzo scorso a valutazione di 600-800 euro!
Cosa dire, ho di già consigliato a tale individuo di rilevare una fiorente attività di trombette e stendardi in Piazza del Campo in quel di Siena e ciò per evitarsi la continua gogna della vita nel campo a lui estraneo dell’arte. A meno che egli non sia uno scaltro ed inveterato truffatore, e allora io, il somaro, ne chiedo venia e mi scuso della mia ingenuità.
Signora Maria Adelaide Raimondi conosco, e certamente, il pittore Antonio Cannata (1895-1960) di Polistena, che ebbe in vita prestigioso successo nell’arte e ciò sino agli anni 40, poi la sua pittura poetica dal vero seguì le vie moderne delle correnti che il 900 portò e purtroppo i risultati non furono affatto concomitanti con la sua innata levatura artistica. Tant’è che per le opere diciamo veriste della corrente “ottocentesca” italiana si ha qualche vendita (e anche se purtroppo e come tanti eccelsi pittori, siamo nell’ordine delle centinaia di euro, come dicono le aste) ma per le altre seguenti di surrealismo, astrattismo e quant’altro posteriori, non vi sono affatto né vendite né mercato. A parte dei soliti “fulminati nella vita” che astrazionalmente – anche loro – mettono in rete opere a cifre fantasmagoriche dell’artista, ma va anche detto che, se ciò certo non li arricchisce, tanto meno li impoverisce. È un mero esercizio d’esistenza in vita e come tale se non proprio rispettato va perlomeno inteso. Mi mandi pure un po’ alla volta tutte le opere da lei possedute e vedrò di aiutarla nella disamina e nei loro valori. Una abbraccio a don Giggi, prete vero dei poveri e degli ultimi, e anche a lei, insieme ad un grande grazie per essergli amica e sodale.
Il fedele conoscitore d’arte Enzo Tartagni mi invia una bottiglia (32 cm) della nota Venini di Murano. Signor Enzo, nonostante lei la giudichi bruttina e l’acclusa ricevuta di spedizione della ditta la dichiari, e solo, in vetro muranense e fatta a mano, a me ha ricordato subito – e anche per il suo accenno all’iridescente cambio di colore alla luce – il geniale architetto, designer, scultore Toni Zuccheri (1936-2008) che lavorò alla Venini negli anni 60. Evidentemente credo la ditta facesse pagare elevate le opere firmate dall’artista per poi eseguirne altre sulle stesse tipologie a minor prezzo. Ed è un “sistema” usato purtroppo da tante manifatture. Per quanto, valuterei la sua sui 400/500 euro.
Signora A.B., purtroppo il suo quadro (cm 50×70) è, come si dice a Roma, “una sola” ovvero un imbroglio che effettuavano decine di anni fa solerti napoletani, infilandoli nei negozi di corniciai, venditori di casalinghi e mobilieri (tutti in combutta naturalmente). La sua opera è tratta da originale del grande pittore spagnolo Bartolomè Estaban Murillo (1618-1682), naturalmente eseguita da copista greve che si firma “De Murillo” e con sul retro una valutazione di 950.000 vecchie lire. Ne valeva allora trenta e oggi anche, a valuta cambiata per arredamento sommario.
Signor Santo Fracassi, la sua statuina (15 cm) – prodotto seriale ed industriale – vale poco; in rete le propongono a 50-200 euro a seconda dell’incompetenza di chi le possiede. Il coroplasta Nico Venzo non è trattato nel mercato e ha – lui e/o altri come la “Porcellana S. Martino” – creato una linea “bombonieristica” di soggetti artatamente, poi anche munendoli della sigla N coronata (ad imitazione dei variegati capodimonte). È da un secolo che le fabbriche vicentine fanno ciò accludendo al tutto pseudo certificati di originalità che valgono solo per vendere nei negozi a caro prezzo.
Signor Carlo Crociatelli, purtroppo gli amanti dei servizi d’epoca o antichi sono pochi, e rari sono coloro che li utilizzano con la ventura/sventura che poi si possano rompere e che non vi siano più le fabbriche che all’uopo li sostituivano, e anche a distanza di decenni avendo pronti stampi e quant’altro per la bisogna. Quindi, il suo servizio prodotto negli anni 1953-1959 (da marchio, ma non escludendo una ripetizione posteriore) con 190 pezzi! varrebbe intorno ai 2.500/3.000 euro! Ma chi glieli dia poi sarebbe fantasia immaginarlo, come i rari che con vetrine capientissime li possano acquistare e tenere in mostra.
Signora L. da Roma-Prati, quella professoressa somara che lei cita, in realtà penso che quando non girovaghi come espositrice nei mercatini “in” di Roma centro, svolga il mestiere dell’erbivendola. Spero con migliore conoscenza di quella sui metalli preziosi. E veniamo al punto: la Trifari, di cui la venditrice di polli (mi è venuto in mente infatti che invece potrebbe esercitare la “polleria”) ha un vasto campionario – almeno così lei mi dice – è un’importante ditta americana fondata dal napoletano Gustavo Trifari nato nel 1883 ed emigrato in America nel 1904. Inizialmente fece apprendistato nella bottega d’orefice del nonno Luigi e creò nel 1910 con lo zio Ludovico la “Trifari and Trifari” produttrice – non avendo denaro per una produzione di gioielli in metalli preziosi – di bijuox di livello e lusso per attori, cantanti e personaggi illustri, ma acquistabili anche da una borghesia e dal popolo minuto. Pochi anni e iniziò una sua personale produzione che nel 1925 ebbe come soci Leo Krussman e Carl Fishel e la ditta, con la sigla T.F.K., divenne la più grande produttrice di bigiotteria degli Stati Uniti. Ebbe il suo periodo più fulgido dagli anni 40 agli anni 70, poi il marchio fu ceduto e dagli anni 80, diciamo, non ebbe più storia accomunandosi a tecnologie industriali avanzate di consuetudine di tanti altri produttori. La Trifari fu e rimane famosa per una lega imitante l’oro che resta inalterata come il prezioso metallo nel tempo, e su cui fece la sua vera fortuna: il Trifarium creato nel 1947. E qui casca la somara professoressa di cui paventavo innanzi le professioni, la quale insiste da anni a raccontarle che il detto “trifarium” abbia “almeno” una percentuale d’oro del 20% (sic). No! signora, la lega – che ha segreto di fabbrica nelle percentuali compositive – contiene rame, alluminio, stagno, zinco, antimonio, non ha nessuna traccia né d’oro né d’argento. E qui le do un’altra notizia, la sua collana determinata precipuamente dalla tizia dell’anno 1944, non può essere, viceversa, in altro metallo che argento, infatti tutti gli altri con legge americana del 1942 furono destinati all’industria bellica, e se argento non è, non è neanche Trifari né di altra ditta analoga americana, chiaro?
Per la valutazione dei suoi bijoux la posso indirizzare da una vera conoscitrice e collezionista di cui se crede le invierò il contatto.
Signora Lorella De Stefani, le rispondo unicamente per rendere edotti tanti lettori che continuano a far ciò che ha fatto lei, e cioè sbagliare indirizzo. Quando infatti si decide di mandare a taluno delle foto non belle, da lontano, senza i particolari e senza misure né peso (dell’argento nel suo caso) per saperne di tutto, si deve scrivere al mago Otelma, poiché solo una persona dotata di facoltà extrasensoriali potrà rispondere, non certo io che tra l’altro sono un “tuttologo” e a volte un “ruttologo”, nel senso che devo rispondere “d’emblée” ovvero di getto e sommariamente. E non è che rivolgendomi a centinaia di lettori al mese possa essere sempre gentile e chiedere nuovi invii, fare raccomandazioni e quant’altro. Quindi, e sommariamente, il suo oggetto sembrerebbe un brucia incenso/essenze, l’unico dato sensibile che lei manda è il punzone GF che andrebbe per “Gold Filled” ovvero copertura in foglia d’oro, una doratura spessa – di cui però lei non mi parla e che io non vedo – che andrebbe ad indicare che il pezzo è in argento sterling o 925, ma lei null’altro scrive unitamente alle niente affatto esaurienti foto, fatte con il solito cellulare buono per le riprese di amici e parenti, non certo per perizie in cui vi sono piccoli marchi e particolari. Ed io più di così…
La signora Mirella Iuorio manda in visione un servizio da 12 (te-caffè) di ditta bavarese (non conosciuto ai miei prontuari) prodotto tra il 1946 ed il 1949 in occupazione della regione da parte dell’esercito americano (US. Zone).Valore, in ribasso ai nostri giorni, 200/250 euro se integro e in ottime condizioni di decoro.
Signor Gabriele Coronati, è impossibile da immagini poter valutare porcellane cinesi, se non si tratti di prodotti seriali facilmente identificabili da esportazione e arredamento. Il suo (h 24,3 cm) presenta come marchio i caratteri a sigillo della dinastia Qing (1644-1911), l’ultima della Cina terminata con la rivoluzione nel 1912. A me sembrerebbe una riproduzione, (la Repubblica popolare cinese dopo avere per anni distrutto un popolo nei suoi effettivi e nella sua storia, ha fatto impiantare decine e decine di fabbriche per ricopiare i manufatti antichi devastati, retaggio dell’imperialismo, e destinarli al lucroso commercio esportativo) ma per capire quando sia stato effettivamente realizzato v’è bisogno di una valutazione “de visu” la quale rivelerebbe subito se occorrente l’esame ulteriore di un esperto precipuo che io non sono.
Signor Tonino Cusenza, le espertizzo la sua testa bronzea di tipo etrusco poiché non si tratta di un originale soggetto alle leggi e non commerciabile, ma di una copia (che ho anche fatto esaminare da altri ben più esperti di me in materia) e come tale di solo valore arredativo: 70/90 euro.
La signora Alessandra – valente mercatara dagli anni 90 a Rieti nel grande mercato di antiquariato diretto allora dall’UMAIF (Unione Mercanti d’Arte in Fiera 1992) – che nel tempo è diventata una fine conoscitrice della pittura napoletana dell’Ottocento, mi rivolge una provocatoria domanda specialistica sul pittore Goffredo De Hagemann di origini tedesche nato però a Napoli nel 1820 e morto a Parigi nel 1877. Mi chiede la gentile signora: come mai non si trovano opere del pittore nel mercato? E lei già sa che il nostro fu allievo di Filippo Palizzi e seguace di Giuseppe Palizzi, fratelli della famosa dinastia di pittori partenopei. E dato appunto che la pittura del De Hagemann diciamo che è stata fortemente influenzata dallo stile e dalla tecnica dei più famosi pittori, penso che alla maggior parte delle sue opere gli scaltri e disonesti galleristi e mercanti abbiano cancellato la firma sostituendola con quella dei più quotati colleghi. Pensi che è capitato a me una ventina d’anni fa, in seguito all’inventario di una divisione ereditaria, di vedere un paesaggio con armenti a firma Filippo Palizzi ove sotto con un forte ingrandimento e con la lampada di wood, per una “correzione” mal fatta, si poteva leggere “De Hag…..n”. Cos’altro dirle? È così che nel campo dell’arte si è giunti come nel campo dell’antiquariato a squalificare il mercato, insieme naturalmente ad altri ben più gravosi motivi inerenti oramai l’incultura generale delle masse provocata storicamente e politicamente da chi ha portato la democrazia dello studio a tutti, ma ad un livello si basso di cui gli effetti dopo un secolo mi pare siano evidenti, aiutati dalla tecnologia e conoscenza transeunte, effimera quando non falsa della tastiera. Le getto lì un altro nome che nessuno sa chi sia: Luigi Crisconio (1893-1946), uno dei migliori pittori napoletani dell’Ottocento a cavallo del Novecento con Biennali di Venezia, Quadriennali di Roma ecc. che fu riscoperto una trentina d’anni fa ed ora è scomparso nei paesaggi (si trovano solo dei poco richiesti ritratti), obliterato da altre ben più prestigiose apposte firme sempre da parte dei tanti (non tutti) soliti imbroglioni antiquari/galleristi/mercanti.
E mi fermo qui per non mostrare a fondo tutte le mie idiosincrasie!
Rispondo al quesito per intero e sulla rubrica solo per renderne edotti appieno i lettori tutti. Il signor Donato Luna (che come altri ha voluto mettermi alla prova senza fornirmi alcun tipo di informazione necessaria sebbene in suo possesso) mi aveva inviato foto di un lampadario in vetro e metallo a sospensione con 12 bracci scrivendo: “è stato attribuito alla manifattura muranense Barovier & Toso”, senza indicare da chi era stato emesso tale responso. Gli risposi via email notiziandolo che nei miei prontuari non risultava tale produzione ed indicandogli i contatti con la ditta in Milano per ulteriore parere.
In seguito, nella corrispondenza scambiata, egli mi rivela che il lampadario ha un’etichetta che lo qualifica ingiuntamente al parere dell’esperto della casa d’aste in rete Catawiki dove lo ha acquistato. La Barovier&Toso a cui si era già rivolto prima di interpellarmi (ma bravo, bravo…) invece lo aveva disconosciuto, e quindi comincia a capire di aver comprato un falso sia pure alla bassa cifra di 200 euro!
Signor Donato la esorto la prossima volta a fornirmi informazioni ed altro, che non svolgo la professione del sensitivo e veggente (ma quante volte lo devo ripetere: sono solo un esperto tuttologo che fa da oltre trent’anni del suo meglio per rispondere a quesiti che vanno dal macinino della nonna al gran quadro della contessa), che se per esempio mi avesse partecipato anzitempo della volontà di acquisto le avrei detto che, pur non essendo un originale, per la cifra offerta poteva anche accontentarsi. Ne scrissi anni fa sulla mia rubrica: una delle esperte della Catawiki per l’arte e antiquariato era/è una signora che gestisce un negozio di abiti “vintage” (ovvero vecchi ed usati) e chincaglierie in quel di Bologna! Non conosceva né descriveva a dovere minimamente l’oggetto di cui dichiarava in una tornata d’asta. Ma le Case su cui ogni tanto scrivo e ripeto ora, sono legalmente venditori in “bona fides” di cose a loro affidate da clienti i quali ne dichiarano la sostanza; sensali, insomma, che non mettono in dubbio la fede del venditore che a loro si rivolge. Hanno sì periti, ma alla buona, tanto per far sì che il fruitore d’asta a loro s’affidi, personaggi della cui esperienza e conoscenza si può a volte dubitare (ciò naturalmente non toglie che ne abbiano qualcuno all’altezza, ma a trovarlo!) Far loro causa? Sì e al massimo il giudice potrebbe riconoscere l’errore e costringere la casa a rifonderle dietro restituzione l’oggetto ma senza aggravio di spese trasporti e giudizio e periti che rimarrebbero a suo carico. E ciò, a parte il suo caso, non le converrebbe affatto: ne conviene?
Ed eccoci alla signora Daniela Bellardita con una statuina della ditta Lladrò (che le pareva troppo misurare!). La manifattura nasce nel 1953 nel villaggio di Almacera (presso Valencia) in Spagna per opera dei fratelli Juan, Josè e Vicente Lladrò e fabbrica vasi e oggetti ceramici per la casa. Nel 1956 inizia la produzione (ancora attiva) delle sculturine in porcellana e nel 1958, per l’enorme successo, si trasferisce a Tavernes Blanque sempre in Valencia dove nel 1962 istalla una Scuola professionale e nel 1967 inizia a costruire la Città della porcellana terminata nel 1969.
V’è da fare, quindi, doverose premesse innanzi a tali tipologie vendute da ditte famose nell’arte della coroplastica e non solo. La prima: sono prodotti artigianali/industriali (anche nelle serie così dette limitate) e pur essendo di ottima fattura – e specialmente nei nudi – di valentissima estetica, rimangono sempre confinati nei termini della riproduzione seriale. La seconda: è indubbio che detti curati prodotti vengano venduti nei negozi a cifre di 500/1.000 euro ed oltre, e anche via internet hanno le stesse quotazioni – che però si abbassano anche a 50/70/120 euro da parte di non sprovveduti individui, se non commercianti, che hanno primariamente provato a venderle alle alte quotazioni primarie dette. Per quanto espresso, valuterei la sua – come altre simili – sugli 80/120 euro per arredamento. Ripeto: i nudi, le madonne ed altri particolari pezzi vanno valutati singolarmente e per la loro estrinseca bellezza, che anche se seriale, non manca mai di stupirci e appassionarci.
Signora Laura Baglini, sono trent’anni che scrivo in questa rubrica e da sempre mi danno enormemente fastidio le persone che mi scrivono come fa lei: ho un Anivitti, un Monti e un Costa, alla milanese come fossero patate e come se noi ne sapessimo comunemente! Signora, io temo ad onta di chi le abbia lasciato in famiglia i bei quadri che possiede, che lei al massimo ne avrà sentito dire o abbia consultato internet! Primo: chi è – lo chiedo a lei che io non ne so, e dal visto preferirei ignorare – il Monti? Secondo: di Anivitti (Filippo, 1876 – 1955 Roma) fortunatamente ve n’è uno solo, e l’opera ereditata è una campagna romana superba (cm 80×120) che potrebbe valere non meno di 10/12 mila euro. Il terzo, Costa (che non è il più famoso dei vari pittori Giovanni, detto Nino, romano – 1826-1903 – e quotatissimo) è Giovanni nato a Livorno (1833-1893) e da me riconosciuto più che dal bel ritratto dalla firma, e che può valere (cm 53×70) sui 3.500-4.500 euro.
La cornice tonda in porcellana senza misure, ma ad occhio e dalle brutte foto direi sui 30-35 cm, potrebbe essere di fabbrica austriaca/bavarese (per dire Meissen ci vogliono e/o marchi e/o visione dal vero), novecentesca; se intatta in ogni particolare, vale sui 400/500 euro.
E come sempre, un saluto a tutti e un abbraccio ai pochi.
Marzo 2023
Signora Ines Rosati dalla provincia di Pisa, generalmente non seguo le programmazioni televisive, se non nei telegiornali, sulle eccellenze dei territori, i programmi storici, le inchieste e i documentari che purtroppo, e specialmente la Rai del servizio pubblico, trasmette ininterrottamente da vent’anni e alternativamente sempre gli stessi. Poi vi sono trasmissioni ai limiti della decenza: sanremi e gare tra vecchi, giovani, bambini, per proporsi come cantanti o ballerini o presentatori e nelle proposizioni anelanti a tali carriere, nei fatti nullafacenti e bisognosi di essere perlomeno impiegati nei lavori socialmente utili e i bambini rieducati. Poi e a seguire l’arte culinaria condotta e partecipata da una miriade di cuochi, chef, lavapiatti e similari, si calcola uno ogni italiano: vecchi degenti e bambini compresi. Non parlo dei programmi di importazione estera sul riconoscimento di mestieri e altre baggianate del genere di cui voglio sperare non sia solo io alieno. Purtroppo è una gran cassa mediatica che a volte trascina per passatempo anche le persone pensanti e non solo chi ha deciso in illo tempore di porre le “due cc” come si suol dire all’ammasso! Quindi, e per risponderle, mi guardo bene dal seguire personaggi televisivi che, e va detto, felicemente e con un certo onore mi guardo bene dal conoscere e visionare. E tutta questa prolusione non richiesta – sono un parolaio per inclinazione e tendenza – per dirle ex abrupto di non comprare nulla da questi tizi senza certificazione adeguata, che sono soprattutto invenzioni dello schermo e la cui notorietà non desume affatto della loro serietà e a volte persino della loro esistenza, terrena intendo.
Grazie signor Bruno Picasso, l’abbraccio! Purtroppo i cretini in giro sono tanti ed i più indefessi li trovo a volte a scrivere alla mia rubrica. Essi, invece di agevolare la mia opera – che ricordo per chi si fosse messo a leggerla da poco è gratuita e svolta con l’ausilio di sole immagini – mi fanno le cosiddette “finte”: mi nascondono informazioni a loro conoscenza, mi mandano immagini tratte da libri e/o cataloghi, mi inviano – come nel caso che lei ha notato – i medesimi quesiti già formulati e soddisfatti (da un Ettore di Cesena e una Paola C. di chissà dove) 4 anni fa. Eh… che costanza però, per degli imbecilli. Nella sua lettera, compiacendosi, mette in evidenza come io abbia dato la medesima risposta già formulata per ambedue le richieste, e questo, pur a distanza di tanto tempo. Io le rispondo che ciò è normale, però aggiungo che l’invio di immagini del medesimo oggetto ma ripreso con altra qualità, da diversa angolazione e con altri particolari, potrebbe anche determinare nel perito “sensazioni” (che unicamente di questo si tratta nel caso di expertise da remoto) diverse e diversa valutazione. È difficile, ma può accadere. Ed è perciò che continuo a rammentare ai miei lettori, fedeli o meno, di essere esaurienti ed anche ridondanti di tutto (foto, provenienza, e informazioni anche generiche): siate prolissi, insomma, non temiate che ciò mi angusti o faccia perdere tempo perché, viceversa, di tempo ne perdo di più a scervellarmi per identificare i vostri striminziti quesiti. Suvvia… gli oggetti sono vostri, lavoriamo insieme!
Il signor Davide Marzano da Pesaro invia l’immagine di un servizio veneziano da rosolio ereditato dalla nonna. Di epoca e tipologia 1920-40, in vetro blu con ricami lattescenti, tale insieme, così come altre cose simili, anni fa sarebbe stato apprezzato e ben valutato. Purtroppo oggi, un periodo storico in cui il bello e l’antico non hanno – è proprio il caso di dirlo – più dimora, il servizio vale sui 150/200 euro.
Il signor Giuseppe De Maria, fedele lettore da vent’anni (prima nel formato cartaceo della storica rivista e ora di quello online) per cui mi si permetta un doveroso incipit). Egli, infatti, oltre a riversarmi graditi complimenti, mi felicita con preziose e diligenti informazioni riguardo le opere di cui mi chiede disamina e valutazione. La prima riguarda un bronzetto (cm 29×22) di Pietro Canonica (1869-1959), scultore tra i più emeriti del 900 per potenza plastica ed espressione, nonché compositore musicale di fine talento. Fu anche, ma non vada a suo discapito, Senatore del Regno, e ciò per serietà, ingegno, probità e quant’altro, insomma – e a tal motivo rimarco – per tutte quelle caratteristiche invise alla maggior parte dei nostri attuali. Tale bronzetto è copia – lei mi dice – dell’opera “Alba ridente”, collocata nell’omonimo Museo a lui dedicato in Viale Pietro Canonica alla Fortezzuola adiacente Villa Borghese a Roma e che invito a visitare (fa parte del circuito museale del Comune capitolino e l’ingresso – non guasta – è gratuito). Il signor Giuseppe, che è amatore classico dell’arte ne vuole sapere oltre la venale valutazione e ne ho cercato a lungo tra i miei appunti e libri. Il Canonica, che aveva attività in una casa studio – sede dell’attuale Museo che fu a lui donata dal Comune di Roma a cui egli riversò poi tutte le sue opere e gli arredi, comprò una vasta proprietà a Vetralla (VT) dove costruì un suo studio con annessa fonderia (nella Cassia Sutrina n. 10/1 ora sede della Pro-loco cittadina). Il rapporto con l’amministrazione viterbese locale negli anni non fu dei migliori (e né tale – per chi ben conosce le dinamiche “paesane” della provincia – poteva essere). In questo fondaco egli, con l’aiuto di valenti maestranze provenienti dalla capitale e reperite sul posto, fondeva tutte le sue opere, anche quelle di rispettabile volume – in ciò lo imitò, decenni dopo, il grande scultore Manzù che creò a Campo del Fico ad Ardea (LT), in una casa-fonderia oggi Museo, e anche lì con gli stessi poco idilliaci rapporti con le autorità – così parmi si chiamino – del posto. Dettole quanto, anche il suo bambino sorridente ha tale origine; lo scultore però faceva, riprendendoli, diverse versioni minori dei soggetti elaborati in grande o meno. Il suo, che lei colloca come copia dell’“Alba ridente” presente nel museo romano è (antecedente alla tale) ritratto della marchesa Anna Ferrero De Gubernatis di Ventimiglia “all’età di un anno” scolpito in marmo statuario di Carrara (cm 30×45) e battuto per tale un esemplare un esemplare in asta dalla Casa d’aste Cambi (3.000-3.500 euro) il 04/05/2022 n. 758. Ho notizia di come siano circolate nel mercato opere riproduzioni ( negli anni 60-70) da parte di fonderie – del napoletano – non autorizzate. Rimane la venalità che è pur necessaria, e considerando il bronzetto in suo possesso come autentico dello scultore, penso abbia un valore intorno agli 800/1.000 euro, considerando il calo fisiologico della bronzistica minore d’epoca e il purtroppo dimenticato artista.
Il secondo quesito riguarda l’opera di un altro grande classico italiano anch’egli nel limbo dell’arte e di cui pure io non so molto: Michele Cammarano, pittore alla corte borbonica, affrescatore della Reggia di Caserta e poi docente alla Reale Accademia delle Belle Arti di Napoli. La tela (cm 40×32) in suo possesso, signor Giuseppe, che lei ha denominato: “Amor perduto”, raffigura in effetti, nella sua dinamica pittorica, il titolo apposto. Le posso solo dire che raffigura una giovane fanciulla in folcloristico abito di ambito napoletano e che è una gran bella pittura di vaglia, su una partenza di 5.000-6.000 euro e oltre.
Il signor Emanuele Mazza manda in visione un servizio da sei prodotto dalla società ceramica Pucci di Umbertide, fondata dall’omonimo Domenico nel 1947 e chiusa nel 1962. Il servizio è stato prodotto negli anni 52-57 e può valere sui 350/400 euro.
Signor Andrea, suo nonno avrà pure acquistato spesso cose di valore, ma non in questo caso. Il quadro del 1976 con firma sconosciuta (cm 145×105), non ha alcun crisma artistico che possa farlo assurgere a valutazioni di sorta. Per solo arredamento e per gli amanti del genere, sui 60/80 euro.
La simpatica e affezionata lettrice Annalucia Bigerni che ringrazio di cuore per le belle parole che ha voluto donarmi, manda tre quesiti interessanti la ceramica e che presentano firme di illustri realizzatori. Il primo è un vaso-cestino (cm 28×40) della Ceramica Arte Aretini (fondata da Zulimo Aretini nel 1918, artigiano appartenente ad una stirpe di vasai umbri) che ebbe spostamenti e vicissitudini varie. Nel 1926 viene assorbita dal Cima (Consorzio Ceramica Deruta), nel 1934 si sposta insieme al figlio Galileo a Torgiano (PG) e nel 1950 a Cameri presso Novara con il marchio Casa (ceramica d’arte aretina). In quanto riportante la sigla Z originale in calce del vecchio “maestro” fondatore Zulimo, valuto il suo vaso da collezione, 500 euro.
Il secondo quesito riguarda un altro vaso “scritto” dell’eclettico pittore, scultore, Franco Assetto (Torino 1911- New York 1991) firmato 1952 (cm 20×13). Laureato in farmacia negli anni del dopoguerra l’artista iniziò l’attività di ceramista andando, tra l’altro, ad Albisola e frequentando società ceramiche prestigiose (MGA e Ce.As) per imparare le tecniche. Anche a questo oggetto che riporta la firma per proprio conto (ma presenta una cattiva “asciugatura” degli smalti apposti), assegno un valore che si aggira sui 300 euro.
La terza e ultima richiesta riguarda una testa in ceramica (h 20 cm) realizzata dalla Litoceramica Piccinelli per lo scultore Lorenzo Pepe (1912-1984). La scultura è un multiplo ma non è numerato, per cui il valore scende sensibilmente: sui 200-250 euro.
Ah!… Dimenticavo i “capodimonte” che la signora dopo aver iniziato a leggere le risposte date ad altri ha cominciato a rompere: ma… Annalucia!
La signora Carla Zanoli manda in visione due sculturine. La prima (h 48 cm) è opera dell’artista savonese Carla Cuneo (1903-1995), valente ceramista presente in musei e collezioni ma non trattata dal mercato. Valuterei, quindi, il suo bronzetto, con mia personale stima, sui 1.000/1.200 euro.
La seconda opera è un nudo in terracotta patinata del napoletano Amedeo Gennarelli (1881-1943), eclettico scultore e formatore che purtroppo nella coroplastica non ha che basse quotazioni (Casa d’Aste il Ponte, tornata del 20/06/2019 n. 456, lotto 311 “Nudo di donna”, anni 30, h 43 cm: stima 120 aggiudicazione 100 euro, e altre simili). Migliori, i valori per suoi i bronzetti e per le piccole opere in marmo. Il nudo in terracotta di cui mi si chiede (h 63 cm) vale sui 300 euro. Signora Zanoli, non tema affatto di riscrivermi, sarà un piacere risponderle.
Signor Domenico Lucisano, partiamo da un assunto: le pendole, o gli orologi tutti, che arrivano a valori consistenti sono solo quelli che hanno un meccanismo-movimento riconosciuto e/o importante, gli altri (se ne trovano nel mercato a migliaia, un po’ per la facilità delle riproduzioni dei modelli antichi ripetuti da secoli, e un po’ perché pare che nessuno li butti via e quindi vengono conservati anche in pezzi che danno poi luogo ad assemblaggi a non finire) non hanno elevato valore. La sua pendola “Andromeda incatenata alla roccia” (h cm 17x58x22), costruita dalla fonderia E. Vittoz – Parigi (metà ed ultimo quarto dell’Ottocento), funzionante, non sfugge alle dure leggi del mercato per quanto sia di buon livello bronzistico e presenti una elegante base in alabastro che la porta dai 350/400 euro (per tali tipologie) ai 600 euro.
Circa il secondo quesito: un virtuoso ricamo (cm 50×61) “a punto penna”, in seta, eseguito da sua nonna nel 1912 a Reggio Calabria e al quale, naturalmente, lei è molto affezionato, devo purtroppo dirle che il suo personale valore di affezione è l’unico che posso assegnargli, giacché tali encomiabili opere di un’antica arte femminile non vengono neanche più proposte, né recensite, né tanto meno acquistate.
Speravo da mesi fossero finiti i “capodimonte” e invece ogni tanto… La simpatica signora Elisabetta Giovacchini – che ha scelto un’intelligente indirizzo e-mail che non posso riportare – non ha mai letto le mie infuocate risposte in merito, e quindi mi propone una statuina seriale fabbricata chissà dove nel mondo, riportante sotto la famigerata N coronata. Naturalmente, essa può valere solo poche decine di euro per gli amanti del “bombonierato” et similia.
Il suo secondo quesito, invece, riguarda un bel libro: “Compendio delle divozioni e meraviglie del sacro Monte della Verna” (Casentino-Arezzo), nell’edizione veneziana. L’esemplare ha una bellissima incisione inerente, e nonostante abbia difetti vale sugli 80/120 euro.
Il caro lettore Roberto Desogus mi scrive dalla bella Sardegna, per farsi valutare due opere in coroplastica di maestri purtroppo “scordati”. Il primo lo scultore veneziano Armando Visinoni (1914-1989) che subì in vita l’ostracismo dovuto alla sua opera classica e legata ai temi del figurativismo, tendenza artistica che nel corso del 900 venne relegata in secondo piano a favore delle nuove correnti “moderne”; autore che, anche in seguito – come lamenterà in un suo libro autobiografico – rimase sempre ignorato sia dalle gallerie sia dai critici, avendo come sua unica soddisfazione l’essere stato chiamato in Messico da un’Accademia artistica ad insegnare la vecchia modellazione italiana. La formella in terracotta (cm 21×35), a mio avviso, vale dai 300 ai 400 euro.
Il secondo scultore di cui mi si chiede è il siciliano Giuseppe Viscona (1910-1974), anch’egli pressoché ignorato dal mercato. L’artista ebbe però diverse soddisfazioni proprio grazie alla ceramica di cui divenne negli anni valente interprete modellatore. La medusa smaltata (cm 34×25) vale intorno ai 250 euro.
La fedele lettrice Danila De Pieri, che ringrazio, manda foto di un piatto in ceramica (cm 39) avente impressioni in oro zecchino, e creduto dalla stessa lettrice un falso dello scultore maestro Ennio Finzi. Ebbene, no! gentile Danila, il manufatto è stato prodotto dalla nota Finzi di Firenze, azienda rinomata per l’argenteria sin dai primi del 900, che alla metà degli anni 40, aprendo laboratori e negozi anche a Milano, con il suo titolare e fondatore Arrigo Finzi iniziò a trattare la porcellana con decorazioni all’oro e all’argento “al terzo fuoco”. Daterei il piatto anni 50-60, e assegnerei un valore di 150/200 euro.
La statuina (h 18 cm) a cui lei ha assegnato erroneamente la tecnica “raku” che, mi permetta, è tutt’altra cosa, sembra una marionetta in ceramica, ma sinceramente (e da foto) non so dirle altro.
Signora Flavia Moratelli, le due statuine cinesi in osso (cm 36), di Scuola Tamashii, da remoto e da sole immagini io non posso espertizzarle, non posso cioè appurare se siano effettivamente in osso; però hanno un bel modellato, sembrano autentiche della Scuola e realizzate nei primi decenni del 900. Così fosse, valore sui 700 euro per la coppia.
Il signor Luis Conticelli manda un quadro senza misure, rifoderato, di mano popolare, di impianto fine 700, e non so perché identificato come immagine dell’arcangelo Gabriele. Si tratta, invece, di San Giovanni Battista, e calcolando ad occhio che sia di cm 20×30, il valore – cornice compresa – è sui 500 euro.
E come sempre, un saluto a tutti e un abbraccio ai pochi.
Febbraio 2023
Voglio iniziare con il simpatico signor Pasquale Siri che premettendo: “(…) ciò che le invio sono cose lasciatemi in eredità, le hanno rifilate al mio povero padre dicendogli che erano capolavori ma a me mi sa che lo hanno fregato”, mi invia una ventina di… chiamiamole “opere” che – Pasquale mi perdonerà – non mi è possibile far pubblicare. Esse, infatti, rappresentano in toto il vuoto e la lacuna delle norme italiche in materia non di arte (che qui non è per l’appunto contemplata) ma di socialità civile. E mi spiego. Se a taluno venisse la briga o l’infelice brio di suonare uno strumento molesto come ad esempio il tamburo ininterrottamente, oppure di farlo in luoghi ed orari particolari, è chiaro che sia la forza pubblica preposta sia la legge ne conculcherebbero il non pio desiderio con ammonimenti, e non dico con galera (riservata in Italia, e solo, ai messina-denaro, agli anarchici o ai mangiatori di bambini), ma perlomeno con il sequestro del non consono agli uditi altrui strumento per “Disturbo alla quiete pubblica (art. 659 CP)”. Invece, e qui il vulnus e la debolezza del nostro ordinamento, se taluno (e in questo pronome e aggettivo indefinito si annidano, ve lo assicuro, non nell’ordine: braccia sottratte all’onesto lavoro dei campi, perdigiorno, molesti per tendenza e professione, ex artisti di varietà/cantanti/circensi, stagnini e assimilati, professori a riposo o meno, ex combattenti e reduci, quando non dei veri e propri lestofanti usi e pronti a tutto, per dirne alcuni dei più ragguardevoli), se taluno, ripeto, tra i menzionati ed altri, un qualsiasi giorno e periodo della sua infelice e grama vita decidesse di porre mano, che so io, a pennelli e relativi colori e con essi imbrattasse più o meno delle superfici lignee, telate o comunque atte ad essere esibite come opere, procurando ipso facto una immediata sensazione di fastidio e deprimenza correlata a volte a dolori visivi veri e propri a chiunque si trovasse a passare per caso e certamente scevro dalla volontà di accorrere alla triste visione: che succederebbe? Ebbene, costui non sarebbe minimamente impedito da chicchessia nel suo nefasto esercizio! E ciò senza dimenticare che tale incuria e dabbenaggine – quando non prefigurante una volontà dolosa vera e propria – potrebbe, se a scapito di infanti o pargoli, determinare una lesione permanente dell’ars visiva che determinerebbe negli anni un difficile ed elaborato recupero. Come mai, mi chiedo – e insieme a me migliaia e migliaia di persone i cui avi hanno celebrato le bellezze della nostra Italia e che deprecano tali barbarie – nel nostro Paese non vi è, neanche accennata, la reprimenda legale a tali atti-abusi che, eufemisticamente, disturbano il pubblico godimento della vista? Voglio sperare che qualche voce alta e limpida nel nostro Parlamento mi oda e ne consegua levandosi. Auspico, inoltre, che il lettore in buona fede Pasquale perori la mia causa non conferendo le cose possedute in anonime raccolte di rifiuti indifferenziati (ove qualche raccoglitore onesto o meno le potrebbe, ohinoi, prendere e riciclare) ma piuttosto bruciandole senza tema, che la società civile ed io con essa gliene saremo eternamente riconoscenti.
Il signor Marco Cava scrive da Treviso chiedendo informazioni sulla sua lampada Noa (cm 40×46 h 27) in ottimo stato, di cui manda lodevoli e complete immagini (fortunatamente ogni tanto degli oculati e diligenti lettori che non si peritano di saggiare le doti extra sensoriali dell’esperto). L’oggetto è prodotto degli anni 80 della valente e specializzata ditta Lombardo di Villongo di Bergamo, fondata nel 1968. Idea e disegno sono opera dell’architetto e designer Gianfranco Frattini (1926-2004). Il valore varia tra i 300 e i 400 euro.
Il signor Umberto Ortica da Jesolo manda in visione una coppia di lampade Leucos (azienda di Murano specializzata nell’illuminazione fondata negli anni 60) designate da Roberto Pamio e Renato Toso negli anni 70. La ditta produceva, identico nelle linee e nei colori, anche il lampadario. Molto belle: 800 euro la coppia se perfetta.
Il signor Giovanni Gentile ha comprato in asta un quadro (cm 73×55) raffigurante una Madonna incoronata recante un libro in mano. Nel retro la tela riporta la scritta “Madonna de Monserat – Spagna” ma l’opera, purtroppo, non ha nulla a che vedere con la celebre Santa Maria de Monserrat, la madonna nera venerata nel monastero benedettino di Monistrol de Monserrat in Catalogna (di cui è patrona con ricorrenza 27 aprile). Portata dalla dominazione spagnola, una sua copia pedissequa si trova a Sassari, dove è nota come patrona della corporazione dei sarti. Iconograficamente, tale statua lignea rappresenta la Vergine con in mano un globo mentre sostiene il figlio che reca in mani una pigna. Nel caso del quadro presentato alla mia attenzione, non aiuta la possibile datazione l’archetipo simbolico del libro che risale al Rinascimento e alla rivalutazione delle donne sotto il profilo culturale. L’opera, rifoderata e rintelata, non può essere quindi visivamente interpretata nei materiali, ma certamente nulla ha a che fare con le laboriose e pur diligenti ricerche del lettore. Essa ai miei occhi si presenta come un quadro a impatto ottocentesco, non di scuola italiana e di non grande levatura artistica. Pertanto il suo valore oscilla tra i 500 e i 700 euro.
Il signor Giuseppe Crescella da Roccadaspide (SA), che ringrazio per la stima, mi chiede valutazione di un olio (cm 60×80) dal titolo “Contadino”, opera del pittore Gennaro Morra (1924-2011), suo zio. Dell’artista, ricordo bene, possedeva un nudo soffuso di luce, strepitoso, il grande avvocato Eugenio De Simone nella sua abitazione in Via Crescenzio in Roma negli anni 80; gli era stato donato dal sommo Antonio De Curtis inteso Totò, di cui era il legale. Signor Giuseppe, come lei stesso mi scrive, un po’ per l’operare di suo zio localmente nel padovano, un po’ per l’essere schivo da mostre e rumori mondani – e io aggiungo per via del disinteresse a suo tempo degli eredi che non ne hanno propagato l’arte – il suo nome non è circolato e dunque è chiaro come adesso il mercato non ne abbia quotazioni di rilievo, e ciò al di là del fatto che oggi come oggi, per fenomeni socio culturali, tutta l’arte antica e anche prossima abbia subito una declassifica paurosa, ed artisti che nel passato valevano milioni di vecchie lire vengono ora acquistati a fatica e a cifre di centinaia di euro. Mi spiace collocare il Morra, valente artista, tra i sotto quotati, ma il mio è mestiere che non può esulare dai parametri di mercato, a volte tetri, dell’economia venale e di risulta del momento. Pertanto, a malincuore valuto l’opera in suo possesso tra i 400 e i 600 euro.
La signora Anna A. da Vercelli presenta alla mia attenzione un’incisione a bulino detta “La Sibilla Samia” (cm 46×34) – dal dipinto del Guercino (1591-1666) collocato negli Uffizi di Firenze – disegnata da Buonauni Gustavo (attivo nella metà del XIX secolo) e incisa dall’Antonio Perfetti (1792-1872), collocata una copia originale presso l’Istituto Centrale per la Grafica, Fondo Corsini vol. 41 H3. L’incisione in suo possesso, signora Anna, datata 1833, sembra essere in ottimo stato e potrebbe valere sui 250/300 euro.
Signora Marina, riguardo al suo quesito, preliminarmente voglio esprimermi su Giuseppe Armani (1935-2006) scultore e ceramista, nome indebitamente accomunato a Capodimonte con cui non ha nulla a che fare (come d’altronde tutte le cose a tale luogo abbinate da migliaia di fabbriche che hanno operato e operano in tutto il mondo in produzioni ceramiche). L’artista fu modellatore in varie fabbriche e fabbrichette imitanti un po’ tutto, poi nel 1975 fu assunto come restauratore e copista dalla Pinacoteca di Pisa dove lavorò sino alla sua morte. Nel corso della vita cedette suoi modelli a varie ditte che iniziarono a sfornare migliaia di manufatti insieme ad altre che, pur non avendo le privative di concessione, si accodarono. Insomma, per farla breve, il mercato è oramai invaso da statue e statuine che neanche si sa se siano frutto della volontà, ma neanche della mente creativa, dell’Armani. E infatti, se ci si prende la briga di andare a dare un’occhiata nei siti di vendita di ceramiche, ci si accorge che vengono offerte dai 50 ai 200 euro, con picchi (dei “fulminati” dalla vita) che addirittura chiedono centinaia e centinaia di euro. Naturalmente, a tali prezzi queste statuine sono invendibili ai comuni “sensanti”, stuzzicano solo la mente di chi è privo di cultura minima e di chi è privo e basta. Concludendo, signora Marina, il suo “Pavone” con quegli apocrifi marchi, mi dispiace dirlo, non ha valore collezionistico né d’antichità, ma solo arredativo, per la cifra che le vorranno offrire.
Giudizio analogo al precedente assegno anche all’oggetto presentatomi dal signor Giuseppe Marziello: nessun valore collezionistico né di antichità. La statuina di Madonna Assunta (anni 80 del Novecento, h 45 cm circa), però, ha una valenza di per sé devozionale e in virtù di questo – e solo – può valere sui 250-300 euro.
Signor Marco M.: ma se lei – nel campo – ne sa più dell’esperto è d’uopo che sciorini il suo sapere apertamente e senza mettere alla prova chi, detto per inciso, svolge il suo lavoro da trent’anni in questa pubblicazione con plauso di chi edita e dei lettori.
Io non avevo pensato affatto all’Alfredo Beltrami (1901-1996), poiché il pittore da me ricordato non era un figurativo; solo, appunto, in seguito alla sua indicazione ho potuto consultare i miei prontuari e appurare che invece in gioventù aveva dato prova di esserne brillante esecutore. E quindi, sia gentile, la prossima volta mi fornisca adeguatamente i suoi saperi, giacché io non mi ritengo affatto in grado di espletare una conoscenza senza limiti, ed essendo un perito “tuttologo” ho bisogno degli aiuti e delle ricerche di chi mi propone le cose. Concludendo quindi, sì, si può pensare all’Alfredo come autore della sua opera, giacché ne corrispondono – a vista – appieno i canoni. Il valore che le posso fornire è modesto in quanto come tanti valenti artisti italiani anche lui soggiace alla legge dell’odierno basso mercato: sui 200 euro.
Signor Alessandro Pieri, il pittore Emanuele Cappelli (1936) è valente artista che in passato ha avuto valutazioni sostenute, intorno al milione delle vecchie lire per opere come la sua. Purtroppo, ai giorni nostri i valori sono attestati sul centinaio di euro.
Signora Francesca, il suo vaso (h 54 cm) firmato Schiavon non è a mio parere opera del ceramista Elio (1925-2004) ma di suo figlio (la madre, Linda Metta, era valente ceramista anche lei). Luca, che prese in mano le redini dell’azienda negli anni 80, inizialmente eseguiva per il mercato modelli sulla falsariga dei genitori. Valore sui 250 euro.
Signora Chiara, i suoi mobili di costruzione veronese sono degli anni 50-70 del Novecento; ottimi sotto il profilo artigianale-industriale, non sono però accedibili a livello collezionistico e di antichità. Valgono ognuno, come buoni mobili d’uso, intorno ai 300-400 euro al massimo.
Signora Anna Fiorito possiede la rivista “Domenica del Corriere” in annate rilegate dal 1953 al 1969. Sul mercato, gente esagitata e ignara vende a migliaia di euro gruppi di questa storica pubblicazione, ma in realtà il valore va dai 50-70 euro ai 100-120 ad annata, e solo se con copertina inserita in sequenza ad ogni uscita e i bordi non troppo rifilati, ma originali, o al massimo diminuiti di alcuni millimetri.
Signor Donato Luna, il suo vaso (h 22 cm), certamente realizzato dalla vetreria di Murano Barbini fondata nel 1912, rappresenta una delle produzioni seriali anni 60-70 della ditta ancora attiva. Il suo valore è tra i 250 e i 350 euro.
Il gentile e garbato lettore Michele Zampelli, giustamente premette nella sua missiva che secondo lui, in quel di Napoli, rifilarono al padre cose che non avevano e non hanno quei valori decantati dai venditori. Ed infatti, signor Michele, a ragione debbo confermare i suoi dubbi. Iniziamo dal Cristo penitente la cui vista è penosa veramente, e il cui autore, tale Sole (un “sòla”, per dirla alla romana), è certamente un vero filibustiere del pennello che troverebbe buona accoglienza – in un Paese di rispettose leggi – nelle patrie galere. Vale qualcosa, viceversa, la cornice in cui è impropriamente racchiuso: sui 200 euro.
La Marina a firma Dominech non presenta alcuna dimensione artistica di rilievo.
Il bronzetto del fanciullo pescivendolo, è una cosa da bassa fonderia industriale e per gli amanti del genere: 100-150 euro, come soprammobile di seconde case use agli svaligiamenti.
Le semi poltrone intagliate a pantografo, anni 70, sono di difficilissimo “appioppamento” a qualcuno per il solo uso quotidiano. Molto bella, invece, la credenzina liberty degli anni 20, ma la crisi dell’antiquariato la relega – così come l’altra credenza degli anni 40 che sta tra i 400-500 euro – a bassi valori, da mobili d’uso: 400 euro, nello stato in cui è.
La poltroncina eclettica “Napoleone III” vale commercialmente sui 150-200 euro, e infine, l’orologio e il candeliere in ottone sono cose industriali di basso arredamento: 150 euro il primo e 70 euro il secondo.
Signora Florencia Cerri, rispondendo a lei rendo edotti nel merito anche i tanti lettori che a volte trovano oggetti in metallo d’uso e seriali con firme di autori vari. Il suo porta gioie (h 27×7 cm) in ottone, firmato E. Laurent (Eugene Laurent 1832 -1888), anche in ragione della dicitura riportata nella base: Fabrication Francaise, va a significare che l’oggetto è sui modelli dell’artista e più o meno, quindi, che da lui ne venne autorizzata (ma in genere in tali tipologie mai) la riproduzione posteriore seriale, anche di molto successiva al periodo dell’ideazione. Il suo esemplare ha l’aria delle cose commercializzate per il pubblico nel corso del Novecento sino agli anni 60-70. Valore approssimativo, sui 50-70 euro.
La gentile lettrice Carmen presenta alla mia attenzione un grande soggetto ceramico (cm 60x 33 h) degli anni 60, firmato CAS (Ceramica Artistica Solimene) azienda fondata a Vietri sul Mare nel 1937 e ancora attiva. La signora, che ha fatto delle ricerche, devo dire, con dovizia, attribuirebbe l’opera a Guido Gambone (1901-1969), valente ceramista che lavorò in proprio ma anche negli anni – per sopravvivere – presso la detta CAS. Ebbene, per alcune rispondenze emerse proprio nelle forme e nella stesura coloristica, l’opera potrebbe anche essere attribuita a lui, ma non avendo impresse sigle specifiche dell’artista, naturalmente, il valore è assegnato, e solo, dalle quotazioni espresse dalla fabbrica di appartenenza: intorno ai 350-500 euro.
Splendida signora Irene Canepa da Stella (Savona), se tutti i lettori fossero come lei vivrei beato sugli allori. Diligente, la sua ricerca su Luigi Baracconi, di cui manda una foto del 1883 in un ovale ceramico di 70 cm per 60 di altezza. L’oggetto è raro, sia per le dimensioni sia perché non si hanno né notizie né immagini del ceramista che, come anche lei mi scrive, nel fin de siècle, insieme ad altri artisti collaborò con il più noto Pio Fabri all’interessante produzione ceramica romana in stile eclettico. Le do poche altre notizie sullo scenografo pittore e ceramista: Luigi Baracconi nacque a Roma nel 1840 e ivi morì nel 1909; fu impiegato al Teatro Costanzi di Roma (poi dal 1928 Teatro dell’Opera di Roma).
La cifra offertale per l’ovale: 350 euro, è buona, poiché sono pochissimi i collezionisti o commercianti di tali tipologie ma sono anche pochi i ritratti ceramici ancora interi di tali dimensioni (che hanno appunto valore tra i 400 ed i 500 euro). Il Circolo Artistico Internazionale che cita non esiste più da un secolo, ma – e nonostante la sua ottima e generosa volontà di donare il pezzo – un consiglio voglio darglielo anche se non richiesto: non dia niente a nessuno, tanto meno a istituzioni italiche che relegherebbero il suo manufatto in qualche nascosto ed inaccessibile deposito, quando non disperderebbero chissà dove.
La coppa con bronzi (cm 45×25) è del Novecento, probabilmente francese. Anche con piccole rotture è pezzo interessante, valore sui 250-350 euro, fosse intatto, il doppio.
Signor Renato Stecca da Treviso, delle sue tre statuine di foggia orientale in terraglia dura (h 10 cm) io non ne so nulla! E ciò nonostante i marchi impressi. Pubblico foto nella speranza che qualche dotto lettore e/o collezionista ben più ne sappia e ce ne ragguagli.
E come sempre, un saluto a tutti e un abbraccio ai pochi.
Gennaio 2023
Repetita juvant. Mi rivolgo ai tanti lettori che scrivono come se questa la rubrica fosse una pagina social dove poter disquisire con tracotanza o furbizia con l’esperto, rabbuiandosi poi per i pareri a volte tranchant di consuetudine, o per il fatto che li dileggi quando non mi scrivono le misure, non mi ragguagliano sui materiali o non mi forniscono, artatamente o meno, le informazioni necessarie a completare immagini che definire fotografiche è a volte eufemistico. Ebbene, a tutti questi lettori ripeto: cambiate indirizzo mail e rivolgetevi a chi, meglio di me potrà esaminare sia opere sia paturnie. Oh… mi raccomando! andate da uno bravo, uno di quelli che ti mettono a posto senza prescriverti medicinali di sorta.
Signora Carla Chiabotto, innanzitutto è inconsueto che si possegga un quadro (cm 50×70) acquistato in asta (Rapallo 1977) e non si abbia di esso documentazione né tanto meno se ne conosca l’autore. Le dico ciò perché la “donna con falcetto” rappresentata, è opera iconografica di uno dei pittori più rappresentativi dell’espressionismo italiano del 900, Giuseppe Migneco (1903-1997). Naturalmente, la sua autenticità è tutta da verificare visto che lei non possiede documentazione alcuna, e che senz’altro io non posso, da remoto e per immagine, confermarle nulla. Se lo desidera, può rivolgersi alla Fondazione Corrente che cura l’opera dell’artista (Via Carlo Porta 5 – 20121 Milano tel. 02-6572627.
L’affezionata lettrice Elena Bulla presenta alla mia attenzione delle spalline da Ufficiale della Regia Marina italiana, ipotizzando siano un unicum in quanto riportanti le iniziali del Re Vittorio Emanuele di Savoia. Ebbene, no! gentile signora Elena: le spalline – in dotazione alla guardiamarina – hanno tali iniziali in quanto il re in questione, con decreto 4419 del 1861 fondò la Regia Marina, e nel 1865, con decreto 2438, il Corpo della Capitaneria di Porto accorpato poi alla Regia Marina nel 1923; credo – altrimenti attenti collezionisti ne disquisiranno – che esse appartengano proprio ad ufficiali di questo corpo. Il valore sarebbe sui 100/150 euro, ma le sue, essendo ancora in scatola originale della Guglielmo Manucci di La Spezia (cm 17,5×13,7 h 24), ditta che le fabbricò, arrivano ai 250/300 euro.
Signor Marco Cupellaro, lei manda in visione una bolla pontificia di Pio IX (Mastai-Ferretti 1846-1878), Papa che ad oggi detiene il più lungo pontificato della storia: 31 anni, 7 mesi, 23 giorni e da ciò consegue che di bolle ne abbia prodotte abbastanza. Per questo motivo, dal punto di vista collezionistico il loro valore – a meno che non si parli di quelle contenenti atti di rilevanza – è contenuto sui 400 euro. Inoltre il suo esemplare, a vista, non sembra essere in stato ottimale, quindi sui 300/350 euro.
Lei manda in visione anche la copertina del libro di Gabriele D’Annunzio; anche qui le condizioni non sono buone e, avesse anche il testo (Edito da Pizzi & Pizio Riovedi Milano nel 1921), il valore sarebbe sui 30/50 euro; in condizioni buone viene venduto nelle librerie specializzate anche online variegatamente, come oramai tutte le cose, dai 70 ai 150 euro.
Signora Carmen Casto, nonostante decenni e decenni di studi e di frequentazioni d’arte e antichità, ogni volta – e di fronte a tante tipologie di oggetti – mi sento sempre un asinaccio e mi par di ben poco sapere; lasci perdere poi lo scrivere: sono un affabulatore di bocca e di penna ed ho un variegato lessico con cui colmo le mie sostanziali lacune.
Riguardo il suo grande vaso antropomorfo (cm 53) non credo sia manufatto dei Toso, per via della firma incisa con un comune vibratore elettrico da ferramenta, ma la famiglia si è talmente divisa nei suoi componenti che è impossibile per chiunque definirli e riconoscerli tutti, anche perché taluni di essi si sono specializzati nel riprodurre, pedissequamente o meno, tante opere del passato glorioso dei loro avi o parenti. Per la grandezza e la non disdicevole fattura, direi sui 500 euro.
Dott. Giorgio Montanari, debbo dirle subito che il suo candeliere con puttini (cm 30) non può affatto appartenere alla Real Fabbrica di Porcellane di Meissen: la composizione e la stesura plastica corrispondono a canoni ben più modesti, penso ad una delle tante fabbriche di Dresda (come risposi alla lettrice Danila Ferrari nel mese di maggio dell’anno passato) oppure anche alla Wallendorf oppure alla Wolkstedt nella Turingia. Il valore è sui 150/200 euro.
Riguardo agli angioletti (cm 25), essi vengono definiti “mortuari” da pendant a lapidi casalinghe o cimiteriali, una tipologia prodotta e riprodotta nei secoli. I suoi esemplari nello specifico mi sembrano avere un’aria novecentista per quella vaghezza – e cuoricino abbinato – nei loro volti. Valore, 120 euro la coppia.
Signor Marco M. fedele corrispondente, il suo dipinto (cm 29×47) attribuibile all’opera di Giovanni Trussardi Volpi (1875-1925) è stato purtroppo malamente tagliato (e incollato poi su compensato!). Cosa vuole le dica…, già l’autore, morto prematuramente in gloria artistica, non ha avuto in seguito quei successi economici dovutigli nel mercato, se a questo poi ci aggiunge che la tela è mutila di corpo e di firma, non si può che attribuirle un valore di 300/400 euro al massimo.
Riguardo il pastello su carta (cm 50×65) firmato A. Beltrame, è chiaro che ad onta di quella data che sembrerebbe un “72” ma potrebbe essere altro, il taglio e la firma stessa potrebbero attanagliarsi all’Achille Beltrame (1871- 1945) grande illustratore (le copertine mirabili in decine di anni della Domenica del Corriere) e valido pittore, ma…, ma vi sono pure tanti dubbi, compreso quello riguardante la stesura grafica non proprio attinente alla cifra stilistica dell’artista. Non potendo ascrivere l’opera ad alcun altro a me noto, la valuterei, come buon lavoro, sui 400 euro nello stato in cui si trova, ma avrebbe bisogno di altra disamina “de visu”.
Dottoressa Daniela Daniele, rispondendo a lei mi rivolgo anche ai signori Bonavita e Festa. Le litografie, tanto tempo fa, erano numerate singolarmente e realizzate con processo di incisione su lastre di zinco, piombo, pietra, legno (xilografie) e linoleum, e impresse, torchiate, a mano. Oggi invece, addirittura si utilizzano macchine tipo stampa a impressione di colore, e si raggiungono “tirature” di migliaia di esemplari. Una volta, la lastra originaria, raggiunti gli esemplari certificati, veniva “biffata”, cioè annullata cancellandola con bulino oppure veniva distrutta, oggi… neanche si sa se esista una matrice originaria. Ma, e al di là di ciò, nel mercato le uniche lito che valgono sono, e solo, quelle associate ai nomi di grandi autori e maestri ma…, ma devono anche avere le fatture e una documentazione ben precisa dei passaggi nel tempo, e cioè di esse si deve sapere quando sono state acquistate, dove e da chi, e questo perché eredi, gallerie aventi diritto o meno, continuano a stampare (questo il termine esatto) migliaia di copie, una volta vendute a prezzi esorbitanti (fu chiamata la grande truffa delle litografie), e adesso, accontentandosi, a qualche centinaia di euro ed anche meno. Naturalmente, non valgono nulla, a meno che non siano incorniciate, e allora qualche decina di euro si possono rimediare. Ciò, come detto, vale per le “grandi firme”, si figuri per le lito – pur piacevoli – che possiede lei, cara dottoressa, i cui autori sono pressoché sconosciuti nel mercato e in più sono falsamente certificate da un “Istituto d’arte per la grafica d’autore” (anch’esso sconosciuto a me ed ai miei prontuari nel tempo), senza timbro, né data, né indirizzo e a firma di un “nessuno” che certifica addirittura la tiratura complessiva di 6 opere (??).
Signor Enzo Tartagni fedele lettore, le do una bella notizia: il vaso di famiglia lasciatole dai suoi genitori non è degli anni 60, ma bensì del periodo 1912-1928, come dal marchio della Regia Scuola di Faenza fondata e riconosciuta nel 1925 da Gaetano Ballardini (1878-1953), grande ceramista e ceramologo, ideatore del prestigioso Museo della Ceramica di Faenza nel 1908. Se integro vale sui 2.000/2.500 euro!
Il signor Luciano Bruschi manda in visione uno “strappo” o ritaglio di quadro attribuibile (da scritta posteriore e da una certa affinità con l’opera del pittore sabino) a Girolamo Troppa (1636 + dopo il 1706); restaurato in conservativa, cioè senza integrazioni, e nel cattivo stato in cui fu reperito, purtroppo, vista l’unica cattiva immagine inviata, non mi consente ulteriore disamina. Che dirle…, fosse effettivamente del Troppa (cm 47×97) nell’attuale stato potrebbe valere sui 1.500 euro, altrimenti 400.
Il quadro (cm 49×37) della Madonna non ha, purtroppo, che canoni devozionali popolari e manca di pathos artistico. Opera forse tra 800 e 900, ne sconsiglio il restauro. Valore, sui 300 euro.
Signor Giuseppe Facchini, piano o pianola meccanica a gettone (cm 142×155) che sia, dell’800 o dei primi del 900, è indifferente per la valutazione monetaria. Il fatto è che per valutare lo strumento appieno, e considerando che la ditta trascritta sia solamente una sconosciuta importatrice o un’assemblatrice, bisognerebbe osservarne il meccanismo interno e provarne la funzionalità. Tali strumenti sono delicati e con il passare degli anni le ossidazioni e le usure (quelle degli “spinotti” dei cilindri soprattutto) li rendono bisognosi di cure e di costose revisioni, dato che sono pochi i professionisti artigiani del ramo. Nello stato di non funzionante, e a corpo, il suo esemplare potrebbe valere sui 600/800 euro, fosse in condizioni migliori, e variegatamente, dai 1.000 ai 2.000 euro.
Signor Antonio Guarnotta da Anzola dell’Emilia (Bo), il suo servizio incompleto (5) da caffè marcato MAP, prestigiosa ditta pesarese fondata nel 1915 dal Maestro Ferruccio Mengaroni (1875-1925), risale agli anni 40 del 900 e potrebbe valere nello stato in cui è sui 60/80 euro. Scomponendo il servizio invece: 10/15 euro una tazzina e piattino, 30 la zuccheriera e 50 la caffettiera.
Il quadretto (cm 35×25) acquisto della sua nonna è purtroppo opera di mero valore arredativo dei primi del 900; vale poco, e sarà bene che lo tenga gelosamente come piacevole ricordo.
Signor Marco Ricci, non dispongo attualmente di notizie sulla ditta Siap produttrice della sua salsiera, le posso però senz’altro dire che non è in argento ma probabilmente in alpacca (zinco-nichel-rame ) o “argentone tedesco”, e che forse è stata argentata galvanicamente. La scritta “Italia” è comune alle dotazioni di tanti alberghi che servivano personalità importanti e di regime nel periodo sabaudo del primo 900. Stento a crederla appartenuta a Mussolini in persona poiché avrebbe dovuto avere i rituali e ripetuti “fasci” a cui il dittatore teneva molto. Ma, e al di là di questo, le cose di interesse storico collezionistico, per essere reputate tali e di valore, devono avere una ben verificabile documentazione annessa altrimenti valgono, e solo, per le loro estrinseche caratteristiche esteriori. Pertanto, la sua salsiera potrebbe valere sui 120/150 euro al massimo.
Signora Carla Manganelli da Genova, lei può apprendere da me, ma anche io da lei. Da come scrive, evidentemente è una restauratrice e certamente è a contatto diretto con la materia. Io le posso dire che a prima vista sicuramente la zuppiera (cm 20×12), sui tipi come giustamente scrive “pseudo Tobacco Leaf”, non può essere ascritta alla ceramica cinese, sia pur d’esportazione, e neanche alla Mottahedeh che a volte tendeva a fare prodotti più “raffinati” del dovuto della produzione originale (a carissimi prezzi) o a fabbricare pedissequamente su ordinazione di scaltri antiquari veri e propri falsi. Riguardo al piatto (46 cm) invece, io come lei lo ascriverei proprio a manifattura “blue Canton” da esportazione. Ciò che non le posso proprio dire sono le valutazioni, che oramai tali oggetti vengono trattati secondo la tipologia della materia, secondo chi li vende e dove, e secondo chi li compra e quando. Gli unici riferimenti economici provengono dalle aste, io però li ho sempre considerati aleatori per loro natura, riportando parametri variegati di stima e di risultati, come del resto verificabile. In più lei mi riferisce di riparazioni e difetti che vanno osservati e computati. La ringrazio per la continua lettura del mio operato, un abbraccio.
Signor Alberto Vinci simpatico e arguto lettore, purtroppo i suoi quadri a firma Bach (cm 40×30) e a firma illeggibile (cm 47×45), ma da gettare subito, sono di nessun valore monetario. La litografia (cm 20×26) del maestro Mino Maccari (1898-1989), non numerata, siglata p.d.A (prova d’autore), è sicuramente spuria, ma comunque magari potrebbe spuntare 50 euro tra gli ignari.
E come sempre, un saluto a tutti e un abbraccio ai pochi.
Dicembre 2022
Signora contessa E.A.S. di Montebello… ora, se io fossi, che so!, un farmacista, un idraulico, un pompiere, pur nella spettanza e valenza delle mie funzioni certamente avrei avuto serie difficoltà nel discettare su quadri antichi e loro valutazioni, ma… ma io non esercito tali professioni, come viceversa mi parrebbe esercitino i suoi “consiglieri” (oppure mi sbaglio e magari sono carrozzieri o venditori di frutta ed erbaggi?) che giammai, esteticamente ed eticamente, potrebbero essere periti d’arte e antichità, ma semmai fisicamente periti all’arte. Potrebbe anche essere che costoro abbiano loro oscuri motivi, che io non conosco, per indurla a credere che l’Antonio Amorosi valente pittore (1660-1738 ) abbia quotazioni elevate nell’ordine dei 30.000-40.000 euro, e superiori con punte di 60-70 (per tele di 1,5-3 mq). E sa una cosa, gentile contessa, non è che io “abbia opinioni diverse” o “che ognuno possa dare il valore che crede ad una bella opera” (sic), è piuttosto che il mercato funziona in maniera diversa e agisce con la vecchia legge del mercato: domanda e offerta. E quando chi vuole vendere si accorge che la valutazione data ad un quadro non trova acquirenti, semplicemente ne abbassa il prezzo fino a trovare soddisfazione monetaria nell’acquisto da parte di secondi o terzi che siano. E per essere più chiaro, io non sono un precipuo esperto di arte pittorica del XVII secolo né tanto meno dell’Amorosi, ma sono un professionista, ho occhio allenato a migliaia e migliaia di opere e posso valutare il livello qualitativo ed espressivo delle stesse, individuarne il secolo e l’autore, ma per conoscerne il valore economico del momento – è chiaro – devo andare a reperirmi le informazioni e cioè devo venire a conoscenza del se e del quando le opere del dato artista sono apparse nel mercato (negozi-trattative online-private e soprattutto case d’asta) e vendute a quale prezzo.
Detto ciò, veniamo ai risultati d’asta dell’Amorosi da me trovati; naturalmente, ne elenco qui solo alcuni che ne richiamano altri analoghi visionati e che le ho inviato in mail privata: Casa d’asta Wannenes, settembre 2020 (cm 99×74) stima 2.000-3.000 euro, marzo 2021 (cm 22×17) stima 1.500-2.000 euro; Bertolami novembre 2022 (cm 25×19) stima 1.200-1.600 euro. Poi sì, v’è anche una coppia con analoghi soggetti classici pendant (cm 45×58) proposta da Pandolfini tra i 20.000 e i 30.000 euro nel 2018, ma si tratta di pezzi di livello eccezionale e di piena maturità dell’artista che io, peraltro, per la loro bellezza non avrei neanche attribuito agli stilemi dell’Amorosi. Ma ripeto – repetita juvant – non sono un conoscitore tale da poter autentificare tali opere e quindi mi affido alla perizia ben più valevole di altri colleghi all’uopo preposti. Va da sé, poi, che esistono galleristi, negozianti, antiquari che pagando le opere il meno possibile le vendono a cifre anche elevate – specialmente ai nostri giorni – cercando così di poter continuare a pagare locali, esposizioni, restauri, manodopera varia, tasse e quant’altro. Ma l’altra faccia della medaglia è che taluni di essi, e per gli stessi motivi economici, le svendono.
Io comunque, se posso permettermi, avrei un consiglio da dare all’esimio “professore” aretino da lei citato, (e che mi ha liquidato come esperto di “bagattelle” e mercatini, e d’altronde ciò è vero) il quale, in alcuni passaggi del suo pamplet critico/valutativo inerente le sue opere, mi sembra caduto in una crisi identitaria non felice. Premesso che egli scrive (sic) “l’Amorosi è l’inventore delle ‘bambocciate’ dissolutrici dell’ideale classico” – quando in realtà queste hanno chiara matrice ed origine nella cultura pittorica del Nord Europa e sono state trasfuse in Italia da tanti artisti con un tema più caricaturale – il suggerimento lavorativo è: ex abrupto un cambio repentino di professione o lavoro che sia. A tal proposito, mi è giunta notizia di un valente commerciante di origine magrebina che ha una fiorente attività in quel di Siena e precisamente nella prestigiosa e “paliesca” Piazza del Campo (trattasi di una struttura ambulante, abilitata alla vendita di vari souvenir, magliette, bandiere, trombette, sciarpe e altro), il quale vuole ritirarsi dal pur lucroso commercio per motivi personali cedendo in toto la ditta. Il prezzo richiesto sembra essere congruo e accettabile. Rilevando l’attività il “professore aretino”, nel discettare su merce selezionata, non rischierebbe di fare quelle figure da escatologica funzione biologica umana che fa nel campo dell’arte, e che, perdurando nell’infelice via intrapresa, continuerebbe a fare.
Mi è felice l’occasione per dichiararmi sempre a disposizione di tutti ed ovunque, anche in aule giudiziarie. Buon Natale e buone festività a tutti. E non siate come me, siate buoni!
Il signor Angelo Ghirardi presenta alla mia attenzione una statuina in porcellana raffigurante il dottor Balanzone, maschera della tradizione bolognese (cm h 30×12) firmata Zaccagnini, prestigiosa manifattura ceramica fondata a Sesto Fiorentino nel 1905 e chiusa nel 2000. Il pezzo potrebbe essere degli anni 70-90 e il suo valore, se intonso e senza alcuna rottura, tra i 250 e i 350 euro.
Signor Andre Marconi, a prescindere dal fatto che ella non si perita di inviare le misure delle sue statuine, il loro marchio non è a me e ai miei prontuari noto. Pubblico quanto inviato nella speranza che qualche dotto collezionista lettore ben più ne sappia. Il livello delle quattro “damine” è buono, pertanto, collocandole nel ‘900 ad occhio e senza valutarne l’origine precipua, supponendo un‘altezza standard sui 17 cm, assegno loro un valore sui 600-800 euro complessivamente.
Il signor Donato Luna manda la foto di una statua in legno laccato, un Buddha sdraiato lungo 160 cm e alto 47 cm. Purtroppo tali manufatti, prodotti e riprodotti con tecniche artigianali ancora semi manuali – in ragione non tanto della mancanza di macchinari quanto dell’abbondanza di manodopera a bassissimo costo in Cina e nell’Oriente tutto – non possono essere valutati che – e con difficoltà – attraverso la visione diretta. Le posso solo dire che tali opere nel mercato possono ambire variegatamente – la sua per una certa rarità – a cifre tra i 600 e i 1.200 euro, per arredamento.
Signora Anita Lima, il cachepot (h cm 30×18), come giustamente lei ha osservato, è ascrivibile alla tipologia di Bassano, ma il marchio “arco con freccia” non è da me conosciuto. Ascriverei quindi il prodotto a fabbrica vicentina e forse come epoca agli anni 70 del ‘900. Valore sugli 80 euro se intonso.
Signor Michele Angelo, la sua macchina da scrivere Olympia modello M2 o De Luxe (bisognerebbe visionarla dal vero), prodotta negli anni 50-60 dalla tedesca Olympia Werke (1903-1991), ha quotazioni variegate in internet e nei mercatini: si va dai 25 agli 85 euro ma ci sono poi sempre i soliti individui “disturbati” che chiedono inopinatamente varie centinaia di euro.
Signora Nilde Patti di Latina, non scherziamo: se un collezionista precipuo di stendardi e gadget d’epoca fascista le ha determinato e classificato il suo “gagliardetto”, non posso certo essere io a certificarlo e/o valutarlo diversamente. I collezionisti ne sanno quasi sempre – quando non fanno i furbi per poter acquistare a due soldi, e non è il suo caso – più dei periti, chi essi siano e me compreso.
Signora Linda, in passato nomi di artisti come Antonio Reyna Manescau (1859-1937) erano di un certo livello e avevano alte valutazioni di mercato. Ora purtroppo l’arte e l’antico non muovono più le menti né i portafogli, e le quotazioni di artisti pur eccellenti hanno valori altalenanti che le case d’asta contribuiscono a mantenere tali. Oggigiorno, d’altronde, è questa la loro politica precipua per far sì che non ci siano altre “vendite” che le loro, relegando quelle di gallerie e negozi di antiquariato e inficiandole. È comunque un lungo discorso da fare, meglio venire alla sua richiesta. Premettendo che mi manda brutte foto e non esaustive, che non invia autentiche e ricevute di acquisto né documentazioni inerenti, volendo considerare autentica la coppia di tele (cm 42,5×32) valuterei entrambe le opere, e sempre tenendo d’occhio il mercato, sui 4.000/5.000 euro. Esistono anche richieste, specialmente da parte di antiquari, ben superiori, ma le solite case d’asta che dieci anni fa le avrebbero valutate il doppio ora le offrono a stime decisamente sempre più basse. Ad esempio Il Ponte ha in catalogo (20 dicembre c.a) un cartone telato dell’artista (cm 15×20) a 450-500 euro. Comunque, da una panoramica dei risultati, riterrei il valore che le ho indicato abbastanza attinente. Naturalmente, a meno che non trovi un collezionista/amatore dell’artista (sopratutto a Venezia), la vendita le risulterà difficile.
Signora Giorgia Rais, il suo servizio di Limoges da 12 – che pubblico appositamente per renderne edotti diversi lettori che hanno porcellane analoghe – è prodotto di fabbrica orientale da un centinaio di euro di valore, risalente (dal marchio che ne esclude la pulizia in lavastoviglie unitamente a posateria) agli anni 70-80 del ‘900.
Signora Rosalba Salvadori, il suo vaso (h 31 cm, peso 1,800 Kg) è stato prodotto nel vicentino dalla ditta Tizianesca dagli anni 1950 al 1959, non ho altre notizie in merito. Il valore è intorno ai 350 euro.
Signor Maurizio Nocentini, già via email le ho raccomandato di inviare foto migliori, ma quelle giuntemi non rappresentano certo l’ottimale per attuare una perizia soddisfacente. Io capisco la difficoltà dei tanti che hanno a disposizione, e solo, gli immancabili cellulari, ma d’altra parte dovete anche capire le mie difficoltà a visionare da sole immagini, e se queste non sono esaustive io come posso operare? E comunque… il suo piatto (25 cm) sembrerebbe di manifattura viennese e anche il velato “bindenschild” (scudo blu con punta in basso) mi porterebbe a identificarlo come tale, ma… ma l’esecuzione della tesa non è all’altezza della decalcomania a fuoco al centro dello stesso. E a questo punto, potrebbe trattarsi di una replica del novecento francese. Comunque, sui 250 euro come valutazione.
Il signor Roberto Desogus dalla meravigliosa Quartu S.Elena, città sarda tra boschi e mare, invia l’immagine di un piatto (cm 41,5 profondità 14 cm) del valente ceramista e decoratore perugino Edgardo Abbozzo (1937-2004). I pezzi di questo artista sul mercato sono rari e richiesti: valore non meno di 500 euro.
Quadri, quadri e quadri! I lettori non mandano più i cosiddetti “capodimonte”, evidentemente hanno iniziato a leggermi nelle rubriche passate
Adesso è iniziata la fase dei quadri di pittori di basso livello, ma mestieranti, che hanno imperversato in Italia dagli anni 60 agli 80, in genere regalati dai commercianti di mobilia economica di fabbrica quando vendevano una camera da pranzo o un salotto. Per le camere da letto c’erano i tondi in gesso patinato e smaltato di madonne, con o senza figlio, sacre famiglie e/o cristi con il cuore rosso in mano. Oltre ai negozianti di mobili, una pletora di pittori mestieranti aveva come canale di vendita non dico le gallerie ma i corniciai e i negozi di casalinghi, e vendevano anche a prezzi elevati (si fa per dire: non più le oneste venti-trentamila ma a centoventi-duecentocinquantamila). Usavano appiccicare dietro le tele degli stampati – si vendevano nella cartolerie specializzate per prodotti pittorici o erano fatti eseguire da corniciai e assimilati – indicanti la dicitura: Autentico, originale, del maestro…, numerato…, e vi apponevano un timbro semi leggibile di accademie sconosciute, di alti patronati o di sé stessi, i nomi quasi tutti sempre di fantasia, anche se v’era chi, convinto o meno della propria arte si peritava di apporre addirittura numero di telefono e proprio indirizzo. Tant’è in Italia la stranezza del codice penale, che ad esempio punisce chi lede i timpani dei vicini con qualsiasi strumento o apparecchio trasmettente suoni e rumori e non analogamente prevede pene per chi lede la vista altrui. E così, una massa sempre presente di masnadieri a tal uopo votati continua imperterrita a imbrattare più o meno diligentemente tele, carte, supporti plastici, e il brutto è che non solo li espone ma addirittura vende o almeno ci prova.
E veniamo quindi di seguito alle richieste dei gentili lettori che, in buona fede e non interessandosi appieno d’arte, presentano tali cose.
Il signor Pasquale Riccio da Monteprandone (AP) manda in visione una tela (cm 60×70) in cui v’è un lezioso paesaggio di uno di quei pittori detti, con tanto di “garanzia” sul retro; per gli amanti del genere, vale 20-40 euro mentre la cornice perlomeno il doppio.
La signora Ines Binetti da Montecompatri (RM) presenta un quadro simile al precedente (cm 40×60) che non vale nulla così come la cornice.
Il signor Alessandro Contenti manda in visione un quadro firmato da tale Lorenzo Sirolli-Sirotti, che anch’esso non ha valore, né artistico né monetario.
Il signor Luigi Rizzo manda invece foto di altro genere di opera senza misure, ma non fa nulla poiché “la fatica” firmata da tale Vincenti è cosa da scordare e naturalmente di nessun valore.
Il signor Oreste Luini, che per fotografare ha usato un tostapane, sebbene di ultima generazione, manda invece un quadro (cm 70×100) a suo ben dire “strano”, dove non si capisce se il soggetto sia una donna o un motocoltivatore – o forse entrambi – ma ciò non fa nessuna differenza come pure non la fa il nome del firmatario dell’opera, tale Silvio Puccio Via delle Mimose Roma (zona Centocelle) che non indica, scaltramente, il numero civico, forse temendo, e giustamente, se non la legge, che come dicevo è impotente, magari l’ira di qualche turlupinato. “La cosa” è stata pagata parecchio, come si legge nella retro ricevuta incollata e rilasciata dal tale pittore stesso, ma riportante residenza nella città di New York – che balzo! – nella 5 Avenu (che sarà lunga una decina di metri) senza, anche qui, numero civico: un milione, dicasi un milione! delle vecchie lire nel 1982. Eh sì Puccio, hai fatto le cose per benino, per non essere rintracciato e giustamente bastonato.
Chiudo la carrellata dedicata ai quadri con il signor Alfio Cali che manda un dipinto a firma G. Conte (cm 130×70), pezzo di non grande prestigio artistico ma di un certo gusto e arredativo. Valore sui 400 euro.
E come sempre, un saluto a tutti e un abbraccio ai pochi.
Novembre 2022
Signora Gabriella Burzio, il suo olio (cm 60×50) è una bella opera del valente pittore Carlo Follini (1848-1938) che riflette appieno il crepuscolarismo del suo maestro Fontanesi. Il valore di mercato, sia per il soggetto espresso sia per l’inconfutabile paternità (dedica) si colloca, in linea con l’attuale calo del mercato, sui 3.000/4.000 euro.
Il signor Denis Pagani porta alla mia attenzione un olio (cm 60×30) a firma Favelli, anni 60 del Novecento, e un dipinto (cm 120×60) di autore sconosciuto. Rispondendo a lui, colgo l’occasione per rispondere anche ai signori Piotti, Valverde, Nencini che mi hanno mandato immagini di opere pittoriche analoghe. Gentili signori, le schede/certificazioni dei vostri quadri (riportanti a volte firme indecifrabili, a volte targhette sul retro dichiaranti che l’opera è originale, firmata dall’autore e schedata con numero di catalogo registrato di qui e di là, ecc.) sono state redatte dall’autore stesso o dal negozio/galleria/corniciaio che le ha vendute e pertanto non valgono nulla, giacché non stanno certo a testimoniare che le opere siano espressione di un maestro del genere pittorico. Anzi! nella maggior parte dei casi è proprio questa modalità di “confezionamento e vendita” che deve insospettire, in quanto va a significare che tali opera non hanno alcun valore se non quello di mero oggetto arredativo (per seconde case a rischio furto); del resto, basta dare loro un’occhiata per capirne il basso livello artistico. Tali quadri vengono offerti nei mercatini rimanendo in massima parte invenduti. Valore 40/60 euro.
Il signor Andrea Visciano manda immagini di un’opera su rame (cm 14×20) di tal Casale, firma a me sconosciuta; di due dipinti (cm 50×70) di D. De Simone, firma altrettanto sconosciuta, ed ancora, tre opere religiose: un reliquiario a busto di Vescovo e due presepi a firma De Luca. Circa i quadri (anni 50-70 del ‘900), essi non hanno alcuna valenza artistica in quanto prodotti seriali e di solo valore arredativo per gli amanti del genere; circa le opere religiose in argento, si dovrebbe calcolarne il peso in metallo per poi dare una valutazione, anche qui meramente arredativa.
Signor Sergio Raimondo, la sua tela iconica di tradizione bizantino-russa (cm 48×37) sviluppa il tema della Madonna della Tenerezza abbinato al Compianto del Cristo, iconografia che si formò appunto in quell’ambito a partire dal XII secolo e che venne importata in Occidente dal XVI secolo. In questo caso si tratta di un’opera devozionale realizzata da pittore mestierante che non sviluppa un pathos artistico di rilievo. Per di più, il tema svolto non è tanto appetibile dal mercato e l’opera è anche bisognosa di restauro. Nello stato attuale vale sui 600-800 euro.
Signora Renata Di Lorenzo, il suo specchietto (cm 36×15) è stato realizzato, come lei accenna, in lucite (e non in madreperla, duttile materia naturale che veniva, appunto, imitata), un polimero (Polimetilmetacrilato) scoperto nel 1928 e messo in commercio dalla Du Pont nel 1933. La lucite costava meno di altre resine come la bachelite, era più stabile della cellulosa e aveva una bella translucidità; inizialmente utilizzata per riparare e congiungere il vetro, presto divenne tra le materie preferite per la creazione di bigiotteria di lusso (Trifari fu uno dei primi marchi ad usarla costantemente). Il suo specchietto potrebbe collocarsi negli anni 40 del ‘900 e avere un valore contenuto tra i 40 e gli 80 euro.
Signor Luciano Bruschi, esaminare e valutare dei vetri da immagine è cosa non facile per non dire impossibile, ’che già la visione dal vero richiede preparazione e competenza specifica. Comunque, ed a buon occhio, il suo bicchiere (14 cm di altezza x 12) è certamente soffiato in stampo; presenta lo stemma della famiglia Spada di Terni-Gubbio e a mio avviso è prodotto di vetreria empolese dell’Ottocento-Novecento. Il valore approssimativo è sui 150/250 euro. La ringrazio per la stima.
Signori Marco e Giovanna da Brescia, mi spiace informarvi che la Garrard &Co – fondata nel 1735 ed ancora attiva – è una delle più importanti Maison di gioiellieri del Regno Unito e del mondo, fornitrice ufficiale dei Reali inglesi. Va da sé, quindi, che una tale azienda non possa avere a che fare con i vostri oggetti: una scatola con credenziali e un fischietto in ottone con campanelli, regalato alla signora in occasione della nascita negli anni 70, un oggetto bene augurale e apotropaico (allontanante il fischio e le “bubbole”, gli spiriti maligni) che credo sia di fabbricazione orientale e di scarso valore monetario. Indicativamente, una ventina di euro; varrebbe sicuramente più la scatola, se in buone condizioni.
Signor Angelo Barbieri, il suo quadro ritrovato (cm 46×34) è iconografico, rappresenta Sant’Orsola (freccia e manto verde), martire inglese. Venerata come santa cattolica trafitta perché non aveva voluto sposare il re degli Unni Attila, è Patrona delle maestre e delle giovani in cerca di marito, da lei prendono il nome le suore Orsoline. Quadro di devozione popolare – forse un ex voto – a mio avviso risale ai primi dell’Ottocento; di impatto visivo-arredativo piacevole, nello stato in cui si trova può valere sui 400/500 euro.
Signora Rosaria Castaldo, il suo bronzo incensiere (h 55 cm) risale sicuramente, per tipologia e forma, al periodo Liberty, primi del ‘900. Non presenta patine né interne né esterne ricercate, ma solamente un’ossidazione naturale del metallo, e in più non scorgo cesellature. Siamo di fronte ad un’opera seriale di fonderia, forse napoletana, come lei dice. Valore 400/600 euro.
La signora Elena Bulla, lettrice costante della rubrica e fruitrice di questa rubrica, chiede lumi su una feluca da Ufficiale della Regia Marina italiana, ed in particolare chiede come mai il copricapo in suo possesso riporti all’interno della fodera la dicitura di una sartoria inglese. Signora, anche io come lei ho fatto una breve ricerca senza risultati. In passato però mi è capitato di esaminare dei cappelli riparati utilizzando elementi prelevati da altri manufatti simili e addirittura copricapo storici ricostruiti sartorialmente di sana pianta.
La sua feluca – come tutte le divise e i loro accessori – avrebbe bisogno dell’esame visivo di un esperto precipuo o di un collezionista. Ma detto ciò – e fosse la sua autentica – il valore indicato dal mercato oscilla dai 200 ai 400 euro.
Signora Pierangela Stipa, del servizio a fiori ed oro lei non indica precipuamente il numero dei pezzi (ma si può ?), e così io non posso far altro che esimermi dal darne valutazione economica. Lo identificherò quindi solo storicamente. Fu prodotto – come da marchio – dalla Porzellanfabrik della Shumann AG in Baviera (Germania) dal 1923 al 1930 circa (azienda chiusa nel 1994). Uno dei suoi piatti, noterà, sotto la “corona bavarese” riporta la data 1924.
Signor Roberto Desogus, la sua lunetta (cm 27×3) in terracotta smaltata che riporta la firma dell’insigne ceramista e caposcuola Arturo Pannunzio (1891-1953), credo sia stata prodotta dopo la sua morte, immagino negli anni 60. La firma dell’artista, infatti, è un marchio depositato dalla V.B.C.M, azienda dove il Pannunzio lavorava sin dagli anni 30. Il valore dell’oggetto, per l’ottimo stato di conservazione, si aggira sui 350 euro. Il suo tema, la “Sacra famiglia”, ai nostri giorni non è appetibile sul mercato come, viceversa, quello della “Madonna”, con figlio o senza, che avrebbe spuntato il doppio (della serie: in Italia la famiglia non ha più valore, le mamme ancora si!).
Signora Noemi Volpato, il servizio da lei classificato come “da 6” coperti potrebbe essere un misto di rimanenza di un servizio, magari imponente, della bavarese Porzellanfabrik Gebruder Wuinterling AG, creato, come da marchio, dopo il 1960 e sino al 2000, data del fallimento della ditta. Dico questo perché non esistono suoi servizi da tavola da 6 (oltretutto sforniti di zuppiera e ovali da portata), e se sono ancorati a servizi da te e da caffè, anch’essi sono minimo da 12 pezzi più zuccheriera, lattiera o teiera abbinate. Detto ciò, tutta la sua ceramica – di cui lei, discutibilmente, manda in visione solo un piatto – può essere valutata intorno a un centinaio di euro.
Signora Enza, la ringrazio per la stima e per la fiducia. Anni ed anni di visione di opere e oggetti, più altrettanti di studio, formano l’occhio del perito e gli consentono da foto, ma non sempre, di dirimere quesiti. Ne è un esempio il suo Cavaliere del ‘900 inoltrato, tipo “Vercingetorige” (h 30×15), che non è stato realizzato in bronzo ma in antimonio patinato (o zama), materiale niente affatto appetibile sul mercato. L’opera, se fosse integra e in perfetta patina potrebbe spuntare sui 100/120 euro, ma così tronca sulla zampa e con la rifinitura ai limiti della scadenza vale poche decine di euro, trovando chi disponibile a dagliele. La coppia di vasi in porcellana montati a lume (altezza 29 cm) è francese dei primi del ‘900. Posso valutare il vaso integro ma con la doratura dei bronzi di base completamente sparita, sui 250 euro, mentre quello con manico mancante, sui 50 euro. L’altro vaso singolo (altezza 27cm) fine ‘800 primi ‘900, con base aggiunta in bronzo ormolù, vale sui 120/150 euro.
Signora Emilia Durante, la firma di fantasia Van Ros relativa alla sua coppia di ovali (cm 52×11) è da me identificata in un pittore mestierante degli anni 50-60 del ‘900 autore di tali tipologie e di cui ogni tanto appare sul mercato qualche opera venduta a decine o poche centinaia di euro, accompagnata sempre da belle cornici più valevoli del contenuto stesso. Così pure per l’altra sua tela (cm 40×30) a firma Van Thoren, di mano probabilmente dello stesso sconosciuto pittore mestierante. L’unico valore è dato dalle belle cornici.
Il signor Carlo Crociatelli da Genova manda tre interessanti dipinti: di Romolo Pergola (1890-1960), una “Veduta di Monte Portofino” (cm 40×60) che valuterei 3.000/4.000 euro; del ricercato pittore Amos Natini (1892-1985), “I Dioscuri” (cm 60×40 su compensato) cui assegno un valore di 1.500/2.000 euro; infine, di Edoard Louis Dubufe (1819-1883), il bell’olio su tavola “Piccola lavandaia” (cm 30×40). Il Debufe presenta quotazioni del tutto altalenanti nelle aste; per le misure dette vanno dai 2.000 euro ai 10.000 ed oltre secondo soggetto; il pittore non ha vasto mercato (almeno qui in Italia) quindi per l’acquisto va trattato con il proponente, asta, galleria o privato che sia.
Signora Stella Rossini da Roma, la sua mattonella a rilievo in maiolica (cm 22×16) che l’antiquario fiorentino ha dichiarato per iscritto e in garanzia essere del periodo iraniano Quajar, e a “voce”, quindi, del ’700, non lo è per niente! Il periodo detto va dal 1779 al 1925 (non sto qui a farne storia, mala tempora di internet), pertanto, io credo che la sua ceramica sia la ripetizione di un motivo classico, “falconiere a cavallo”, e che risalga ai primi anni del ’900. Non può valere sul mercato 1.200 euro, cifra dichiarata che ha allettato lei all’acquisto pensando all’affare, ma 400/500 euro al massimo, un po’ meno di quanto lei l’ha pagata.
Signor Eugenio Magro, il suo anello opera dell’artista e maestro Giorgio Cecchetto (deceduto nel 2006) non ha purtroppo alcuna valutazione di rilievo se non quella relativa al suo peso in oro più un 30-50%, trovando qualcuno interessato. Il Cecchetto – di professione vigile del Fuoco – pur presentando alte capacità, non ha raggiunto livelli artistici tali da emergere nel panorama nazionale o internazionale come artigiano orafo.
E come sempre, un saluto a tutti e un abbraccio ai pochi.
Ottobre 2022
Il signor Oskar Grazio di Bolzano manda una credenza – in origine piattaia – con alzata eclettica di fine ‘800 primi ‘900 con intagli e corpo classicamente pantografati a macchina ed anilinati in nero. Il mobile è stato trasformato in seguito da un ignoto falegname o assimilato – non certo ebanista – che vi ha aggiunto dei pannelli contornati a tralci e fiori, anch’essi pantografati, su cui ha intarsiato con non grande tecnica e soprattutto pirografato – invece di intagliare i tranciati o le impiallacciature – delle scene campestri con personaggi. Dalle esaustive foto inviate dal lettore è possibile “leggere” bene la storia del “matrimonio” avvenuto tra i diversi elementi lignei. Lo sconosciuto artigiano facente funzioni di ebanista, non si è peritato di apporre le proprie iniziali con il ferretto del pirografo. Naturalmente, il mobile così conciato ha solo valore arredativo e per gli amanti di tali connubi può valere sui 300/500 euro.
Il signor Lorenzo Arcante manda in visione dei disegni di ritratti di Marino Parigi (1904-1988) detto “Marino da Montevarchi”, disegnatore ed illustratore famoso negli anni 30-40 il quale poi, una volta sposatosi e con prole, si impiegò come insegnante. Dell’artista hanno più valore i bozzetti e i disegni pubblicitari o per le illustrazioni dei libri. I pur piacevoli ritratti inviati alla mia attenzione possono essere valutati al massimo 50 euro cadauno, però dovrebbero avere acclusa la documentazione di percorso e provenienza o di autenticità, non essendo né esplicativi, né di grande livello dell’arte del Parigi.
La signora Antonella che ringrazio per i complimenti, invia un bambinello in terracotta dipinta (con gli occhi in vetro?) alto 32 cm e pesante 632 gr. L’oggetto presenta gli stilemi delle creazioni di fine ‘700 primi ‘800, ma dalla foto non è possibile determinare di più. Il valore è sui 350/400 euro (dieci anni fa il doppio e più).
Signor David Migliorelli, il suo portacenere in cristallo (cm 20 diametro h 4,7) è oggetto creato dalla Compagnia Italiana del Cristallo Arnolfo di Cambio, azienda attiva in Val d’ Elsa (in quel di Siena) nata nel 1963 e nota per le creazioni di design. Il pezzo è talmente classico che potrebbe essere anche nella produzione odierna della Compagnia. Non conosco i prezzi della ditta, ma so che sono cari, in quanto il prestigio e la qualità si pagano e certamente il suo portacenere vale tutti i soldi spesi. Si informi lei contattandoli, li trova in rete.
Signora Marta M. la sua scultura è stata prodotta – su calchi originali – dalla Fonderia Artistica Gemito in Napoli fondata nel 1936 dai nipoti del grande scultore Vincenzo, ed ora condotta dai pronipoti .Tale ditta riproduce su licenza anche bronzi di altri noti artisti. Purtroppo, quando le riproduzioni – come la sua – non hanno numerazione da multipli e sono vendute in centinaia di esemplari non identificati, il valore sul mercato è basso, e nonostante in rete le propongano a tutti i prezzi: da 1.500 scendendo a 500 e anche meno, i modelli Gemito oramai sono troppo inflazionati. Io, comunque, opterei per un buon bronzetto che, se certificato dalla fabbrica, potrebbe essere venduto sui 400 euro, e che non so se in fonderia stessa potrebbe costare molto di più.
Signora Paola Incerti da Torino, non so chi sia quel perito che le ha valutato la sua credenza neo rinascimentale (fine Ottocento primi Novecento) 6.000 euro – mentre io 300/400 – e neanche lo voglio sapere onde non sproloquiare in insulti giacché il suo mobile, per di più in legni teneri (pioppo-abete) e mordenzato classicamente in noce, di fatto non ha più mercato, destino che poi lo accomuna a quasi tutta la mobilia del genere antica o vecchia. Ma chissà, in genetica il progresso ha compiuto passi da gigante, e magari da un asino se n’è tratto un umano e questi si è fatto esperto – cosi come avrebbe potuto farsi pittore o idraulico – ed in mancanza di leggi e regolamenti idonei egli può dire di tutto. Come accade, ad esempio, per gli imperversanti astrologi sostituiti oggi dai meteorologi, una pletora di improvvisati che raramente ne azzeccano una, e che prevede catastrofi quando poi v’è una bella giornata e viceversa, senza doverne rendere conto a chicchessia, cosa invece che si richiede – paradossalmente – ai sindaci ed agli amministratori in caso di disastri (come se loro dovessero saperne più di altri e fossero “specializzati” sulle casualità del tempo meteorologico). Ribadendo la mia stima valutaria sulla credenza, e magari non sapendo lei – da profana – a chi dar retta, le do il più vecchio dei consigli: provi a proporla in vendita ad un antiquario, ad un robivecchi, ad un negozio in conto terzi o in rete a quell’alta cifra (6.000 euro). Però non se la prenda se poi, al minimo, si mettono a ridere.
Signor Giuseppe Corallo, la sua coppa di rame (h 23 cm, peso 4 kg) acquistata a Praga anni fa, ad occhio e nella sua composizione non da affatto la sensazione di essere antica o di pregio. Viceversa, sembra prodotto fusorio di bassa officina ed eseguita alla meglio senza cesellatura proprio per un basso mercato turistico o meno.
Signor Venanzio Cameli, il suo quadro classicamente devozionale raffigurante San Giuseppe e Gesù (cm 66×54) sembra essere composto da un ovale in oleografia (stampa su tela ad imitazione dell’olio) e da un contorno, invece, dipinto a tempera (anche nel retro ci sono delle telature diverse). Fosse interamente dipinto, varrebbe sui 200/250 euro, altrimenti 50 euro.
E daje! con il mai morto Capodimonte, di cui la signora Valeria Bresciani invia immagine, senza avere contezza dei miei trentennali strali sul marchio che non esiste come origine di manifattura (ma come località in Napoli con un meraviglioso parco e Museo) ,a meno che non sia riportato sotto gli oggetti creati presso l’Istituto d’Arte Giovanni Caselli (NA), cui è stata concessa la privativa ufficiale di utilizzo. E repetita juvant: il marchio è usato in tutto il mondo e rappresenta semmai uno stile, un modus “alla maniera di”. Il suo servizio caffè/tè da 12 +12 tazze con accessori è stato probabilmente prodotto negli anni 70-90 del ‘900 da fabbrica vicentina: arredativamente e d’uso, se intatto, vale sui 250 euro.
La signora Rosanna Semprini manda in visione una stampa sette-ottocentesca che raffigura San Luca (Accademia di San Luca Roma fondata nel 1593) ed altri fogli numerati e tratti da elenco riportanti i nomi di alcuni noti rappresentanti – con pseudonimo e cartiglio – dell’altrettanta nota Accademia dei Lincei fondata a Roma da Federico Cesi nel 1603. Signora, questi fogli in suo possesso – che lei indica come donati a Tonino Guerra (poeta e scrittore 1920-2012) – non hanno granché valore sul mercato, neanche quello collezionistico, ma li riterrei importanti se, come penso, sottratti e strappati – non certamente da lei – agli elenchi ufficiali dell’Accademia che ancora è in prestigiosissima attività, e la esorterei a restituirli alla stessa.
Il signor Paolo Nardi presenta alla mia attenzione un prestigioso ed imponente servizio da caffè da 12 prodotto a Vallauris, città francese tra Antibes e Cannes nota produttrice di ceramica d’arte e design, dove Picasso imparò la coroplastica e dove esiste un museo dedicato a lui e alle sue opere ceramiche. Eseguito dal ceramista Marius Giuge negli anni 50-70 del ‘900, il servizio, commerciabile forse con maggior successo oltralpe, potrebbe valere sui 1.500 euro se intonso e perfetto, senza alcun minimo difetto.
Signor Andrea Visciano, rispondo ai vari quesiti inviati. La sua statuina in bisquit non può essere affatto settecentesca ma piuttosto, credo, del ‘900, di fabbricazione estera probabilmente austriaca tedesca ma da sole immagini il mio giudizio non può essere più dirimente; ne consegue che il valore, non avendo canoni artistici-plastici di rilievo, non può che essere per arredamento: sui 150 euro.
Il busto di fanciulla in bronzo firmato Rossi stampatello (h cm 19) è opera di fonderia napoletana di pochi decenni proprio dalla patinatura con ossidi a caldo, ascrivibile ai tipi di Edoardo (1867) o Gaetano (1829) Rossi ma comunque sul filone tipologico partenopeo, valore sui 350 euro.
La scatola di stile eclettico in lega di ottone (diametro 11 cm) è stampata e non cesellata e/o rifinita a bulino, vale dagli 80 ai 150 euro per il peso (500 gr).
L’alzata in argento (h 29 cm peso kg 1,6) , mi spiace, ma per la sua ecletticità e senza marchi, da sole immagini non può essere ascritta ad alcun luogo di produzione, né periodo.
Il bambinello in terracotta smaltata e con occhi in vetro (37cm, peso 2,2 kg) non è certamente dell’Ottocento come dettole dall’antiquario (che parola grossa!) in provincia di Napoli il quale glielo ha venduto, senza certificazione a norma di legge, a 1.800 euro! (e non mi parla neanche di fattura). Il manufatto non ha patine, craquelure attinenti e né quant’altro necessario, in più ha gli occhi seriali dei prodotti commerciali anche attuali. Prodotto nella prima metà del Novecento se non più di recente – che simili cose le fanno in serie per i presepi ovunque nel napoletano – ha un valore sui 250/350 euro, per le sue dimensioni.
Dottor G. Arduini, la ceramica e la porcellana tedesca Otto-Novecentesca è una delle mie passioni che il suo quesito mi dà modo di esternare. Il piatto con marchio MZ e aquila imperiale austriaca fa riferimento alla fabbrica MZ-Austria. Fondata nel 1810 da Benedict Hablacher. Nel 1884 fu ceduta appunto alla Moritz Zdekauer Bank che diede inizio al marchio MZ aquila imperiale con sotto la scritta Austria. Nel 1909, quando la fabbrica passò nelle mani del grande gruppo tedesco CM Hutschenreuter (se va su Wikipedia a tale voce non appare tale acquisizione, ed io ne godo!) il marchio cambiò in MZ Altrohlau, città austriaca dove si insediò la manifattura e che non troverà sulle carte poiché oggi si chiama Stara Role e fa parte della Repubblica ceca. Nel 1945 il Reich nazista la nazionalizzò. L’azienda è ancora operativa nella Repubblica ceca dal dopoguerra e si chiama Starololsky Porcellan Moritz Zdekauer; nel marchio ci sono sempre l’aquila imperiale austriaca e le lettere MZ ma sotto riporta la scritta Czechoslovakia. Ciò detto, passiamo all’epoca del suo piatto (24,5 cm) raffigurante un gioco antesignano al baseball. Concordo con lei nell’assegnarlo ai primissimi anni del ‘900, e come pezzo da collezionista le indico un valore tra i 200 e i 250 euro.
Signor Carlo Crociatelli da Genova, la Maddalena penitente rappresentata nel suo quadro ( cm 50×60) gode di un certo patos, ma l’opera è di artista professionale che non ha curato molto il soggetto (eseguito come opera devozionale e di genere). Si potrebbe collocare in un tardo Ottocento – così da immagine – o in un Novecento inoltrato per lo svolto pittorico. Nel tempo, Il quadro è stato comunque ridotto per eliminare i motivi “macabri” della tipologia, si vede ancora il teschio (ho visto in altri quadri analoghi la loro totale eliminazione) ma è in secondo piano, e si è dato risalto al visivamente e centrale bel volto femmineo. Nonostante il mercato rimanga restio a tali tipologie del “memento mori”: 600/800 euro.
Il signor Massimo Ferrario, costante lettore che ringrazio per i lusinghieri apprezzamenti, manda in visione un’opera di Natale Penati (1884-1955), valente pittore lombardo che a mio avviso ammogliatosi – e per non cimentarsi appieno con” l’Arte” che non sempre dà frutti, almeno da vivi – preferì rivolgersi alla decorazione e all’affresco di genere, tipologie nelle quali era un vero e proprio maestro per tecnica ed esecuzione. Non per niente entrò in anticipo d’età, a 17 anni, nella prestigiosa Accademia di Belle Arti di Brera e ne uscì carico di diplomi e premi a 18, artista rifinito in ogni genere. Si dedicò inizialmente all’esecuzione di ritratti e di decorazioni di scene classiche nelle ville delle provincie lombarde, ma poi incontrò, grazie ad un industriale per cui aveva lavorato, la sua vera passione: la pittura religiosa. Negli anni 30 si recò nel Gargano dove, dopo l’affresco in una prima chiesa, quella di Santa Maria delle Grazie in San Marco in Lamis, fu chiamato ad illustrarne altre come quella dei Cappuccini a San Giovanni Rotondo (padre Pio), e raggiunse l’apice dipingendo la volta e le navate della cattedrale di Manfredonia. Negli anni 40-50, tornato operativo nel milanese, dipinse in altre chiese dell’hinterland che alternò alla decorazione nelle ville dei borghesi arricchiti e della nobiltà. Le sue tele per privati, signor Massimo, non sono poche ma hanno tutte quella tipologia e gusto settecentesco da “scena di genere”, riproduzioni insomma, che certo non possono interessare il mercato ed i suoi clienti più o meno raffinati. Si tratta di gran quadri arredativi, come il suo (cm 125×182), che potrebbero collocarsi – per gli amanti, pochi, del genere – sui 1.000/1.200 euro al massimo e con difficile vendita, quindi chi li ha se li tiene e non prova neanche a veicolarli sul mercato. In un panorama così delineato, poi, anche le altre opere del Penati non seriali, come i raffinati ritratti che eseguiva, quando vanno in asta (Lucas-Milano 10-11-2020, un magistrale e stupendo ritratto di signora cm 70×100 alienato a base d’asta per 500 euro) non riescono a spuntare cifre di riguardo. Mi parrebbe di averle così sciorinato tutto quel poco che so. L’abbraccio.
Signor A.G., lei è una persona di gusto e allo stesso tempo un sognatore che si è lasciato trasportare – mi consenta – nell’Eldorado argentino del ‘900. Ora purtroppo quei tempi sono passato remoto e le cose che lei ha acquistato, magari senza competenze di base, sono gli scampoli di quel mondo. Vorrei discutere a lungo con lei, ma i tempi e i modi che mi vengono concessi in questa rubrica sono limitati. Vengo dunque al sodo con i suoi quadri: “Fucina” (cm 63×86), di tale non identificato Molinari, opera di genere, valore 500/600 euro; “Spazzacamini” (cm 49×63), di Gioni (?), valore 200/300 euro; il dipinto (cm 66×50) con scena di pastorelli, cane e armenti, mi spiace dirle, nulla ha a che fare con l’opera né con la scuola del Michetti, essendo anche un quadro sui tipi del ‘900 inoltrato da tempo, privo di unità stilistica e di patos bucolico, valore sui 300-400 euro per mero arredamento; il quadro “Asina” (cm 37×32), siglato Diana 1883, regalatole dall’antiquario che le riferisce possa essere il nome dell’asina che era modello per i pittori post-impressionisti alla fine dell’800!?!, è viceversa, sicuramente, il nome di un pittore che ho notizia fosse di origine italiana e che dipinse in Sud America alla fine dell’Ottocento. Ho visionato una decina d’anni fa opere con tale nome nell’abitazione villa dell’avvocato Paolo Morisani in quel di Castelnuovo di Porto (Rm), e concernevano appunto asini, cavalli e gauchos. La storia narratale dall’antiquario è strampalata e assolutamente falsa: è forse questo il motivo del regalo? Valore sui 200/250 euro. Insomma per concludere, gentile lettore, le sue opere hanno, come scritto, non soverchie valutazioni ed in più sono di difficile vendita. Mi spiace molto affermare questo ma torno a ripetere a lei e ad altri sensibili lettori che io purtroppo ho il dovere e l’onere, per mestiere, di essere spietato anche andando contro alle passioni più sincere e nobili.
E come sempre, un saluto a tutti e un abbraccio ai pochi.
Agosto/Settembre 2022
E dopo quasi trent’anni ad agosto non è uscita la rubrica dell’esperto! Vari avevano già auspicato se non festeggiato (ma roba da poco un piccolo brindisi tra amici) la dipartita del “professore”. E invece eccomi ancora qui, si è trattato solo di un rilassamento estivo e oziali paturnie senili. E chiedendo venia ai lettori, risponderò in questa uscita di settembre a più quesiti.
La signora Ina Farnararo manda foto di un disegno (cm 27,5×22) firmato dal grande Maestro francese ebreo-russo Marc Chagall (1887-1985), e me ne chiede ingenuamente tout-court valutazione. Signora, purtroppo le devo comunicare che non funziona così. Neanche un precipuo esperto dell’artista – uno che ne abbia scritto storia e monografia – potrebbe dichiarare a vista se, e primariamente, l’opera sia da ascrivere allo Chagall. E questo perché qualunque tipologia di arte moderna espressa deve avere dei documenti di origine e provenienza (fatture, lasciti ereditari, numero d’ordine di catalogo generale del Maestro, ecc.) nonché il certificato di autenticità siglato da un lume in materia e la conferma, nel suo caso, della Fondazione Marc Chagall. Solo allora si potrebbe, ed in via di massima, azzardare valutazioni, consultando andamento di mercato e cataloghi d’asta in merito.
Il signor Eugenio Rebagliati manda in visione una tavoletta (cm 17×24) a firma di un pittore sconosciuto (Savoia?) lasciatale da uno zio. Signor Eugenio, purtroppo l’opera ereditata non ha i crismi artistici valutevoli di stima, è lavoro pedissequo di un copiatore popolare da fiera.
Il signor Roberto Contisciani presenta alla mia attenzione un piatto centrotavola (cm 33×33) della manifattura tedesca Rosenthal. Già in passato, in questa rubrica, valutai ad una signora un piatto della stessa serie: Molier-Kranac, datandolo 1945, ben sapendo che tale tipologia di marchio (come il suo) potrebbe risalire anche agli anni 30. Ma so con certezza, ed anche i decori lo confermano, che la prestigiosa ditta bavarese ripetè la dicitura Moliere dagli anni 40 al 60 nascondendo sul suo sito storico tale particolarità. Valuterei il piatto sui 120/150 euro senza alcunissima rottura e/o difetto.
Ingegner Luciano Lisanti da Pisa, dalle foto non esaustive inviatemi non riesco a capire se la sua specchiera (h 110 cm) sia incisa ad acido o a “ruota”, né riesco a verificare dall’assemblaggio l’epoca della sua costruzione. Comunque, tali tipologie, ad occhio, risalgono agli anni 50-70 del ‘900. Dette impropriamente muranensi, sono prodotti generalmente empolesi-fiorentini. Se intatta e senza difetti e/o rotture, vale sui 250/350 euro, vent’anni fa venivano vendute tra i 600 e gli 800 euro.
Signor Pasquale Mauro Caggiano, mi scuserà se mi viene da pensare che lei ed altri abbiano voglia di scherzare nel definire dipinto all’olio d’epoca ottocentesca (vaso di fiori) un prodotto della IBC (International Business Center) di Mosca, azienda specializzata in stampe e riproduzioni (anche su tela). Il bello poi, è che lei manda anche il codice a barre di tale azienda che vende questi prodotti online tra i 30 e gli 80 euro.
Signora Rosa, il suo orologio da tavolo è un prodotto di piccola industria (Die Lafendeuhr) della Foresta Nera (zona tedesca nota per tali fabbriche), anni 50 del ‘900. Se funzionante, vale tra i 50 e i 100 euro.
Quanto al disegno ritrovato, penso che non abbia un grande spessore artistico, è un’esercitazione ritrattistica di solo valore arredativo.
Signora Marcella S., la tazzina (di tre) con piattino ereditata da una sua prozia – che lei sostiene essere risalente a prima del 1895 – non presenta, da foto, le caratteristiche necessarie. Viceversa, sotto è firmata Deruta a caratteri stampa e non ha né craquelure né ingiallimenti della pasta. Pertanto, non sono in grado di esprimere valutazioni di sorta da questa immagine. Comunque, fosse anche d’epoca, cosa di cui – mi perdoni – dubito, avrebbe un valore contenuto tra i 40 e i 50 euro, se intonsa.
Signora Francesca Ovidi, la sua teiera in sheffield potrebbe pur essere del 1890, prodotta dalla W. Hutton&Son (come da dichiarazione di vendita allegata), ditta fondata a Birminghan nel 1800 e poi trasferita a Sheffield. Ma scrivo “potrebbe” perché nel 1930 fu acquisita dalla J. Dixon&Sons, un’azienda industriale che ripeteva i motivi e i marchi delle ditte acquisite, naturalmente non usando più lamine d’argento con all’interno altra lega, lavorazione tipica del costoso old sheffield, ma utilizzando il processo di galvanizzazione del metallo. Ad ogni modo, e al di là di ciò, tali prodotti purtroppo, per l’enormità della loro produzione, non hanno sul mercato che bassissimi valori: dai 50 euro ai 150. Va anche detto che qualcuno li offre online a prezzi esorbitanti, ma senza esiti di vendita.
Signora Ada Corlianò dalla bella Brindisi, il suo vaso da notte in bisquit pesante, fabbricazione bavarese del ‘900, potrebbe sì essere stato fabbricato per la famiglia regnante Savoia, ma anche essere, ed è probabile, una di quelle imitazioni fatte negli anni 70/80 quando questi oggetti venivano pagati sino a mezzo milione delle vecchie lire. Ai nostri giorni, fosse pure autentico – e da foto non so proprio appurarlo – al massimo può valere sui 60/80 euro.
Signora Barbara Massari, esistono diversi pittori che in arte si sono denominati Etrusco, il suo è Fernando Balbi (1924-1975) allievo di Ottone Rosai e ottimo artista. Purtroppo non viene trattato dal mercato e non è comparso che rarissimamente nelle aste e per questo motivo sono costretto a relegarlo valutativamente tra quei maestri che oggigiorno spuntano prezzi a caso. Quindi: da un minimo di 350 fino a 600/700 euro è un mio personale parere.
Signorina Francesca Ovidi dalla provincia di Viterbo, purtroppo i suoi fascicoli della Chiesa di Rodi 1931-33, quando Rodi era italiana, non hanno estimatori nel mercato generale. Localmente, e rivolgendosi a collezionisti e studiosi, forse potrebbe ricevere qualche offerta, ma passati a miglior vita o ad altre i primi, ed affatto disponibili allo spendere i secondi, la vedo dura. Può inserzionarli online ed aspettare che qualcuno ne sia interessato. Non so che altro dirle.
Signora Alessia M., il suo vaso cinese decoro Satsuma, anni 50-60 del ‘900 (h 92 cm), potrebbe valere, se intonso e privo di alcun difetto, tra i 600 e i 1.000 euro: il prezzo oscilla poiché ve ne sono moltissimi sul mercato, e manifatture cinesi li stanno sfornando tutt’oggi all’ingrosso sui 300 euro: vengono pagati, quindi, come oggetti arredativi e non antiquariali.
Noi forniamo – da trent’anni – solo il servizio di valutazione e informazione. Non compriamo, non trattiamo, né forniamo contatti.
Signora Katia Bonon, purtroppo gli oggetti in peltro, così come nel detto sheffield, oramai sul mercato non vengono più trattati se non a prezzi irrisori. Ciò vale anche per il suo elegante e completo servizio in peltro e che, al di là dell’epoca – anni 60-80 del ‘900 – non ha che valore arredativo: tra i 50 egli 80 euro.
Signor Giampaolo Arduini, neanch’io sono riuscito ad individuare l’autore – forse tedesco, Alexander Karl Uman (?) – del suo quadro (cm 74×100) che comunque non risulta essere di grande mano, ma piuttosto opera di pittore seriale d’ambiente. Quadro arredativo di impatto fiammingo, da sola immagine penso risalga ai primi decenni del ‘900. Potrebbe valere sugli 800/1200 euro.
Il signor P.T. manda foto di un gran bel vaso ceramico (h 36 cm) firmato Capogrossi (Giuseppe 1900-1972), insigne artista italiano, comprato dal di lui padre ad Albisola tanti anni fa. Il vaso, con i motivi tipici dell’arte del Maestro ed a rilievo, se intatto e intonso, può valere sui 2.500 euro.
Il signor Fabrizio Ceccarelli manda in visione opere firmate Giampietro Cipollini, accompagnate con tanto di garanzia “di investimento sicuro”. L’autore, sconosciuto a me e all’Arte, non può che rimanere nel limbo di coloro che non hanno mai visto la gloria terrena e che temo non vedranno neanche quella celeste… anzi! Pubblico, a monito e sperando nella comprensione dei lettori, le immagini inviatemi.
La gentile e simpatica signora Maria Cruz Soriano da Saragozza (Spagna) che ringraziamo per le belle parole sulla nostra rivista, invia foto di un vaso (h 26 cm). Mi spiace, signora, ma non si tratta di una produzione italiana, la craquelure è stata fatta artatamente e il marchio apposto è un apocrifo orientale. Saluti dalla redazione, l’abbraccio.
Ed eccoci al signor Carlo Crociatelli da Genova, con un olio (cm 44×56) di cui invia unica e non esaustiva foto. Ad ogni modo, e spiacente per lui, devo dire che il quadro non presenta alcun canone artistico di pregio, essendo stato eseguito da mano greve e dolente.
Ed in finis, rispondo alla signora Maria Tubolare da Monterotondo (RM), che ha inviato foto una marina dipinta – a torto – da uno di quei lestofanti che lavorano in incognito o con sigle per mobilieri vendenti truciolare, pdf e similiari cose. Nella sua missiva, la signora elogia l’opera sottopostami definendola “pervasa di luce” ?! e me ne chiede valutazione. Ebbene, signora, io non sono un clinico, ma mi è noto che i colpi di luce possono derivare da vari fattori, che so: l’aver assunto sostanze allucinogene, il soffrire di deperimento organico e/o mentale, l’aver preso un colpo in testa per caduta o per percossa, … Si faccia visitare da uno bravo!
E come sempre, un saluto a tutti e un abbraccio ai pochi.
Luglio 2022
Signor Luigi Mocerino, il suo vaso appartenuto alla nonna (cm 15 ca.) è dei primi decenni del Novecento. Fu prodotto dalla SCI (Società Ceramica Italiana) di Laveno, fondata nel 1856 da ex operai della Richard e chiusa nel 1965; il suo decoro classicheggiante, in decolcamania, era tra le tipologie standard dell’azienda. Valore, se intonso, 80/120 euro.
Capodimonte – Ginori
Signor Stefano Faccini, da un acquisto nel 1830 di modelli, calchi e privativa (peraltro mai individuata storicamente con certezza) la Ginori, insieme ad altre decine e decine di manifatture, iniziò ad apporre sui prodotti, insieme al suo nome, la N coronata – simbolo confusionario – ad indicare una supposta fabbricazione sui tipi della Reale fabbrica napoletana. I resoconti della ditta indicano come tale operazione iniziata nel 1830 si sia chiusa alla sua metà, ma… ma la Richard-Ginori ha riprodotto, e su richiesta e continuamente sino agli anni nostri, qualsiasi cosa del suo catalogo (famosa per i servizi che venivano integrati e sostituiti su ordinazione). Detto ciò, i suoi prodotti – inizialmente costosi – presentano sempre un certo valore plastico e figurativo che non riscontro alla vista dei suoi “putti suonatori” (h 18 cm) che in varie misure appaiono anche in rete venduti sugli 80/100 euro. Nei cataloghi Ginori non mi risulta esistere la serie di tali statuine che lei definisce “completa”. Ritengo quindi che si tratti di repliche bombonieristiche in bisquit, prodotte da una qualche fabbrica vicentina; pezzi di basso valore degli ultimi decenni del Novecento dal valore di 15/20 euro cadauno, se in perfette condizioni.
Considerazioni non richieste… oppure si?
La signora Emma Polise, “antica” (sic) frequentatrice di mercati e mercatini, deplora che nel Lazio oramai non si trovi che ciarpame degli anni 70-80 che costa, sì, poco, ma nulla vale! Mi scrive poi di mercatoni come quello di Piazzola sul Brenta (Pordenone) con 700 espositori, di Ninza Monferrato (Asti) con circa 400, e del mercato inglese, a suo dire ancora attivo e fiorente.
Signora Emma, ma di cosa stiamo parlando? Le realtà che lei cita, oltretutto molto dimesse anche loro rispetto a 15-20 anni fa, hanno sempre avuto (stiamo parlando dell’Italia del Nord) una superiorità di merci e clientela rispetto al centro, e non parlo neanche del sud.
Dell’Inghilterra – da dove per buoni vent’anni sono partiti ogni giorno alla volta del nostro paese tir carichi di mobilia ed elementi d’arredo importati da valenti commercianti dell’antico nostrani – non posso dire molto, non frequentandola da un decennio. Non so, quindi, se non ci sia più nulla (eppure esistono ancora manifestazioni e mercati che noi ce li possiamo solamente sognare, tipo Lincoln con mille espositori in agosto) oppure se gli inglesi ora chiamino per vezzo “antiquariato” le mercanzie come: porte vecchie, cessi in ghisa, lampade arrugginite, sedie in ferro e “scubidù”, poltrone scassate… roba che da noi buttiamo!
A tal proposito, signora, guardi sul canale 56 del digitale terrestre HGTV Home & house, il programma dove un probabilissimo rigattiere che si definisce antiquario, tale Drew Pritchard, a bordo di un camion percorre col suo socio centinaia di chilometri in lungo e in largo per il Regno Unito, al fine di comprare delle cose che in Italia abbiamo conferito in discarica da tempo. E purtroppo, con i nuovi tempi, temo che ciò non sia dettato dalla moda che va e viene ma dalla cultura o non cultura delle nuove generazioni che non hanno dato il ricambio alle vecchie nell’amore per il bello, per l’arte e per l’antico. Ed infatti, credo che oramai la nuova frontiera dei mercati in tal senso sia quella di vendere-comprare cose vecchie o usate per il proprio vivere immediato. E anche se è rimasto qualcuno che cerca oggetti di cosiddetto modernariato in qualche modo richiamanti il bello ed il collezionare, la maggior parte dei nuovi compratori è aliena da ciò, e tutto il comparto, che da anni peggiora, è in una crisi profonda. Certamente, fanno ancora eccezione i “vecchi” estimatori e compratori dell’antiquariato vero, e i “malati” come lei, come me, ed altri inguaribili accumulatori, collezionisti, stracciaroli evoluti, o semplicemente amanti del bello e delle epoche passate.
E in finis, signora Emma, eccomi alla sua richiesta in merito alla pittura popolare religiosa (cm 50×70) supposta settecentesca. Come valore arredativo, assegnerei all’opera un valore di circa 1.000 euro, per le ottime condizioni. Le trovi, sempre nei mercatini, una cornice consona.
Detrattori affezionati
La signora Clelia A. di Roma invia una email ad una mia passata collaboratrice che me la gira: “Sono trent’anni che leggo il Ferrero e altrettanti che non lo sopporto, sempre pronto al vituperio e all’offesa di chi magari semplicemente chiede e non ne sa”, sic. “È un saccente borioso che invece di elargire il suo sapere lo impone a derisione e scherno” sic. Ohibò, signora Clelia, rimango basito dalla sua circostanziata e dotta opinione che, comunque, non le impedisce di continuare a leggermi negli anni. Mi chiedo: è ‘sì rapita dalla mia prosa da aver sviluppato la famosa sindrome di Stoccolma?
Signora Annalisa Balletta, il suo orologio francese (50×17 cm) è un eclettismo novecentesco di parti in bronzo applicate ad una porcellana con marchio spurio di Limoges. Come oggetto d’arredamento di non elevata artisticità, il suo valore è limitato: sui 150/250 euro. A mio avviso non le conviene far riparare l’orologio che, essendo senza alcun marchio, non andrebbe a valorizzare neanche l’oggetto.
Il signor Edmondo Massa, gradito lettore di Genova, manda in visione due opere. La prima è una tempera su carta (cm 66×94) a firma Pierre Girard (1806-1872), artista francese paesaggista di discreta fama che valuterei – con i prezzi al profondo ribasso dei nostri giorni – sui 350 euro. La seconda opera (cm 28×18) è su foglio vergellato settecentesco di manifattura italiana; il disegno contenuto però, presenta elementi discordanti e l’opera non appare in pienezza, sembrerebbe fatta da un principiante dell’epoca oppure un rifacimento del nostro tempo. Si nota l’elevata fattura degli armenti e viceversa la scarsa plasticità delle figure umane, per non parlare delle rovine schematiche e non rifinite. Nessuna valutazione.
Il restauratore Federico Buzzati presenta alla mia attenzione un interessante e valente pastello su carta (cm 86×62) firmato e datato FB 1765. Signor Federico, neanche io ho trovato nomi di pittori francesi o altri da poter attribuire alla sigla espressa. Pur tuttavia trovo l’opera di pregio e valutabile sui 600/800 euro.
Signora Cristina Croci, il suo porta bonbon datato 1932, con stilemi riferenti l’art Déco, è interessante anche se purtroppo “sciupato” nei decori. Non sono riuscito ad individuarne la sigla e la pubblico nella speranza che qualche nostro preparato collezionista più ne sappia. Il valore, nello stato e nella limitata conoscenza, è sui 50 euro.
Al signor Vincenzo Saldamarco che propone la scultura in legno (h 124 cm) di una maternità africana, risponde l’esperto in materia Dott. Bruno Albertino di Torino.
Si tratta di una figura di maternità di cultura Senoufo, proveniente dalla regione di Khorogo/Boundiali nel Nord della Costa d’Avorio. Databile alla seconda metà del XX secolo, questa statua appartiene ai riti della Società Poro. Possiamo considerarla una maternità “Nong” e rappresenta la madre primordiale del Gruppo Senoufo; presenta segni d’uso ma non è di grande qualità scultorea. Valore economico: 300/500 euro.
Signora Patrizia Manzella, purtroppo la mobilia d’antiquariato è ai minimi storici nelle valutazioni di mercato. Lei manda foto di un divano eclettico fine Ottocento primi Novecento, così come la poltrona e la sedia della stessa linea. Ritenendoli ad occhio in buono stato di conservazione e senza conoscerne alcuna criticità, posso dirle che il valore del divano si aggira sui 400/500 euro e quello della poltrona sui 300; la sedia la dia in regalo a chi le compra uno dei due.
Signor Ferri E., ecco le valutazioni del pittore Ferdinando Del Basso (1897-1971), paesaggista di scuola napoletana che – come tanti suoi colleghi una volta osannati – ha goduto di buoni valori commerciali, ma che oggi, caduto nel limbo dei misconosciuti, vede i suoi lavori alienati a poche centinaia di euro se non invenduti. Le opere da lei presentate, infatti, hanno nel mercato attuale quotazioni di 300/500 euro al massimo. Se poi lei trovasse uno dei rari collezionisti, il prezzo potrebbe alzarsi di un 20-30%, ma le speranze sono minime.
Giovannone, mercataro, mi saluta e mi manda in valutazione ben quattro radio a valvole in ottimo stato. La prima, una Selb francese degli anni 40, valore sui 120/150 euro, funzionante; la seconda, una radio-Alba anni 50, valore sui 100/130 euro, funzionante; la terza, una Allocchio Bacchini mod. F53M anni 30, valore sui 300/400 euro, funzionante; la quarta, una Supergiollo GGE anni 50, sui 250/300 euro, funzionante. Lui le ha vendute tutte insieme a 400 euro prima di interpellarmi!! …Così impara a consultarmi prima.
E come sempre, un saluto a tutti e un abbraccio ai pochi.
Giugno 2022
Signora Stefania, lei manda in visione una tazza con piattino (ne ha 10) per saperne il valore, e io ci aggiungo anche un po’ di storia. La produzione ceramica è della Rosenthal, fondata a Selb nella Baviera tedesca nel 1879 (e dal 2001 proprietà dell’italiana Sambonet). Il marchio impresso sotto la qualifica come esportazione della United States by Rosenthal China Corporation, con sede a New York tra il 1925 ed il 1941. Si tratta di pezzi rari in quanto l’America, in seguito alla guerra, ne proibiva – nonostante l’escamotage adottato dalla ditta tedesca – l’importazione. Diciamo sui 60/80 euro per piattino e tazza.
Riguardo l’altro quesito – e premettendole che mi hanno insegnato come lo champagne non vada “disturbato” in alcun modo, né con versamenti violenti, né con rotazioni varie, né in bottiglia o in bicchiere – si figuri se posso immaginare che vada “girato” con arnesi atti all’uopo! In più con uno d’argento a titolo 800 (e non 925 o 1000 come nei tastevin) che, a contatto con la materia vinicola e gli acidi contenuti, certamente non esalterebbe in alcun modo le qualità organolettiche, svilupperebbe degli ossidi non proprio piacevoli e distruggerebbe il fine “perlage” (frutto di meticolose lavorazioni e tempo) per cui lo champagne è rinomato. Lei, comunque, mi manda la foto di questi arnesi che, leggo sulla confezione, sono qualificati come argento, e senza entrare in ulteriore merito le posso dire che tali oggetti a me sconosciuti, ma non credo d’uso comune, possono valere il loro peso a quotazioni standard attuali del metallo (sui 350/400 euro al chilo).
Il signor Roberto D. manda in visione un vaso (36 cm H) della ditta Fantechi di Sesto Fiorentino, fondata da Egisto nel 1896 e alla sua morte, nel 1933, condotta dai figli Mario e Renato.
Il suo vaso – pur riflettendo il ricordo di un liberty che portò in auge l’azienda – dovrebbe essere degli anni 50 del 900, e rispecchia la flessione decorativa che avrebbe portato alla chiusura nel 1961. Valore, sui 250/300 euro.
Telefonata con il “mercataro e comunista” Billy A. da Modena, il quale mi manda poi – che non ho mezzi moderni in tal senso tipo “uòzap”- delle cattive immagini in tradizionale posta-web. Innanzitutto caro Billy – e benché non sia un precipuo esperto sugli argenti – ti dico che il marchio sul vaso dell’argentiere “W.C” non è, come dettoti a Milano dall’orefice tuo amico, da ascriversi a William Caldecott che iniziò a registrare marchi a Londra nel 1756 ma come “smallworker” (ovvero produttore di piccoli oggetti), ma piuttosto sia attribuibile alla William Comyns & Sons fondata nel 1859 a Londra e acquistata da Bernard Copping nel 1953. L’ultimo marchio depositato “W.C” è del 1905. La società è tutt’ora attiva e ha riprodotto negli anni tante cose del suo antico catalogo.
Riguardo poi alla pittura “Fanciulla con uva” (60×90 cm), ti rispondo che – a mio sommesso avviso – non è opera dell’Irolli Vincenzo (1860-1949), è pezzo di scuola napoletana dell’Ottocento vicina ai modi del Postiglione (mi rammenta un quadro visionato una quindicina d’anni fa). Lo valuterei intorno ai 1.000/1.200 euro.
Signori del Mastronardi-bar di Roma (che tramite l’amico Floris mi contattano sempre telefonicamente), il mio giudizio sul pittore Vittorio Gussoni (1893-1968) era ed è sulle quotazioni – basse – di mercato, ma per evidenziare che viceversa lo consideravo e lo considero uno dei maggiori ritrattisti italiani del 900, con una capacità di trasposizione di tecnica e pathos uniche. Impietoso purtroppo il mercato, che lo ha relegato insieme a tanti grandi artisti una volta in auge di fama e ricchezza, nel limbo e nelle basse acquisizioni. Guardavo il 13 maggio scorso una delle televendite (che io genericamente aborro, ma che sporadicamente seguo “per mestiere”) della ditta “Vimarte” ove offrivano dell’artista un meraviglioso ritratto di “Donna allo specchio”, un 75×64 cm a 3.950 euro. Nonostante sapessi elevato il prezzo paragonato alle quotazioni attuali del pittore, l’avrei consigliato per la bellezza intrinseca ed estrinseca dell’opera. Mi pare che tale ditta accetti poi offerte e venda alla migliore, ma non ne ho seguito l’esito finale. Comunque ciò per informarvi che le nature morte come la vostra non hanno grosse richieste e vengono vendute a 500 e addirittura 300 euro; circa i ritratti, come detto e nonostante la struggente delicatezza e bellezza, per i migliori siamo sui 1.200-1.700 euro al massimo. Una volta consigliavo di tenere le belle cose non al momento veicolate o capite, ma a mio parere di sicura rivalutazione nel tempo; oggi, invece, dico solamente di tenerle per proprio arredamento e piacere poiché “mala tempora currunt”, e vabbè! Ma la frase di Cicerone continua in “sed peiora parantur” (e peggiori si profilano) ed è ciò che anch’io penso al vedere tante persone “vecchie” isolate nelle loro paranoie (tipo me per intenderci) e tanti giovani uniti nelle loro intemperanze/ignoranze e quant’altro, i quali altro non sono che gli estremi di generazioni non più dedite alla cultura e all’arte. Una volta si salvava “la massaia di Vigevano”, ma è deceduta fortunatamente da tempo e si è risparmiata, ad esempio, la visione – e l’ohinoi dire e fare – di tutti quei nullafacenti che pare opinionizzino su tutto, o cantino travestendosi, o appaiano nei salotti mediatici italiani transeunti ed inutili.
Ed eccoci alla signora Federica Ignazzi con il solito gruppo ceramico marcato “N coronata” tipo “capodimonte” (cm 24x28x17), e che invito a leggere in rubrica le risposte ai quesiti dei mesi – ed anni – scorsi riferentisi a tale tipologia. Nello specifico, il gruppo presentatomi – anche in ragione della firma G. Solesin (1958) – si riferisce probabilmente a produzione di manifattura vicentina. Il valore senza alcun difetto e/o rottura è solo arredativo: sui 120/170 euro.
La signora Gabriella Burzio invia l’immagine di una “patente da speziale” ereditata, un documento di 4 pagine vergato manualmente, recante sigilli dei primi del ’900. Speziale o “rizotomo” (tagliatore/raccoglitore di radici) è l’antico nome del farmacista legato, naturalmente, alla farmacopea delle piante medicinali con cui si producevano i medicamenti. Il professionista, per essere qualificato tale con appunto il conseguimento di una patente, doveva aver compiuto studi umanistici, aver frequentato per due anni lezioni di chimica farmaceutica e botanica presso una Regia Università e aver trascorso un tirocinio di cinque anni presso una “spezieria” autorizzata. Il documento, a vista, è perfetto nella sua conservazione, ma ha valori di mercato – se non collezionistici – che sono ai nostri giorni bassi: diciamo sui 200/250 euro.
Signor Gaetano Micillo, pubblico il suo quesito per rispondere anche ai signori Bella e Ludovici. Le fotografie, ed in special modo quelle degli anni del periodo ventennale fascista, hanno avuto in passato notevoli quotazioni ma attualmente, terminati i ben paganti collezionisti e pubblicate a iosa in rete, non hanno che bassissime quotazioni. La sua ad esempio, del 1941, che mostra il duce Benito Mussolini attorniato da gerarchi all’inaugurazione del Mausoleo di Guglielmo Marconi (opera dell’architetto Mario Piacentini) a Pontecchio (Bo), poi denominato Pontecchio Marconi, è immagine usuale di repertorio dell’avvenimento: valore 25/40 euro al massimo.
La signora Elena Bulla manda in visione un documento cartaceo (1898-1903) di 7 pagine, inerente decreti del Ministero della Guerra a firma Re Vittorio Emanuele, su militari e loro posizioni amministrative. Le rispondo pubblicamente signora, anche per ricordare un mio caro amico scomparso nel 2007: Berardo Luciani di San Cesareo (Rm), valente ricercatore cartaceo e promotore insieme a me ed altri della manifestazione internazionale “Solo Carta” tenutasi per quasi un quinquennio a Valmontone (Rm) nel Palazzo Doria-Pamphili, una manifestazione che ebbe quale suo ardente e fattivo sostenitore il grande e lungimirante sindaco Angelo Miele – purtroppo anch’egli scomparso – a cui la cittadina laziale deve le grandi realtà dell’Outlet e del Parco divertimenti Magicland, oltre al restauro e alla riqualificazione del Palazzo nobiliare detto. Ebbene, l’amico Berardo una quindicina di anni fa inondò il mercato di fascicoli del Ministero della Guerra, della Difesa, dell’Esercito, ma anche della Guardia di Città (polizia) e dei Carabinieri – come il suo, signora – a quintali. Praticamente erano documenti che dovevano finire al macero ma che un compiacente suo amico ritirava “a sgombero” dai palazzi ministeriali per conto di associazioni benefiche (a cui devolveva il compenso in peso cartaceo dovuto) e glieli riversava a pagamento minimo. Per un breve periodo il Luciani riuscì a farsi pagare abbastanza bene, centellinandoli, tali documenti, soprattutto quelli dove era presente la firma del re o dei suoi noti ministri, poi piano piano il mercato si trovò sommerso dalla stessa massa del materiale cartaceo che il Luciani iniziò a vendere ad interi pacchi e cartoni (io gliene vidi nel suo magazzino ad altezze di vari metri) a professionisti del settore. Ciò, signora Elena, per significarle che il suo documento ha scarso valore sia storico documentale sia di mercato. Una cifra valutativa può essere sui 15/30 euro.
Signor Cico Lapo, pubblico il suo quesito concernente la brocca da vino ottocentesca in peltro (h 25 cm) pur non sapendo rispondere in merito, poiché spero che qualche nostro valente lettore e collezionista ne sappia qualcosa. Purtroppo non ho trovato alcuna notizia sul marchio dei grifoni alati impresso, e non posso far altro che archiviare il quesito in attesa di qualche futura informazione.
II signor Salvatore Di Matteo pone alla mia attenzione 3 quadri. Il primo (cm 23×29) è a firma A. Mascheni, autore sconosciuto ai miei prontuari e di levatura artistica tanto scarsa da non poter essere valutato, così come il secondo di 99×64 cm a firma Iorik (della serie quadrume da basso arredamento degli anni 50-60). Il terzo quadro (cm 29×25), signor Salvatore, è un ovale novecentesco con cornice lavorata annessa in pastiglia, al cui interno è raffigurata una madonna o una santa; lei ipotizza anche che non sia una vera e propria pittura, e in questo caso si tratterebbe di un’oleografia, ma comunque, ed in ogni caso, è cosa devozionale e popolare che, anche per le cattive condizioni, non è suscettibile di valutazione. Mi spiace comunicarle queste notizie perché lei è una persona amante del bello e affezionata alle opere possedute, ma l’arte ha dei parametri scientifici che a volte valicano impressioni e trasporto emozionale e che il perito deve, anche a malincuore, esporre.
Il signor Salvatore Pannaioli ogni tanto mi manda foto di quadri di importanti autori del ’900 italiano, ma alle mie richieste di fornirmi la loro allegata documentazione glissa e non risponde. Ora è nuovamente in campo con un’opera di Alberto Savinio (1891-1952). Ebbene signor Salvatore, io non sono certamente in grado di valutarle alcunché, per foto poi e senza “allegati”. Pertanto, le invio i riferimenti della fondazione preposta: Fondazione Magnani Rocca, Via Fondazione Magnani-Rocca n. 4 – 43029 Mamiano di Traversetolo (Parma), tel. 0521.848327-848148. Se ci va di persona, abitando lei vicino nel circondario della bella Collecchio, può anche prenotare un tavolo nell’ottimo ristorante annesso alla suggestiva villa sede della fondazione-museo.
La signora Silvia Ciardi da Roma, frequentatrice di mercati da trent’anni, ha comprato un ottima natura morta (cm 50×90) al grande mercato al coperto delle Ferrovie dello Stato, stazione di Monterotondo scalo (Rm): “I sabati dell’Usato”. L’opera, con cornice originale a “guilloche”, è ascrivibile alla fine dell’Ottocento, primi del 900. Acquistata per 600 euro dall’espositore Claudio V., con la sua bella e intatta cornice ne vale almeno 1.800.
E come sempre, un saluto a tutti e un abbraccio ai pochi.
Maggio 2022
Repetita juvant a tutti i lettori e particolarmente ai signori P. Baiani, Lara Messina, Giancarlo Totti: io sono un perito di carta, lavoro con immagini – in genere brutte e insufficienti – da remoto, e dunque a volte non bastano né studi, né decennali esperienze nel campo per poter dirimere e valutare. Non mi potete paragonare agli esperti in carne e ossa a cui vi siete rivolti, che certamente – e soprattutto se li pagate – ne potranno più di me, sempre naturalmente che ne sappiano sulla materia a loro sottoposta.
Ed inoltre: le mie stime sono dettate al 95% non da mie convinzioni personali ma dal mercato, e per mercato si intendono aste, negozi, mercati e mercatini, ed è chiaro che la valutazione delle varie voci dette, assolutamente disparate e non concordi, vengano a formare un minimo ed un massimo a cui poi io mi attengo. Oramai è assodato come tutti commercino, appunto, nelle più disparate sedi e a seconda dei bisogni o meno di chi vende e delle disponibilità o meno di chi compra. Faccio delle eccezioni quando per mia convinzione personale penso che il “pezzo” sia effettivamente bello o raro e destinato a conservazione e rivalutazione.
Hoinoi! Siamo arrivati al “capodimonte di resina”! grazie al quesito della signora Teresa L., che naturalmente oltre a non aver mai letto la mia rubrica, non sa che il termine capodimonte – ed io lo ripeto per la millesima volta – non costituisce sinonimo della fu prestigiosa ed antica fabbrica partenopea né per esecuzione né per luogo. Ed infatti, il suo gruppo “Napoleone a cavallo” con il marchio della N è stato prodotto dalla Miriam di Giurastante Luigi & C. di Canosa Sannita in Chieti, una ditta di lavori artistici in “resine plastiche”! E mi parrebbe di averle detto tutto, se non fosse che la signora, sicura del valore del suo oggetto, me ne chiede precipuamente il valore. Ebbene signora, e nonostante sua nonna lo possa aver caramente pagato in uno di quei eclettici negozi che vendono tali cose, il suo Napoleone non vale nulla. E mi fermo qui per non recar offesa ad alcuno!
Signora Danila Ferrari, il suo vaso senza misure, imitante nelle sole spade incrociate la manifattura di Meissen cui hanno aggiunto la lettera “R”, è riproduzione delle fabbriche tedesche di Dresda della prima metà del ‘900. Valore sui 300/400 euro se intatto.
La signora Giulia S. presenta un centrotavola con putti (cm 42×18) avente il marchio PM sotto una corona, ed abbinata la scritta “China-Dresden”. Il “solito” antiquario/stagnino le ha detto trattarsi appunto di una porcellana prodotta nella città di Dresda (Sassonia). Ma così non è: il marchio appartiene alla Porzellanfabrik Friedrich Eger & co.KG fondata nel 1901 a Martinroda (Turingia) che – dopo traversie e cambi societari – terminò la lavorazione nel 1972. La scritta “china-dresden” va intesa come “porcellana alla maniera di dresden”, città famosa in tutto il mondo per tale lavorazione. Lo “stagnino” le ha riferito che risale all’Ottocento e che vale perlomeno 1.500 euro! Forse – non è detto – gli si potrà dare dell’incompetente ma non dello scemo! Infatti ha da lei acquistato delle deliziose miniature – ad occhio settecentesche – pagandogliele due soldi asserendo essere pezzi degli anni 50 del Novecento, ed ha supervalutato epoca e bellezza del vaso in questione – anni 40-50 circa – che però si è guardato bene dal comprare, ed il cui valore è realisticamente intorno ai 300/500 euro, se perfetto.
Riguardo il suo sfogo circa l’altra vicenda, e anche qui repetita juvant: in un Paese che ha una legislazione penale o comunque sanzionatoria con rito inquisitorio, l’onere della prova contraria, cara signora, spetta a lei. Quindi è lei che deve dimostrare la provenienza degli oggetti in argento “attenzionati” nel corso di una perquisizione pur condotta per altri motivi. Inoltre, i carabinieri sono uomini e donne che svolgono un mestiere come un altro: medici, meccanici, geometri e quanti altri, ci sono quelli bravi e ci sono gli asini, generalizzare mi pare inconsulto, e si rammenti comunque che le decisioni finali vengono espresse in nome del “popolo italiano” da un giudice che ha le stesse caratteristiche precipue, essendo un uomo o una donna, di cui sopra.
Signor Mauro Tufanari, la bottiglia n.1 firmata Salvator Dalì è degli anni 70, fa parte di un trittico di pezzi (n. 1-2-3) creati dall’artista per pubblicizzare l’aperitivo Rosso Antico (allora della casa Bouton). Il valore è modesto: in rete e nei mercatini le vendono sui 20/30 euro l’una, poi, come al solito, vi sono esagitati che chiedono 100/200 euro, ma senza esito di compratori.
I sei bicchieri a rilievo del ‘900 sui tipi muranensi (prodotti dagli anni 20 sino agli anni 60), non hanno ai nostri giorni le quotazioni di un tempo e si possono trovare a valori modesti. Comunque, se intatti e senza sbiadimenti, arrivano intorno ai 300/500 euro.
Ringrazio per gli apprezzamenti la signora Lorena Borghesi che, pur di piene origini italiche (padre romano e madre aretina), mi scrive dal Cile, con ciò facendomi tornare alla memoria una meravigliosa terra dove ho dimorato per tre mesi cento anni fa: Punta Arenas in Patagonia.
Il suo quadro, signora Lorena, un ovale di cm 39×49 con cornice, è sui tipi del ‘700 ma presenta canoni pittorici di fine ‘800 primi ‘900; è infatti un ritratto su tela applicata su legno senza “preparazione” (che è una miscela di gesso e altro con cui si da “corpo” al supporto per accogliere i colori ). In più: la sommarietà della stesura pittorica da mano di “mestierante” (che pur non escludendone la bravura ne elude l’alta qualità), la cornice a pastiglia e gli elementi applicati in non ottimo stato, mi inducono a valutarlo sui 400/500 euro come opera meramente arredativa. A bueno sièntulo de nuevo.
Il signor Salvatore Di Matteo e la sua preziosa famiglia con interessi culturali artistici mi scrivono da Avezzano (AQ), per porre alla mia attenzione diversi quesiti. Il primo riguarda il dipinto (cm 60×40) del pittore armeno Gerard Orakian, rifugiato in Italia nel 1920 dal genocidio turco, operante Roma dal 1947 al 1962 anno della sua morte. Sono poche le notizie su questo ottimo pittore che non ebbe una vita facile e fu – per scelta – sempre lontano dalle luci della scena artistica. Le sue opere, quasi tutte portate per volontà in Armenia, non hanno circolazione sul mercato, né inerenti quotazioni. Le valutazioni delle poche presenti hanno alti esiti d’asta sia per il tenore artistico sia per la loro rarità. Quindi, ed anche attenendomi ad esse, direi tra i 2.000 e i 3.000 euro, non meglio specificando per quanto detto.
Il secondo dipinto (cm 20×30) è del pittore torinese Benedetto Ghivarello (1882-1955) che, come tutti gli artisti del ‘900 e non solo, ha subito ribassi estremi. Quindi, per il valore della sua tela propenderei tra i 150 e i 200 euro. Le altre due opere, una in legno firmata A. Jovine (di non eccelsa levatura artistica), l’altra firmata sul retro Giuseppe Piccablotto in cornice liberty – da me non giudicabile perché dalle foto non riesco a capire né la tecnica né il materiale di supporto – risultano di autori sconosciuti a me e ai miei prontuari.
La signora Daniela Pasut manda in visione due quadri. Il primo (cm 100×100) è di autore non identificabile, ma poco importa giacché la scarsezza artistica della tela non gli fa assumere valore alcuno. Il secondo, con ritratti (cm 86×83), è opera del pittore Luis Garcia Oliver (1907-1977), autore variegatamente trattato sul mercato, che viene da alcuni proposto, fantasiosamente, a 400-500 euro, e da altri alienato a 20 euro nel 2015! (casa d’asta Catawiki, sempre ritratti, cm 55×70). Ciò ad indicare che penso sia opera trattabile tra i 50 e i 100 euro al massimo, per mero arredamento.
Il signor Michele Angelo pone alla mia attenzione due oggetti. Il primo è un Pagliaccio con computer, in vetro e argento del poliedrico pittore aretino Vittorio Angini (1950); tali figure sul mercato hanno un valore intorno ai 120/160 euro.
Il boccale in peltro con stemma (altezza cm 36), a vista non sembrerebbe antico e anche i marchi (non sono ingranditi e non li ho potuti ben identificare) danno tale responso. In più, caro lettore, il peltro che ha del valore è solo quello d’uso e cioè inerente sino al ‘700, poi si hanno, e solo, oggetti d’arredo per chi non poteva permettersi l’argento, e le quotazioni sono basse per comuni oggetti d’arredamento.
Signor Trevisan, le sue statuine sui tipi di capodimonte valgono sui 50/70 euro cadauna; quella della “fanciulla disabbigliata” della ditta Ronzan (42 cm), pezzo degli anni 50, non presenta canoni di modellazione elevati e quindi va dai 150 ai 300 euro, ma… ma la mancanza del dito in una mano la porta chiaramente ad un consistente deprezzamento, diciamo quindi sui 60/80 euro.
Da Tolentino, la signora Elsa B. che scrive: “mi hanno venduto per anni, gli antiquari di fiducia, mobili ed oggetti che ora altri – anche lei da foto – mi dicono che sono falsi… Ed io ho sempre creduto nella buona fede e nella correttezza delle persone che ho incontrato nella vita, ed ora che sono diventata povera… ma allora (sic)?”. Signora Elsa evidentemente: “i mercanti parevano, ma erano masnadieri” (Boccaccio). Cosa dirle? Furfanti sono anche i funzionari bancari che hanno garantito fondi, cartolarizzazioni, diamanti rivelatisi fasulli, ma anche gli immobiliaristi che hanno fatto acquistare case senza servizi pubblici o abitabilità ecc. Il mondo, signora, non è per i puri di spirito e le persone buone, il mondo è sostanzialmente fatto di soldi, e solo, ed è il vero “ordine mondiale” sbandierato dai vari eterogenei ignoranti “negazionisti”. E comunque, per lei, io sono a disposizione gratuitamente, per valutarle in Tolentino tutto ciò che vuole.
Il signor Vittorio Gaibotti manda in visione un vaso a rilievo tedesco (cm 42×26) inneggiante il vino del Reno. Sinceramente so ben poco di tali tipologie ceramiche. Presumendo sia oggetto degli anni 60-70 del Novecento, lo valuterei a corpo – se sono solo presenti le piccole abrasioni che vedo – intorno ai 250/350 euro.
Dott. Tito Gaudio da Torino, le rispondo sul servizio da caffè dei suoi conoscenti ed in modo specifico – eh già! gli esperti a volte sanno ciò che la rete ignora. Le porcellane sono state prodotte in Baviera dalla Porzellanfabrik Oscar Shaller & Co. Nachfolger con sede in Schwarzenbach che era una succursale della Gerbruder Winterling OHG di Roslau, sempre in Baviera. Il marchio è inerente una produzione del 1921. Il valore di tali manufatti, che non hanno né grande artisticità né grande esecuzione (diretti all’esportazione) sono modesti, calcoli per un servizio da 6 sugli 80/150 euro e da 12 sui 120/250, sempre se intatti e privi di qualsiasi difetto.
Signora Elisabetta Menna da Assisi – in opera encomiabile di aiuto al prossimo – il suo “servizio” di contenitori di varie cose (detto generalmente in sheffield), ha diverse ditte produttrici: due pezzi sono punzonati “tromba e banner” della James Dixon & Sons (ditta fondata nel 1806 da James Dixon e Thomas Smith a Sheffield che chiuse nel 1992), il marchio apposto ci dice che furono eseguiti nel 1890 in Britannia Metal (stagno-antimonio-rame) elettroplaccato in argento. Il terzo contenitore è della Daniel & Arter ltd (fondata a Birmingham nel 1892 da Thomas Henry Daniel e da Thomas Harte , chiusa nel 1930) in lega di zinco e rame elettroplaccato in argento, l’anno di fabbricazione è il 1920. Il quarto pezzo, marcato TV e altri simboli, similiare per materiale, non sono riuscito a identificarlo. Ad ogni modo, gentile signora, devo dirle che mentre una ventina d’anni fa tali tipologie spuntavano cifre discrete, oggi come oggi, vuoi per il disinnamoramento verso tali oggetti, vuoi perché ne hanno prodotti con ritmi industriali a tonnellate, essi hanno perso di valore economico e penso che tutti in gruppo non possano spuntare che 150/200 euro.
Anche circa i tre differenti servizi di bicchieri, ognuno da dodici con due bottiglie (invece di tre), probabilmente arte di vetrerie muranensi degli anni 30 molati alla ruota, devo dirle che i tempi non sono dei migliori: tra i 300 e i 400 euro.
Signora Marina Maria complimenti per il salvataggio del bel lampadario in ottone laccato e vetro che ora adorna il suo studio. La linea è senz’altro quella del design anni 40-50, ma ad ora non sono riuscito a risalire al creatore o alla sua ditta di fabbricazione. L’ho messo comunque nel mio archivio a futura memoria o visione. Il valore indicativo, senza poterne individuare l’origine, è sui 600 euro.
E come sempre, un saluto a tutti e un abbraccio ai pochi.
Aprile 2022
Il signor G.C. fa parte di quella categoria di lettori che credono che, per espertizzare opere complesse e di pregio, ad un perito “in lontananza” basti inviare delle foto senza allegare alcuna informazione: riferimenti, storia, …e che costui, “illuminato” dall’alto, possa dare un responso. Ohi ohi! …E così, oramai assuefatto a tali credenze scellerate, vado a compiere l’opera di “bassa macelleria” ad occhio.
Vari i quesiti, tra cui una tavola “a traforo” con una crocifissione (cm 165×105), le cui parti sgorbiate in pioppo inducono a pensare a una manifattura operante non in Italia tra la fine dell’800 e i primi del 900, ma senza averne visione diretta non posso esprimermi più esaustivamente. Il valore potrebbe essere indicato, se confermato il periodo, 800/1.200 euro.
Il quadro “Giuditta e Oloferne”, di non eccelsa fattura (testa) sui tipi del 700, e anche qui con foto e visione sommaria, vale sui 1.200 euro.
L’arazzo francese (cm 300×250) in lana (?), tecnica a point de l’Halluin, potrebbe arrivare intorno ai 2000 euro se fosse di vecchia manifattura, altrimenti 400 euro.
Da Torino mi scrive la signora Miranda Mazloumi, nuova e colta lettrice che, imbattutasi nella rivista, si complimenta con me. Nel ringraziare, sperando voglia aggiungersi ai lettori fedeli di trent’anni di Gazzetta, vado a rispondere alla sua richiesta: avere lumi su un servizio di famiglia realizzato dalla S.C.I. di Laveno, dopo aver già contattato il Centro Studi Bossaglia (Università di Verona) e la biblioteca di Laveno che, pur avendo ampia documentazione sulla manifattura, a mio avviso non hanno personale adatto, preparato e neanche così diligente da scusarsi con chi fa una legittima richiesta (diretta tra l’altro a organismi pubblici e pagati dai cittadini). E veniamo dunque alle sue ceramiche, o meglio, alla ceramica, giacché manda in visione un solo piatto del servizio (eh… non lo vuole sciupare!) e non mi fa partecipe dei numeri del medesimo (vabbè… sono un estraneo). Ma non mi adiro – in virtù della sua gentile prosa – e vado ad esprimermi nel merito: il servizio fiori e cineserie, ripetuto dagli anni 30 ai 50 del 900, non è che possa avere grande valore. All’epoca La S.C.I. produceva a Laveno e Verbano in grandi stabilimenti che davano lavoro a migliaia di operai. Dagli anni 30 la Società iniziò ad operare per grandi fabbriche tedesche come la Rosenthal. Il servizio in questione faceva parte di un’importante commissione per un grossista tedesco suo rappresentante: H&C (certo L. Honher membro della famiglia dei famosi produttori di strumenti musicali e… soci) operante a Chodeau (il nome tedesco della città ceca di Chodov), non ritirata e/o venduta poi nel mercato italiano. Il valore di un insieme del genere, se completo da 12, è sui 400/500 euro, ma non deve avere alcuna imperfezione, rottura o sbiadimento delle decalcomanie e/o decori; fosse un servizio da 24, andrebbe sugli 800/1.200, altrimenti alla metà e meno. Pezzi sfusi si possono alienare nei mercati/mercatini e sui siti internet a 12/15 euro l’uno i piatti, la metà i piattini, il doppio quelli da portata, e sui 150/250 euro le zuppiere, sempre che siano perfetti nella loro condizione, altrimenti decrementano del 30-70% il loro valore. In rete esistono altre valutazioni a mio avviso eccessive, date da individui “problematici”! Mi pare così di aver dato tutte le informazioni richieste.
La signora Francesca Caciula manda due quadri di insigni artisti italiani. Il primo è opera del mio amico Luciano Ventrone (1942-2021), grande pittore “iperrealista” prematuramente scomparso un anno fa, che il comune germano Federico Zeri indicava come “il Caravaggio del XX secolo”. Valuterei la tela (cm 60×50) tra i 10.000 e i 12.000 euro.
Il secondo dipinto (cm 44×33) è dell’astrattista informale Giulio Turcato (1912-1995) e può valere tra i 6.000 gli 8.000 euro. Ma… ma la signora Francesca non manda né copia di documentazione delle loro autenticità né altro, per cui, sia chiaro, le mie valutazioni sono solo date sul presupposto che tali opere siano documentate, originali e garantite, altrimenti, sia altrettanto limpido, esse non valgono che poche decine di euro come copie e sono a rischio penale di falsificazione sia in semplice detenzione (a meno che la signora non le sigli come tali) sia messe in circolazione.
La signora Roberta Ricci invia degli elementi arredativi di pregio. Il tavolo modello Delfi, firmato da Carlo Scarpa e Marcel Breuer (cm 220x89x74) in marmo di Carrara, prodotto nel 1969 dallo Studio Simon Gavina, è valutabile tra i 5.000 e i 7.000 euro.
Il lampadario firmato Toni Zuccheri (Antonio, 1936-2008, valente designer collaboratore di Scarpa, Albini, Ponti, lavorò con le manifatture Venini, Barovier&Toso e Veart), modello Exprit (cm 60x60x h 72) prodotto dalle vetrerie Venini nel 1970, nello stato di perfetto ha valutazioni variegate che vanno dai 6.000 euro ai 14.000 fino ai 16.000 euro, mentre la casa di aste Cambi nell’ottobre del 2021 lo valutava tra i 2.500 ed i 3.000 euro. Io penso sia congrua una stima tra i 6.000 e gli 8.000 euro se con ricevuta d’acquisto e nello stato di perfetto.
Signor Claudio Sapienza la statuina (alta 60 cm!) sui tipi dei “capodimonte”, recante le iniziali del coroplasta Giuseppe Armani (1935-2002), non riveste grande valore ed è prodotto da negozi di regalo e bombonieristica. Nella rete le persone “con problemi” le vendono anche a centinaia e centinaia di euro, mentre quelle più assennate, tra i 150 ed i 200 euro. Il suo esemplare vale qualcosa di più per la sua imponenza.
L’altra statuina (alta cm 25), opera del valente “figurinaio” di Caltagirone Romano Gaetano (1926-2015) è pezzo del 1987 e vale sui 250/300 euro, sul mercato, però, lo offrono – se firmato – anche a meno: sui 120/150 euro.
Non avendo mai letto la mia rubrica, il signor “Mario piu” manda, definendolo “oggetto Capodimonte”, una statuina senza misure appartenente, appunto, a quello stile partenopeo oramai prodotto in tutto il mondo da un centinaio di anni. Naturalmente la risposta è sempre la stessa: senza alcun difetto e/o rottura, può valere tra i 60 e i 120 euro.
Signora Loredana Guadagno, il binocolo tedesco, preda bellica di suo nonno, è un WWII-1940 Zeiss – Dienstglas 7×50 Binocular fernglas. Tali oggetti di qualità e con ottica di prestigio vengono valutati più che per la loro storicità per la loro funzionalità (come un’auto d’epoca, per intenderci). Quindi, se avente i prismi senza danni e gli oculari ben fluidi, (in parole semplici se è ben funzionante) il suo valore è tra i 120 e i 150 euro.
Al signor Gabriele Sabbadini risponde l’esperto di arte tribale Dott. Bruno Albertino, di Torino. La scultura in metallo presentata (h cm 80) appartiene alla cultura Senoufo e a mio avviso proviene dall’area di Korhogo, nel nord della Costa d’Avorio. Nella cultura Senoufo sono molto più frequenti sculture di questo tipo in legno, raramente ho visto grandi sculture in metallo. L’opera rappresenta Katieleyo, la madre ancestrale, sormontata da una coppa rituale e da Kasingele uccello mitico fondatore del genere umano. Questo tipo di sculture rientravano nei riti di iniziazione e fertilità della Società Segreta Poro. In considerazione delle caratteristiche del manufatto ritengo possa appartenere alla seconda metà del 900, e che non abbia avuto un uso tribale. Valore decorativo: 300/500 euro.
Signora Laura M.C., le ho di già risposto in forma privata il 16-1 del corrente anno, ed ora mi ripeto nella rubrica poiché ho sentito telefonicamente il comune amico Franco Gaggioli che mi ha riferito della sua lamentela in merito alla mancata risposta al suo quesito ed altro. Dunque, repetita: il suo quadretto è certamente ascrivibile all’opera di tale Picasso, e dico “tale” non precisato poiché non è certamente il Pablo (1881-1973) caposcuola mondiale nell’arte: incerto il segno, non degno di nota il colore, tela e telaio commerciali da due soldi.
Riguardo alle sue poesie – che esulano dalla rubrica – devo sinceramente dirle che pur riflettendo la poetica ermetica ed essenzialista dei grandi autori del 900, le trovo, per cosi dire, arcane e legate ad un’essenza ermeneutica, frutto certamente di colte e disparate letture che però non trovano un raccordo, una liaison che faccia vibrare l’animo, perlomeno il mio. Signora, lei aggiunge – come fosse a suo merito poetico e curriculum – d’aver lavorato per anni in un noto giornale come “correttrice di bozze”, ebbene, spero non si dorrà se le dico che l’inventare è cosa enormemente diversa dal correggere e che, pur cosa di valore, non è un atto creativo: qualunque libro, qualunque pubblicazione passi al vaglio della correzione, è l’autore, e solo lui, a rimanere nella storia, per grande o piccola che sia, nonostante il valore e il talento dei tanti che concorrono e “indispensabilmente” alla sua messa a punto.
Signora Carmen Casto, simpatica lettrice che mi presenta dei bicchieri firmati, come lei stessa ha evidenziato, un conto è la cristalleria Royale de Champagne fondata a Bayel in Francia nel 1678 (dopo alterne vicende ora appartiene al gruppo Haviland, famoso produttore di porcellane di Limoges che ancora fornisce notevoli cristalli di pregio e costo) e un conto è la Royales de Champagne che mi risulta essere un marchio generalizzato di fabbriche ceche (dagli anni 60 del ‘900 in poi, che operavano con ossidi diversi dal piombo) e poi, dagli anni 90, indiane. C’è in internet una frammistione tra i due marchi, complice il fatto che la rete non è fatta – e purtroppo in tanti ancora non se ne sono ancora accorti! – per dare informazioni precise né per tutelare i consumatori, no!, è fatta per dare l’opportunità di commerciare a chiunque esso sia. I suoi bicchieri spaiati (ne vedo 9) imitano lo stile art déco ma non ne hanno la “verve”; riguardo poi al cristallo usato (vetro con ossido di piombo al 24%), da remoto non posso certo calcolare la luce rifrattometrica espressa; lei scrive di averne auscultato il suono (che, le preciso, dovrebbe essere cristallino e “vibrare”). In conclusione quindi, penso che i bicchieri siano stati realizzati in una fabbrica ceca o indiana con altri ossidi meno impegnativi e che comunque siano stati prodotti intorno agli anni 80-90 del ‘900. Il valore, solo arredativo, è modesto: 15 euro al pezzo.
Signora Ines M., preliminarmente le dico che i suoi gruppi in bisquit non possono essere certo esaustivamente valutati attraverso le sommarie foto da lei inviate. Comunque: il primo, putti con tralci (25 cm x 38 di altezza), riportante la famigerata N coronata del marchio pseudo capodimonte, è di manifattura forse vicentina e vale, senza alcuna rottura o difetto, sui 120/180 euro; il secondo gruppo (cm 38×20), ascrivibile dal marchio “dell’ancora” alla produzione della ditta Fabris di Bassano del Grappa (forse degli anni 80-90 quando questa fu assorbita dal gruppo Elite che ne acquistò il marchio e i modelli) vale 200/250 euro, sempre che sia assolutamente intatto.
Signora Paola R., il marchio del suo vaso è indubbiamente quello della manifattura Antonibon (Nove – Vicenza, rilevata nel 1912 dalla famiglia Barettoni che tuttora la detiene), anche se noto un’abrasione sospetta sul fondo e vicino al marchio. Il periodo di realizzazione a mio avviso è quello degli anni 40-50 del 900 e la valutazione, se in integrità assoluta, è sui 300/350 euro.
Il signor Salvatore CS manda in visione una ristampa del Taccuino di Bergamo della fine del 1300, attribuito a Giovannino De Grassi, maestro miniaturista, pittore dello stile detto “gotico internazionale”, compilato negli ambiti del Duomo di Milano. Questa ristampa de Il Bulino, collana Ars Illuminanda, del 1998, numerata (n. 222 su 1000) non è l’unica ad essere stata realizzata nel tempo: esistono altre ristampe dell’opera (Scheiwiller 1961) che hanno, ancorché più vecchie, più basse quotazioni (60/100 euro); l’esemplare esaminato, invece, mantiene ancora un valore intorno ai 400-500 euro, ma devo sottolinearlo, è di difficilissima vendita.
Signor Corrado Tozza, la sua carta-mappa (cm 52×72) del viaggio scientifico di Nobile col dirigibile Italia (anni 20 del 900) purtroppo, e nonostante le ottime condizioni, non ha soverchio valore economico ai nostri giorni essendo pressoché scomparso il collezionismo del genere: una cinquantina di euro. Stesso valore per la stampa con le province del regno austro-ungarico.
Il fermacarte in alluminio (cm 14×4) della CRDA (Cantieri Riuniti dell’Adriatico, dal 1930 e con vicissitudini di proprietà esistente sino al 1966) dovrebbe risalire agli anni 30-40, ma anche qui, e per le ragioni dette sopra, vale la stessa cifra; ci fosse stato il nome o l’identificazione dell’imbarcazione, nonostante il brutto momento, l’avrei valutato il triplo.
Signor Giuseppe Rulli, purtroppo le brutte foto inviate del quadro con crocifissione (60×80 cm circa) non ne consentono pienamente la lettura. Laccata, reintegrata e chiusa in una cornice degli anni 40-60, l’opera potrebbe essere (e dal retro tela) dell’800 come del 900 avanzato (anche per le dimensioni). Per ciò che malamente vedo, potrebbe valere sugli 800/1.200 euro, ma avrei bisogno di esaminare altre immagini.
Il signor “tart ufo” manda in visione un vaso (cm 14×23) della serie Onda, ideato da Sergio Asti, maestro del design italiano nato nel 1926 e deceduto nel luglio dello scorso anno. Prodotto dalle Cristallerie Arnolfo di Cambio a Colle val d’Elsa nel 1970, sicuramente è stato pagato “un occhio della testa” da chi glielo ha regalato per le nozze. Oggigiorno, però, con i professionisti oramai annichiliti da un mercato in rete improvvisato, dove tutti vendono e comprano a una moltitudine di prezzi diversi, non è possibile dare una valutazione standard. Ad esempio, la famigerata casa del lusso di New York Ist D1 Bs (circa la quale ho polemizzato lo scorso mese con un simpatico architetto a proposito di alcune sedie) lo offre a 1.200 dollari, mentre in Ebay si trova anche a 110 euro + spese di spedizione. Io ipotizzo come valore una cifra tra i 250 e i 350 euro, se intatto.
Signora Marzia Texana, il suo “elefantone” in ceramica (cm 35×30) è stato prodotto dalla prestigiosa Lenci di Torino (Helen Konig Scavini) negli anni 30 del 900. Il valore è intorno ai 1.000-1.200 euro, se assolutamente intatto.
La signora Maria Teresa da Torino manda un lungo quesito e innumerevoli immagini disordinate e senza misure, il che rende arduo il mio compito. Sono spiacente, ma non posso dare le valutazioni commerciali inerenti: devo ricevere foto singole di ogni oggetto con abbinate misure e marchi attinenti collegati. Ricevo centinaia di quesiti e il tempo è proporzionale, mi limiterò quindi a rispondere in merito alle sole manifatture.
Le tazzine con piattini hanno le lettere azzurre AR (l’Augusto Rex “Elettore” della manifattura di Meissen), ma… ma sia il marchio in differenti caratteri sia la tipologia decorativa (scene alla Wattau) mi indicano come fabbrica la Porzellanmalerei di Helena Wolfson Nache operante in Dresda-Sassonia tra il 1870 ed il 1906. Fu sua figlia, Emile, che rilevò l’attività nel 1878, a copiare abusivamente il marchio ufficiale dell’altra prestigiosa manifattura sino a che non le fu inibito da vari tribunali: il tedesco nel 1881, l’inglese nel 1883, circostanza che la portò, oltre alla cessazione della riproduzione e al pagamento dei danni, quasi al fallimento. Stranamente, nessuno agì (almeno che io sappia) contro un altro pedissequo “copista” di detto marchio: Albin Rosenloeher (1887-1906) operante nella città baviera di Kups, ma certamente questo perché meno conosciuto e con una produzione minoritaria.
La N coronata sui tipi di “capodimonte” è un marchio usato da due secoli in tutto il mondo (lo scrivo da anni e lo ripeto anche a lei che lo ignora); infatti, le lettere (SM) riportate sulla corona e sotto i soldatini napoleonici mandatimi in visione appartengono alla “S. Marco Porcellana”, ditta di Nove in provincia di Vicenza, fondata nel 1890 dal ceramista Giuseppe Dal Pra, azienda ancora attiva e proprietà dei suoi discendenti. La produzione delle piccole statuine penso risalga ai primi decenni del 900, ma la ditta ripeté nei secoli le tipologie ed io da remoto non posso proprio appurarne con certezza la datazione.
L’altra N coronata impressa sui puttini in bisquit potrebbe essere ascritta ad una fabbrica tedesca di Rudostad, nella Turingia.
La scritta “indecifrabile” con le lettere SP azzurre incrociate riporta alla città e fabbrica sassone di Dreisden, 1901-12.
Il marchio Rosenthal modello Pompadour – ripetuto per decenni – è degli anni 40-60 del 900.
E come sempre, un saluto a tutti e un abbraccio ai pochi.
Marzo 2022
Mancherà mai il “Capodimonte?” Mai!
E anche questo mese mi giunge una richiesta inerente il marchio Capodimonte. Me la invia il signor Aniello Savarese che manda la foto di un servizio da caffè da sei con supporti in “zama” o antimonio argentato, marchiato MAS e riportante la scritta Capodimonte in scudo, e la foto di un quadro (h 80 cm) con all’interno un bouquet di rose in bisquit che presenta la famigerata N coronata. Signor Aniello se lei avesse letto i precedenti quesiti negli anni – ma anche dei mesi scorsi – conoscerebbe già la mia risposta ed anche il conseguente valore dei suoi pezzi. In Italia hanno operato due manifatture ceramiche MAS, ambedue savonensi ed entrambe dedite tra il 1920 ed il ’40 alla produzione di manufatti legati all’antica tradizione ligure e non partenopea. Ma ne esiste è anche una terza (con scudo e scritta sottostante R. Capodimonte) che variamente riporta la sigla G.B o Mas, che ha operato tra gli anni 60-70 e di cui nessuno sa nulla, almeno non io, né i miei prontuari, né la comunità della rete con i suoi venditori che propongono tali prodotti – non ottimali per canoni artistici – a decine di euro oppure a cifre inusuali e folli di centinaia! Nei mercatini ove avvengono le vendite dal vivo e non virtuali, il suo servizietto, mancante di caffettiera o teiera, varrebbe intorno ai 50/60 euro.
Il bouquet di rose, se intatto in ogni sua minima parte vale… nulla! se poi addirittura è mancante di qualche parte, dovrebbe pagare lei chi, ove mai, glielo richiedesse. Mi scuserà la prosa, che vuol essere tutt’altro che irriverente o schernente, ma sono trenta e più anni che vado scrivendo che Capodimonte (meraviglioso parco/bosco di Napoli di 134 ettari che consiglio vivamente di visitare unitamente all’annesso Museo), ove era situata sino alla fine del Settecento la Reale Manifattura Borbonica di porcellane, da lungo tempo, come marchio ceramico, non è più strettamente riferibile all’antica fabbrica detta; esso viene utilizzato a josa da chiunque voglia farlo, non esistendo privativa in tal senso, o meglio venendo essa disattesa in quanto, con decreto presidenziale, l’Istituto Professionale Castelli di Napoli in Capodimonte – solo lui – ha diritto all’utilizzo del marchio dal 1963, ma oramai nessuno si occupa di sanzionare alcuno. Praticamente, dall’Ottocento in poi, in Italia come in Europa, e poi dagli anni 70 nel mondo intero, non v’è luogo in cui non vi sia una manifattura che non smerci prodotti a marchio e/o sigla Capodimonte, ed essendo così importante il nome, nonostante le migliaia e migliaia di oggetti prodotti, non v’è chi non pensi di avere in casa una ricchezza.
Signor Salvatore Bonvissuto, il suo ostensorio ricevuto in eredità (h 63 cm), argento con doratura in parti ormolu, dovrebbe ascriversi all’artigianato napoletano del 700, anche in virtù dei bolli, pur non troppo esaustivi. Il suo valore potrebbe essere intorno ai 3.500/4.500 euro ma le foto mandate sono prive di particolari utili ad evidenziarne lo stato e in più non ne viene indicato il peso, pertanto non posso essere più preciso.
Architetto Gianmaria Giorgi, lei è molto gentile, ma mi perdoni: non ho capito se vuole saggiare la mia preparazione o crede – come molti – di saperne più di un esperto, andando a spulciare in rete e pescando foto dai siti più disparati (New York) e forniture come la 1stDIBS, una società americana e-commerce di prodotti di lusso (dai gioielli, all’oggettistica, ai mobili), ovvero non antiquari, non commercianti di mobilia antica, ma una semplice azienda, che propone cose “lussuose” senza avere il polso del mercato. Affermo questo perché, pur essendo il mobile antico in netto calo, questa (come altre aziende dello stesso tipo) ancora continua a proporre simili tipologie a prezzi che dire esorbitanti è un eufemismo. “Roba” da ridere…! Sono stati sempre gli americani a comprare tutto il ciarpame e le rimasuglierie del vecchio mondo antiquariale europeo e adesso, viceversa, dovremmo essere noi a comprare un set di due sedie classificate come del XIX secolo (e sono invece del XX), continentali neoclassiche (??), suppostamente italiane all’esorbitante cifra di 3.340,73 (pure i centesimi) euro o dollari che siano? “Ma de che?” – si dice gergalmente a Roma. Al massimo sono due sedie del valore di 500 euro o dollari, sempre che siano in prima patina e perfette, altro che…! E qui vengo a lei che mi aveva mandato un quesito su un set di otto sedie che pensa siano identiche a quelle proposte dal sito americano. Gentile Gianmaria io non svolgo la sua professione: quella del farmacista, di idraulico o non so cos’altro. Da trent’anni sono titolare, quale esperto d’arte e antiquariato, di questa rubrica apponendomi/opponendomi a tanti illustri colleghi, antiquari e collezionisti quasi sempre con successo, mai mostrando ad oltranza incompetenza anche quando mi capita di redigere responsi non esaurienti o peggio fallaci perché falsati da cattive immagini, informazioni o – e ci sta – da non conoscenza precipua della materia: ché più si studia e conosce e più – come sempre ho scritto negli anni – si capisce quanto si è asini! Ho il vizio, però, di avere sempre sottomano – grazie ad abbonamenti costosi – i cataloghi d’asta di tutto il mondo e mi parrebbe di notare come anche sedie di alto antiquariato siano oramai vendute ad un “pugno di dollari” e non alle cifre oserei dire “oscene” del sito da lei evidenziato. E ritorno così a quelle sedie “americane” che, poi, non sono affatto identiche alle sue – vedi foto – che hanno una linea rigida ma sono piegate con mossa lignea nel retro; inoltre, l’imbottitura occupa tutta la seduta mentre le sue lasciano scoperto il perimetro; e se queste sono cose per lei insignificanti le assicuro che fanno invece la differenza tra un originale e un riprodotto. Pertanto, rimango fermo nel mio responso: sedie del Novecento inoltrato, quando non riproduzioni degli anni 50-70 (questione che solo la visione dal vero potrebbe dirimere e accertare). Ad ogni modo, se imperterrito nel suo convincimento va cercando la soddisfazione che io non posso darle (da perito di carta, coda ed orecchie d’asino comprese), vada da un antiquario, un rigattiere o un commerciante dell’antico in carne ed ossa a proporre l’acquisto delle sue sedie secondo i valori del sito 1stDIBS. Si tenga però pronto – mi permetta – a quella eventuale, gergale, consueta destinazione per altri siti cui potrebbero mandarla.
Signora Annamaria Chioetto, i suoi vasi (h 28 cm) provengono dalla manifattura Giotto di Monte San Savino, fondata da Giotto Giannoni nel piccolo centro in provincia di Arezzo nel 1919. Dal 1978, in modo precipuo, i continuatori dell’azienda e figli del proprietario hanno iniziato a produrre vecchi modelli della ceramica italiana; i suoi appartengono a questa recente manifattura e ne fa fede l’invecchiamento operato con anilina rossastra e bruna stesa variamente in terza cottura, non con intento truffaldino ma per dare “sapore” ai bei prodotti che, nonostante ciò ed ai giorni nostri, hanno un modesto valore: sugli 80/120 euro al pezzo.
Signora Viola Marchese, il suo Budda (h 130 cm) in legno dorato e intarsiato a pietre è stato prodotto in Birmania e viene genericamente denominato “Mandalay”, dal nome della città famosa per le fabbricazione di tali tipologie. Ad occhio, presenta le caratteristiche di una vecchia lavorazione ma tali tipologie vanno esaminate de visu proprio per la loro fattura ancora, anche se raramente, effettuata a mano. Penso – anche dai bolli di piombo apposti che sono tipiche applicazioni “di fantasia” per far credere un’originalità o una provenienza – che la sua statua sia stata prodotta nella seconda metà del 900, e quindi dagli anni 70 a qualche decina di anni fa. Il valore, invece, è interessante poiché tali soggetti vengono riprodotti sempre meno e non vengono esportati proprio perché difficilmente riconoscibili da quelli originali d’epoca. Quanto al valore economico minimo, diciamo intorno ai 1.200/1.500 euro, ma solo la visione diretta potrebbe concretizzare il mio parere.
Signora Daniela Serioli da Brescia, il suo elemento ligneo intarsiato e dorato (cm 260×55) è una predella d’altare, ovvero una base su cui esso poggia oppure apposta a mo’ di zoccolo allo stesso.
Molto bella e imitante i canoni barocchi di tale tipologia è sicuramente una produzione dei primi decenni del 900 e sino alla metà. Non ho altro, se non le poche immagini inviate, per poter determinare meglio l’elemento. Il valore, soprattutto arredativo, va dai 600 euro sino ai 1.200, dipende a chi si vende.
Da Genova mi scrive la signora Marina Zagabria, che ringrazio innanzitutto per gli elogi. La sua stampa con la Sacra famiglia incorniciata in una ventola (cm 84×62) è prodotto del 900 (dai primi decenni alla metà). I fregi mancanti probabilmente non sono in legno ma in pastiglia di gesso dorato. Purtroppo il suo lo stato non ottimale ne deprezza il valore: sui 100/150 euro; un restauro completo – sui 300 euro – costerebbe il suo valore intero.
Il servizio di cui non indica il numero dei pezzi, forse di manifattura francese, si potrebbe datare attraverso quella trascrizione sul fondo del piatto-biscottiera: 12-4-21. Vistose macchie deprezzano considerevolmente l’insieme, tanto che converrebbe venderlo a pezzi (30/50 euro cadauno zuccheriera e teiera, 15 euro la tazzina e piattino), giacché altrimenti non potrebbe spuntare più di 60/80 euro.
La pendola senza marchio di fabbricazione, oggetto del 900 inoltrato forse russo, se funzionante, vale intorno ai 200/250 euro.
Signor Federico Storti, già ne ho scritto ultimamente. Preliminarmente, le rendo noto che il simbolo e monogramma IHX non sta per Iesus Hominus Salvator ma è un cristogramma adottato nel III secolo dai cristiani che abbreviavano il nome di Gesù (IHΣ) trascrivendo le sole prime tre lettere del nome Iesous, la terza (sigma) veniva tradotta nella S latina. Nel 1541 Sant’Ignazio da Loyola lo adottò come simbolo della fondata “Società di Gesù” (Gesuiti). La ciotola (23 cm) che manda in visione potrebbe riferirsi a episodio di detta compagnia. Il timbro a ceralacca sottostante appartiene alla Congregazione di 3a classe Apostolica di Benevento fondata nel 1816 e soppressa nel 1860, un ente amministrativo della Chiesa inerente territori del Principato di Benevento. La sua ceramica però, stando alle immagini inviate, non presenta alcuna craquelure, né altro segno di vetustà apparente. Non vorrei che, come capita, abbiano impresso posteriormente il sigillo su una “cera dura moderna” (neanche una ceralacca che in genere è rossa o grigia). Il colore giallo mi è infatti sospetto, tanto più che intorno ha delle particelle rosse, magari rimanenze sciolte dal vecchio timbro. Non posso, da remoto, darle ulteriori informazioni.
Signor Mauro Magnati, il bel servizio da tavola in porcellana appartenuto alla bisnonna è stato prodotto dalla Pirken-Hammer, in Cecoslovacchia. La manifattura, fondata nel 1803 da F. Holke e J. Gotlob List, dopo le antiche vicissitudini della guerra ed il passaggio del territorio dall’Impero austro-ungarico, le diverse questioni tra cechi e slovacchi, il blocco comunista nel 1948, ha continuato variegatamente e con varie sigle ad esistere sino al 2006, dopodiché sono occorse una serie di nuove vicende di cui non ho informazioni adeguate. Il tipo di marchio impresso sul suo servizio incompleto data l’insieme tra il 1893 ed il 1918, nel pieno periodo della valente produzione, e vale la pena ricordare che al tempo, per i servizi da tavola, la coroplastica cecoslovacca era, in alcuni casi, più ricercata e costosa di quella tedesca bavarese. Suggerendole di portarlo a 12 pezzi, il valore del suo insieme potrebbe essere intorno ai 600/800 euro, anche per l’ottimo stato. È una vera chicca! ma essendo ormai cosa per pochi amatori, è di difficile vendita. Le consiglio di tenerlo per sé.
Signora Tina Ferraiuolo da Napoli, il suo cavallo con cavaliere, in bronzo (cm 23×47, altezza 62), proviene dalla Fonderia Arena di Afragola (Na), creata negli anni 60 del Novecento da Giuseppe e ora condotta dal figlio Vincenzo Arena: senza dubbio una delle ultime fonderie artigianali di valore in Italia, in quanto capace di riprodurre qualsiasi cosa le venga commissionato da artisti e aziende. Il bronzo porta incisa la firma T. Gambaiolo, artista a me non noto, non riportato nei miei prontuari e né ricordato dall’azienda fusoria da me interpellata. Dalla brutta ed unica foto non riesco neanche a capire la validità o meno artistica dell’opera. Il valore approssimativo che le indico, quindi, è dato dalla sua mera funzione arredativa e dall’imponenza dell’oggetto: 600/800 euro.
L’affezionato lettore Salvatore Capuano da Caserta, persona di buon gusto artistico unitamente alla valida consorte, manda in visione due vasi in porcellana bronzati (cm 36×13) vendutigli in un mercato cuneense come prodotti dalla manifattura francese di Orchies. Preliminarmente, credo sia duopo dare qualche informazione in più a tutti i lettori. Ci troviamo nella Francia del Nord, e precisamente nel comune di SaintAmaud-les Eaux, dove dal 700 si iniziò a produrre ceramica; nel tempo, cinque grandi manifatture preminenti si svilupparono nei piccoli centri contigui – tra cui Orchies – e chiusero tutte nel 1952. L’unica a sopravvivere fu la Ceranord che prolungò la sua vita fino al 1962.
Io credo, signor Salvatore, che i suoi vasi dei primi decenni del 900 provengano effettivamente da quel distretto ceramico, sarebbe da determinare precisamente da dove, individuando quella sigla “DL” impressa nel fondo degli stessi. Non che questo faccia grande differenza: sono validissimi pezzi di ottima esecuzione, pagati perlomeno la metà del loro valore. Un abbraccio a entrambi.
Signor Christian Bernardini da Torino, il suo servizio da tavola incompleto è stato prodotto nella città di Metterteich, nella Baviera tedesca, dalla ditta Julius Rother (1899) passata poi a Joseph Rieber&Co AG. Il marchio impresso sulle sue porcellane si riferisce al periodo 1923-71 e per determinare con precisione la data bisognerebbe esaminarle dal vivo o avere foto certamente migliori di quelle che ha inviato. Pur non essendo completo, in virtù della bellezza decorativa, ogni pezzo può essere venduto singolarmente: la zuppiera sui 200 euro, i piatti ovali grandi sui 40/50 euro l’uno, i piatti singoli sui 10/15 e i piattini 7/10. Fosse stato completo, il servizio avrebbe avuto un valore intorno ai 500/600 euro, ma comunque sarebbe stato di difficile vendita.
Signora Marta Morico, sì! anch’io, benché le immagini inviate non siano esaustive, propenderei l’attribuzione alla bottega di Karl Pald per il suo servizio da liquore (bottiglia h 18-25 cm con tappo). Il Maestro vetraio costituì una manifattura in Boemia nel 1888; il periodo migliore fu tra gli anni 30 e 40, quello Art Déco, quando vennero realizzati manufatti colorati geometricamente. Purtroppo il suo raro servizio da 12 bicchieri presenta la piccola scheggiatura da lei indicata e i segni di consunzione che noto io dalle immagini. Questo fa scendere il suo valore economico dai 1.600/2.000 euro agli 800/1.000.
Il signor Vincenzo Vitagliano, evidentemente esperto conoscitore di incisioni, mi “bacchetta” circa la risposta data il mese scorso al quesito della signora Florinda Corradi Bartoli in merito a un’incisione vendutale dalla Galleria Di Castro a Roma e certificata dalla stessa: 1770, Martin. Proprio partendo da questa base io – non essendo un precipuo esperto di incisioni e non avendo motivo di dubitare di un nome di prestigio dell’antiquariato a Roma – ho dedotto si trattasse di Francoise Baptist Martin detto Martin (1659-1735), e quindi optato per una tiratura postuma. Il signor Vitagliano, invece, indica l’autore in Francoise Nicolas Martinet (1731-1800) e l’incisione come tratta dal secondo volume del libro di Mathurin Jacques Brisson: “Ornithologie ou methode contenant la division des oiseaux” edito a Parigi nel 1760. Certamente, dopo averne preso visione, gli do ragione! Evidentemente la Galleria Di Castro ha scritto Martin per indicare a suo piacimento o perché ne ignorava l’estensione sillabica il Martinet. Il valore, sostiene il signor Vincenzo, è tra i 50 euro da me indicati e i 100. Beh… certo! Perché ciò dipende dallo stato di conservazione, dal luogo in cui si vende e a chi si vende. Io mi regolo generalmente sui valori di aste e mercati per tipologie simili. E infatti, esaminando adesso le proposte dell’asta n. 25 di Gonnelli nel 2018, riscontro che 12 stampe tratte dal Brisson (appunto il volume da lui indicato) venivano offerte complessivamente a 400 euro.
Grazie signor Vincenzo, dai lettori “connoiseurs” attenti come lei imparerò sempre!
Il signor Ennio Latini da Arezzo, mercataro in mobilia di lungo corso, dentro un armadio acquistato ha trovato lasciati lì: un’acquaforte (cm 61×45) firmata Nicolas De Launay (1739-1792) raffigurante parte di un dipinto di Fragonard: “L’Altalena”, che penso possa valere sui 300/500 euro, e 4 volumi completi degli “Ultimi rivolgimenti italiani”, opera del senatore Filippo Antonio Gualtieri (1818-1874) editi nel 1852, che valgono intorno ai 50/70 euro.
Signora Paola Solaris, lei manda in visione tante cose con immagini chiuse e senza particolari, i quadri reintelaiati e reintelati, le stampe nei vetri e incorniciate, quindi io nulla posso appurare circa la veridicità della loro epoca e del loro stato. Solo ad occhio, posso indicare in linea di massima una valutazione monetaria.
Pertanto, uno via l’altro le dico: il paesaggio inglese con figurine arcadiche, ovale (cm 90×75), indicatomi come del 700, valore sui 1.200 euro; le incisioni (cm71x57) di Giuliano Giampiccoli (1703-1759), forse dalla raccolta di 12 paesi inventati da Marco Ricci, 300 euro; l’opera (cm 49×40) di Marco Ricci (1676-1730), sui 400 euro; la “Madonna Virgo” (cm 67×70), bella pittura primi Ottocento (?), 3.000/4.000 euro; il quadro ottocentesco con iconografia mariana, ma desunta da altre sante (Santa Monica, Santa Caterina, ecc.), 1.000/1.200 euro; le stampe francesi, Ottocento primi Novecento (?), sui 60/80 euro cadauna; Antonio Righetti (1899-1976), pittore trevigiano di felice mano, non è purtroppo trattato nel mercato nazionale, forse a livello locale. Il tutto molto sommariamente e con dubbi.
Di più non posso fare, e chiudo con qualche parola in più in merito alla tela di cm 71×57 con scena biblica “Rebecca al pozzo”, ascritta risibilmente, mi permetta, a Gaetano Zompini (1700-1778). Dell’ insigne artista “ecclesiale”, autore raro sul mercato, si trovano parecchie incisioni ma poche tele: l’ultima aggiudicazione in asta, di cui però non conosco il valore, è della Wannenes che valutava un dipinto di cm 119×49 tra i 3.000 e i 5.000 euro. La sua opera è di “genere”, forse italiana, e potrebbe valere sui 1.500 euro per le dimensioni. Pubblico, per comparazione, una “Rebecca al pozzo” dello Zompini presente in un palazzo religioso a Venezia, per farle notare la completa diversità di stile, di tecnica e bellezza rispetto alla sua.
E come sempre, un saluto a tutti e un abbraccio ai pochi.
Febbraio 2022
Signora Florinda Corradini Bartoli, l’incisione (cm 40×45) che invia alla mia attenzione le è stata venduta accompagnata da una delle solite “certificazioni di garanzia” poste sul retro che legalmente non hanno nessun valore sebbene la sua porti l’intestazione dell’attività di Aldo di Castro nella storica sede di via del Babuino a Roma. Inoltre, il non meglio specificato autore di quest’opera su rame datata 1770, “Martin”, dovrebbe essere individuato in Jean Baptiste Martin detto Martin vissuto tra il 1659 ed il 1735, quindi si tratterebbe di una tiratura postuma alla sua morte. Certamente pagata cara all’epoca del suo acquisto, ora sul mercato non vale che una cinquantina di euro e per arredamento.
In merito al quadretto tipo icona (cm 27×31) con riza, pur fosse in lamina d’argento, le dico che è cosa di bassa qualità artistica e proponibile anch’essa come elemento arredativo a decine di euro.
Signor Michele Sangineto, la ringrazio per gli auguri che con piacere ricambio, e vengo “tosto” ai suoi quesiti. Il quadretto suppostamente attribuito alla scuola del valente marchigiano Anselmo Bucci (1887-1955), un bel nome della pittura del 900 italiano, è cosa naif di basso spessore artistico. Se può, altro che restauro… lo butti!.
La bambola in ceramica (cm 77) prodotta dalla Heubach Porzellanmanufaktur nella cittadina tedesca di Koppelsdorf nella Turingia, risale al periodo 1919-1932, quando Ernst Heubach II, figlio dell’omonimo fondatore, si unì con lo scultore Armand Marseille, suo suocero. A volte unitamente alla scritta si trova il marchio a ferro di cavallo. Mi lascia, però, perplesso il numero di fabbrica: nei miei prontuari ho il 250 e non il 2507 da lei indicato, ma credo che la bambola sia autentica e pertanto, se in buone condizioni, il suo valore è tra i 280 e i 350 euro.
La pendola del 900 in legno con meccanismo sconosciuto, purtroppo attualmente non gode di grande valutazione: sui 200/300 euro se funzionante.
Signora Fabrizia Celestini, il suo vasetto è indubbiamente di periodo liberty nella fattura, evidenza ancorché attestata dal marchio AG della Porzellanfabrik di Fraureuth (città della Sassonia), azienda fondata nel 1919 e fallita nel 1926, che rilevò la Porzellanmanufaktur Kampfe & Heubach GMBH (1897-1915) della città tedesca di Wallendorf (nella Renania), e che nello stesso stabilimento ne continuò la produzione (nota: la Heubach è la stessa azienda produttrice di bambole, che ad un certo punto pensò di diversificare la produzione con esiti non felici). In ragione del breve periodo di vita, i pezzi della Fraureuth possono considerarsi rari, benché all’epoca la manifattura vantasse una cospicua produzione e più di 50 lavoranti, ma a mercato oramai crollato (sia per l’antico sia per gli oggetti da collezione) il suo piccolo vaso (h 10 cm, diametro 14) che io valuto tra gli 80 e i 150 euro riferendomi ad aste di alcuni anni fa, oggi può venire proposto da un offerente tedesco (come rilevo da un esemplare analogo in rete) a 49 euro +19 di spedizione. Chiudo l’argomento vasetto rilevando che sotto, oltre al nome della manifattura-città, è riportata la dicitura “Kunstabteilung”che in tedesco significa “dipartimento artistico”.
In merito al suo secondo quesito inerente una gallina in pasta di vetro pieno con frammenti di foglia oro all’interno (cm 16×13, kg 3,2), dalle foto evidenzio come sia stata formata in stampo; non avendo né firme né marchi ed essendo piuttosto debole l’esecuzione, tenderei a classificarla come pezzo artistico di valore non superiore agli 80/140 euro, e sempre che non presenti la benché minima rottura.
Il signor Claudio Tempestini manda in visione una “fiaschetta” da polvere da sparo con dosatore. Tali oggetti, in uso sino alla fine dell’Ottocento (prima delle cartucce e con la carica delle “canne” esplodenti), col crescente collezionismo del secolo successivo sono stati riprodotti, imitati e copiati illimitatamente sino agli anni 60 del 900. La sua fiaschetta, scrive, porta inciso il nome della (James) Dixon & Son (figlio) argentieri a Sheffield dal 1806 al 1976, ma è in ottone e non in sheffield o Britannia metal o peltro, che erano i materiali da essi usati. Peraltro fu così enorme la loro produzione – esportavano navi interamente cariche di fiaschette e di fischietti, altra loro peculiare fabbricazione – che ci può stare che la sua sia di tale produzione inglese. Ma il valore oramai è da collezionisti di curiosità i quali più di 50/80 euro certo non la pagherebbero, e a trovarli! …essendo gli stessi volati da tempo verso altre vite.
Il Budda in bronzo (h 30 cm, 3 kg di peso) non presentando patine, non essendo cesellato né rifinito, debbo valutarlo, ad occhio, come mero oggetto di arredamento: sui 200/300 euro.
Il dott. Ciro Severino, incisore e scultore, invia un documento di famiglia, la Bolla papale con la quale un suo avo, il canonico Manzolino della cattedrale di Gallipoli, venne investito dell’autorità da Benedetto XIV. Il documento è in ottime condizioni ma prima di parlare del suo valore è necessario che faccia due considerazioni: la prima, in merito al lungo pontificato di Papa Lambruschini (1740-1758) durante il quale certamente vennero prodotte migliaia di bolle, il che porterebbe questa a non essere rara e dunque ad assumere un valore collezionistico nell’ordine di 350/500 euro; la seconda, in merito all’eventuale suo valore come documento storico in base all’origine (e qui la cattedrale detta ed i suoi prelati) che, una volta sviscerata e tradotta la pergamena, potrebbe aggiungere un altro valore alla bolla legato anche all’interesse specifico. E qui, sinceramente, non saprei cosa dire, perché i preti e gli studiosi – me escluso – generalmente sono sempre, oggi come ieri, alieni dallo sversare, oltre che la loro maestria e sapere, i loro soldi per acquisire documenti pur interessanti.
La signora Paola Rota porta alla mia attenzione un bel vaso a globo di periodo déco dipinto ad areografo (diametro 30 cm), prodotto dalla Galvani di Pordenone. La prestigiosa manifattura ceramica fondata nel 1811 e chiusa nel 1983, grazie ai suoi discendenti protrasse la sua vita mantenendo una piccola attività con un piccolo forno sino al 2000. Il vaso è datato dal marchio: “galletto con la G negli artigli” in uso tra il 1925 ed il 1938. Il valore, se intonso e privo di difetti, è sui 300/400 euro. Nota: esistono sul mercato pezzi di fattezza déco, e tali dichiarati, che presentano il marchio da me definito “del pollo in pentola”, raffigurante la testa del gallo della manifattura con una fascia a scritta Galvani; si tratta di manufatti degli anni 1965-67, periodo in cui la nota ditta ripeté i vecchi motivi richiesti degli anni 20-40.
La signora Antonella, fedele lettrice che ringrazio per i complimenti, invia una bella “Madonna bambina” (h 48 cm) con testa e mani realizzate in ceroplastica (miscela di cera d’api, paraffina, sego, mastice, gesso, ecc.), adornata riccamente di pizzi, merletti e ricami in fili oro-argento o similiari. Il manufatto, dono per il matrimonio di una sua zia negli anni 40 – come una volta si usava – è augurale e di buon auspicio. In auge nel collezionismo dei tempi passati, tali tipologie ai nostri giorni si sono deprezzate – come tante altre da collezione – e nella fattispecie anche per via del materiale deperibile soprattutto con il caldo, pertanto non sono affatto richieste nel mercato. Il valore, come oggetto di arredamento per i pochi amanti di tale genere, può essere, in virtù delle sue dimensioni, tra i 300 e i 500 euro, benché in rete – ma senza esiti di vendita – vengano proposti anche a cifre talvolta molto superiori.
Il signor Manlio Benigni invia un “Bambin Gesù” in teca (cm 38x30x70), una ceroplastica che collocherei nell’Ottocento pieno ed inoltrato, e che comunque, anche fosse di periodo precedente, non cambierebbe di valore economico. Il manufatto, con testa in cera, è adornato con tessuti, ricami e “arte povera” costituita da ritagli di stampe realizzati “alla piccola forbice”, lavoro in cui erano esperte, e a cui si dedicavano, le suore dei conventi di clausura. Tali esempi di arte devozionale venivano esposti dal “padrone” del fondo, tenuta, ecc. nella propria abitazione nei giorni vicini al Natale e/o festivi a beneficio dei propri lavoranti, come conferma lo stesso signor Benigni, discendente di una famiglia di tenutari. Naturalmente, adesso un simile oggetto è ben lontano da qualunque tipo di venerazione e devozione, anzi, nelle sue veritiere sembianze potrebbe essere anche motivo di disagio averlo in esposizione. Come ho già avuto modo di dire, tali cose in cera erano molto collezionate in passato, ad oggi deprezzate anche per via del materiale deperibile, non sono affatto richieste dal mercato e quindi di difficile vendita. Valore tra i 300 e i 400 euro.
Signora Maria Raffaella Spinella, il suo proiettore 16mm degli anni 40 è stato prodotto in Danimarca dalla Kamme&Amp – Zeuton. Se funzionante, potrebbe valere sui 250/350 euro, in caso contrario solo un tecnico saprebbe determinare il costo della riparazione e conseguentemente stabilirne la differenza in termini di valore commerciale.
Riguardo ai film muti e alle bobine – che non sono patate! – bisognerebbe sapere chi ha prodotto le pellicole, quando, e le condizioni in cui sono, tutte cose verificabili solo “de visu” e valutabili non da remoto come faccio io in questa rubrica. Ad ogni modo, a vederne da foto le confezioni, debbo immaginare siano riproduzioni degli anni 50, del valore di qualche decina di euro cadauno.
Il signor Antonio Cirnelli da Como manda in visione un bel piatto da parata (cm 42) con motivi a grottesche e testa di fanciulla sui tipi della “Primavera” di Botticelli, prodotto a Faenza. La sigla retro impressa “C.C.M.” andrebbe ad indicare il sodalizio costituitosi dal 1923 al 1949 tra i ceramisti Enzo e Francesco Castellini e Luigi Masini nella famosa città romagnola in provincia di Ravenna. Tenderei a collocare il piatto nei primi anni della loro attività giacché in seguito la compagine iniziò a siglarli con il nome societario di “Flaventia ars”. Un pezzo identico per dimensioni e tipologia, stimato 330 euro, è andato invenduto all’asta Catawiki del 2-9-2019; attualmente credo che un valore giusto possa essere tra i 200 e i 250 euro, come da quotazioni di altre aziende d’asta.
Signora Sara Orio, la sua “malconcia” bandiera italiana con asta (cm 2,40×1,70), sui tipi di quella istituita da Re Carlo Alberto di Savoia nel 1848, probabilmente risale ai primi anni del 900. Il suo valore economico è modesto giacché in cattivo stato ed anche perché mancante di riferimenti storici e/o documentali. Le bandiere da collezionismo o esposizione varia devono avere come requisito fondamentale il loro buon stato di conservazione e/o la loro storia documentata. In questo caso, quindi, stiamo parlando solo di 80/100 euro, per amanti “patrioti”.
Voglio ringraziare pubblicamente e vivamente il signor Giuseppe Biagioli da Cesena che mi permetto di definire mio affezionato decennale lettore. Insieme agli elogi – che fanno sempre piacere – egli mi ha inviato un prodotto di sua produzione: un formaggio di fossa veramente prelibato, accompagnato dalla descrizione accurata sulla sua preparazione. Lo abbraccio virtualmente, complimentandomi per la sua passione e la sensibilità avuta nei miei riguardi.
Mi permetto di definire “un gallinaccio” il signor Ettore G. di Cesena che, senza nulla conoscere di antiquariato, senza una preparazione visiva né averne le prerogative minime, scrive: “Mi occupo di materiali edili e basta, ma un amico mi ha fatto conoscere un grosso antiquario il quale mi ha fatto fare un vero affare, due “pentole” (in gergo) veneziane del 700, pensi a soli 2.000 euro e mi sono informato ne valgono perlomeno 10.000”. Letto ciò, guardo le tante immagini inviate (splendide foto nei loro particolari del davanti e del retro) e trasecolo! Signor Ettore: sono le persone come lei ad inquietarmi, ad indurmi agli improperi. Conosco laboriosi e onesti commercianti dell’antico che faticano a guadagnarsi la giornata nei mercati vendendo cose favolose a due soldi, strozzati come sono da altri commercianti o dagli oramai scaltri acquirenti, e lei che fa? Dilapida i suoi denari dando fiducia a lestofanti, compari ed imbonitori che non valgono un soldo. Le sue oramai “pentole” (cm 45×30) – che sarebbero semmai delle “ventole” – prodotte industrialmente a pantografo piatto risalgono al massimo negli anni 60 del 900, e varranno sui 120/160 euro in coppia, avendo oltretutto una doratura non “a foglia d’oro” ma “ad oro matto” (in gergo, l’alluminio colorato come il prezioso metallo) che è certamente e industrialmente di facile applicazione. Cosa dirle… di bastonare il suo amico-compare, di denunciare il grosso (o grasso grazie a lei ) antiquario, come consiglio di solito? E no! Stavolta no: penso che lei abbia tanti soldi da spendere senza curarsi di ciò che compra, e che alla fin fine sia anche giusto che degli imbroglioni possano vivere a spese dei ricchi gonzi. Ho solo una domanda: ma dove è andato ad informarsi sul “vero” valore delle due specchierine? Presso un altro “smorzo”, come in gergo si chiamano in provincia di Roma i venditori di materiali edili? Salute e saluti.
Signor Raffaele Moschella il quadro firmato dal pittore Giuseppe Ciavolino (1918-2011) è una bella tela del rispettabile artista di Torre del Greco (Na). Purtroppo, nel mercato le valutazioni delle sue opere non sono conseguenti all’arte espressa, e per questo dipinto (cm70x50) siamo nell’ordine dei 400/500 euro.
Quanto all’altra opera che manda in visione, è molto interessante, me ne comunichi le misure ed invii le immagini anche dei particolari e del retro.
Dottoressa Maria Messina dall’Università di Urbino: la sua maiolica iraniana (cm 29×39) sta a rappresentare, a mio avviso, l’ingresso di una nuova moglie nell’harem del sultano, e relativa accettazione con simbolico scambio di doni. Dalla visione del retro non propenderei per una vetusta età di fabbricazione, anche perché la maiolica non presenta sul davanti “craquelures” di sorta. Per dare un valore commerciale bisognerebbe esaminarla de visu , un valore che comunque non potrà essere certo rilevante.
Ma mancheranno mai i “capodimonte”?
Questa volta è il signor Giuseppe Aresu, nuovissimo lettore che non ha mai letto la mia rubrica, a chiedermi notizie sul marchio capodimonte inviando alla mia attenzione un vaso traforato degli anni 60-80 del Novecento (h 40cm). Anche a lui, la risposta che vado ripetendo da anni: la dizione e/o marchio afferente la manifattura “capodimonte” è stata e viene utilizzata da migliaia di fabbriche in tutto il mondo (negli ultimi anni anche in Cina) per definire un prodotto “sui tipi” dell’antica manifattura borbonica del Settecento che aveva sede appunto nel Regio Parco di Capodimonte. Questo vaso, probabilmente prodotto di una delle tante fabbriche vicentine di oggetti decorativi e bomboniere, riporta tra la corona la sigla GB che ho già riscontrato in altri oggetti ma che ad oggi non sono ancora riuscito a identificare meglio. Il suo valore come pezzo unicamente arredativo, se intonso, può essere tra i 150 e i 200 euro.
Similmente, rispondo al signor Giampaolo Q. che manda in visione due damine (h 30 cm) riportanti la famigerata e anonima N coronata. In questo caso, però, devo fare una precisazione: le due statuine, che nel modellato dei volti e delle mani non denotano maestria, presentano viceversa nelle trine e nei merletti degli abiti una tecnica virtuosa appannaggio di una prestigiosa manifattura. Potrebbero essere state eseguite da un solo modellatore specializzato in abiti ma meno abile nel realizzare fattezze anatomiche, oppure – com’è anche solito quando per creare un manufatto vengono impiegati più artigiani che si occupano di eseguire parti differenti di un unico oggetto – essere il frutto del lavoro di un personale meno preparato (per ciò che in questo caso riguarderebbe mani e volti). La datazione proponibile delle damine è metà 900, come luogo di produzione penserei alla Bavaria tedesca, che vantava eccellenze specifiche nella modellazione degli abiti, ma questo tanto per dare un’indicazione. Ciò che è certo, invece, è il valore economico che, per la particolarità detta, può assumersi tra i 400 e i 500 euro la coppia, ma questo solo in mancanza della benché minima lesione che deprezzerebbe le statuine sino al 70%.
Anche Lina Ravo possiede una porcellana industriale (cm 20×12) firmata G. Armani che riporta la sempre presente N coronata. Signora, lo scultore e coroplasta Giuseppe Armani (1935-2002) sin dagli anni 90 cedette i suoi modelli a tante manifatture del settore bomboniere, in più da decenni sono a decine le produzioni, neanche autorizzate, che propongono le sue opere (anche con cartellini fasulli allegati attestanti originalità, valore e quant’altro). In rete i prezzi sono alti ma non si vedono movimenti di vendita, come indicano bene i mercatini ove tali esemplari sono alienati al massimo sui 100 euro ai pochi acquirenti del genere.
E come sempre, un saluto a tutti e un abbraccio ai pochi.
Gennaio 2022
Auguri di buon 2022 a tutti i lettori de lagazzettadellantiquariato.it, ed in particolar modo agli appassionati della mia rubrica. Alcuni di loro mi seguono da trent’anni ed insieme a me sono invecchiati sopportando le mie considerazioni fuori luogo, le battute, e quant’altro ami abbinare alle mie consulenze. Un caloroso abbraccio a tutti.
Con il nuovo anno, invece di mitigare, peggiora sempre più il mio carattere. Sarà a causa dell’età, degli stupidi e di coloro che, pur non essendo stupidi, credono a dei cretini che ci spiegano che la terra è piatta, che il Covid non esiste, oppure sono seguaci dell’ignorante e infantile “gretathumberg” (pubblicizzata ed enfatizzata da un’informazione mediatica penosa) che indica ai potenti e alla scienza come salvare il pianeta… e così via dicendo. Il mio peggiorare, però, è colpa anche di chi – antiquario o meno – alla vista di una tazzina e di un piattino del 600-700 parla di migliaia di euro. E con ciò mi rivolgo proprio a lei signora E. Lu, che ancora dà retta a quella donnona sgargiata nei colori e nella testa, che da anni gravita nei mercati atteggiando una portentosa preparazione nel campo ceramico; a quell’asina che le ha valutato una tazzina con piattino, originale Sevres XVIII secolo, 1.200 euro, mentre può valerne solo 120/160, ed ai suoi emuli che continuano a sciorinare valutazioni senza sapere di cosa parlano. Dia un’occhiata in rete al catalogo d’asta Pandolfini dicembre 2021 (Cento tazzine da collezione), potrà ben vedere come i valori di stima siano “leggermente” più bassi e in linea con quello da me indicatole.
Signora Piera Pirovano, per risponderle in merito ai suoi oggetti di arte africana, non essendo io il perito adatto e ritenendo i due falli in bronzo (alti 180 cm) di una certa importanza, mi sono rivolto al valente collezionista e studioso Bruno Albertino di Torino, il quale ha risposto: “Trattasi di imitazioni di antichi bronzi del Regno del Benin”. Pertanto, il mio compito è solo quello di accennare al valore arredativo che direi potrebbe essere tra i 600 e i 1.200 euro; bisognerebbe saperne il peso e valutare la fusione per poter essere più precisi.
Il signor Maurizio Pancini invia due ceramiche. La prima è un cestello traforato che ricorda di primo impatto le ceramiche settecentesche “cineseggianti” della manifattura bolognese Rolandi e Finck, ma certamente con un decoro più rozzo e popolare abbinato ad una modesta modellazione; dovrebbe essere degli anni 50-60 del Novecento e non superare come valore gli 80 euro. La seconda è una tazza con piattino avente come marchio quello prestigioso della manifattura francese di Sevres; presenta, oltre alle tipiche L intrecciate, due CC divergenti (ad X) volute dall’allora sovrano Carlo X ad indicare un periodo compreso tra il 1824 ed il 1830, ma tali iniziali erano accompagnate o meno da un fiordaliso stilizzato, mentre nel suo esemplare ve ne sono due e ciò nei miei prontuari non risulta. Inoltre e soprattutto, a me pare che i decori del suo insieme non presentino quella grazia e quella levità espresse al tempo dalla famosa manifattura. Potrebbe trattarsi di riproduzione della fabbrica posteriore o di una copia… Non so. Ma stando a ciò che vedo il valore può essere di 120/150 euro.
Signor Giovanni Venturoli da Brescia, alla disamina delle sue maschere già mi ero accorto che presentavano sul retro dei tondini “zigrinati” da cantiere, da costruzione occidentale, e ciò mi aveva indotto verso un giudizio negativo. Ma comunque, non essendo un precipuo esperto di arte africana, mi sono rivolto ad uno dei collezionisti più validi in Italia, il dottor Bruno Albertino di Torino (abbiamo pubblicato alcuni reperti della sua estesa ed importante raccolta sulla rivista – allora cartacea – in occasione di un lungo e bell’articolo di Raffaella Tione nel Marzo 2017), il quale ha risposto: “Trattasi di riproduzioni moderne di maschere tradizionali delle popolazioni Ibo, Pende, Galoa, Lega”. E io aggiungo: i signori africani che per lavoro frequentano il nostro come gli altri Paesi, tendono, ed in parecchi, a rifilare questi “bidoncini”. Lei non è il primo e non sarà l’ultimo a cui è capitato! Naturalmente, il loro valore è solo arredativo e ornamentale: 20-30 euro a pezzo.
La signora Marina Mastronardi manda foto di una prestigiosa cassaforte austriaca Wertheim, modello Wien del 1881, con chiavi, ma arrugginita e nello stato attuale di non funzionamento. Potrebbe trattarsi di un semplice problema di ossidazione eliminabile con bagni di nafta e/o prodotti scrostanti, ma anche di un qualcosa che necessita dell’intervento di un esperto qualificato su molle di acciaio ed ingranaggi complicati, con tutte le doverose e costosissime spese. Direi tra i 500 e i 600 euro la sua valutazione così come si trova al momento.
La signora propone, inoltre, un mobiletto esagonale in copertura di paglia di Vienna, elaborato degli anni 50 del Novecento, valore 200-250, e un armadio tardo liberty degli anni 40 non valutabile se non tra i 100 e i 150 euro.
La signora Tania Colella porta alla mia attenzione quattro piatti decorati con vedute di luoghi di Napoli. Riportano scritto nel retro: “décor à la main” e una T e una C sovrapposte. A primo impatto mi viene in mente la manifattura di oreficeria e ceramica fondata nel capoluogo partenopeo nel 1862 da Alessandro Castellani (discendente di una famosa famiglia di orafi ed antiquari), il cui figlio ceramista Torquato Castellani (1846-1931), anch’egli operante in loco, usava per monogramma di fabbrica le proprie iniziali. Ma questa ipotesi di appartenenza è negata dal decoro in parte a rilievo realizzato con una tecnica “moderna” e dalla scritta a firma su ogni piatto da me non decifrata. Quindi, come oggetti arredativi, sui 200 euro tutti.
Il signor Andrea Chiurazzi da Milano ha svolto un’encomiabile ricerca su una tavoletta ad olio (cm 19×26) raffigurante San Filippo Neri. Egli, avvalendosi unicamente (purtroppo) delle informazioni tratte da internet, ipotizza che il suo piccolo quadro possa essere stato eseguito da Giovanni Maria Morandi (Firenze 1622 – Roma 1712) pittore fiorentino di nascita ma romano d’adozione, che operò nella capitale della Cristianità per tutta la sua lunga vita come grande ritrattista di papi, dell’Imperatore Leopoldo I e di tanti altri potenti personalità laiche e religiose. A riprova della sua indagine il lettore mi manda un’immagine per comparazione, e mi spiace dovergli dire che l’opera in suo possesso nulla ha a che fare con la pittura del notevole artista. Si tratta piuttosto di un ritratto da devozione popolare che non presenta crismi tali da potersi assegnare al Morandi né ad altri artisti di vaglia o a loro scuole. Posto che risalga al 700, il suo valore non può andare oltre i 300/500 euro, cornice in foglia oro compresa.
La signora A.M. amica di Pasquale Tricaro – valente restauratore di mobilia che saluto – da oltre dieci anni ancora insiste per ricevere il mio parere su un certo quadro, ed ogni tanto – per vedere se ho cambiato opinione in merito – me lo rinvia, cambiando le inquadrature. Signora, il suo quadro settecentesco era una crosta allora e tale è rimasta nel tempo nonostante lei sia devota della Madonnina di Medjugorje (sic). Rilevo che ha mantenuto negli anni un modo di scrivere abbastanza saccente e prosopopeico che la confina, oltretutto, tra le persone che non godono punto della mia simpatia, ma per rispetto dell’amico Tricaro, se lei crederà riscrivermi, continuerò a risponderle (naturalmente, sempre la stessa cosa).
Signora Elena Sala ricambiando gli auguri, ho da darle un suggerimento in merito a quegli astuti profittatori (e ne gravitano intorno al mondo degli orologi!) che le hanno detto che il suo “Longines” in oro anni 60-70 vale solo il suo peso in oro: li cacci via a pedate! Il suo esemplare, che sembra essere in ottime condizioni, ha – questo sì – valori di mercato altalenanti, ma comunque può collocarsi tra un minimo di 600 euro a un massimo di 1.200, dipende dalle condizioni e altro, tipo: esistenza di una ricevuta d’acquisto, scatola, ecc. Dal sito web della Maison Longines, che ha un archivio storico, gratuitamente, tramite il numero di serie impresso nel fondello, può chiedere con precisione l’anno di fabbricazione del suo modello. Su richiesta (alla voce: “richiedi un certificato di autenticità Longines”) e a pagamento (mi pare sui 100 euro) è possibile ricevere un’autentica, ma nel suo caso non ce n’è bisogno.
Signor Michelangelo, i suoi piatti decorativi hanno una storia nel marchio: Eschenbach (porcellane per casa ed alberghi) della casa bavarese Winterling AG (fondata nel 1907 a Roslau nel Fichtelgebirg in Baviera e fallita nel 2000). Una storia travagliata perché al fallimento del 2000 l’azienda è stata rilevata dalla Porzellan GmbH & CO. KG di Triptis (Turingia) fallita a sua volta nel 2004, e pervenuta infine al Gruppo Eschenbach Porzellan, sempre con sede a Triptis. Tale gruppo propone in ripetizione gli antichi modelli di catalogo. Ora la domanda è: i suoi piatti, che hanno un marchio usato dal 1945 a tutti gli anni 50, sono originali o sono una riproduzione degli anni 2000? Nel primo caso valgono sui 150 euro, nel secondo la metà.
Signor Enrico Manenti, ho preso visione del suo quadretto (cm 23×32) del pittore Antonio Manuel da Fonseca (1796-1890), artista al seguito del Re del Portogallo, valutato “all’epoca della vecchia lira” dal catalogo Bolaffi – che mi spiace dire non costituisce alcun riferimento e non ha alcun valore di rispondenza – sei milioni. Ai nostri giorni (e coi tempi che corrono poi) né il pittore né l’opera possono avere una stima che superi la semplice curiosità per un oggetto iconografico e datato. E così stando i fatti, sui 500/700 euro è il valore massimo, almeno qui in Italia.
Signor Roberto Sambo, lei manda in visione una riproduzione della “Coppa nuziale Barovier”, capolavoro dell’arte vetraria del Rinascimento (1470-80) esposta al Museo del Vetro di Murano. La tipologia, oramai da regalo di nozze, è riprodotta non solo dalla Barovier & Toso ma anche da altre vetrerie. Le misure delle coppe comunemente in vendita (in negozi e in aste) sono: 18 cm di altezza x 20 di diametro, mentre l’esemplare da lei propostomi – oltretutto correlato a una scritta non presente negli originali – misura cm 20×21. Le coppe in vendita vanno dagli 800 euro sino ai 1500: ma la sua? Chi l’ha prodotta e quando? E’ cosa da stabilire con costose analisi e non ne vale la pena, e ciò ad onta del cartellino pseudo certificato che l’accompagna e che nulla certifica giacché che per me ed altri non ha né può avere alcun valore di corrispondenza. Comunque lei potrà sempre venderla alle condizioni delle altre che non possono certo essere – essendo oramai riproduzioni seriali- superiori per qualità alla sua.
Signor Daniele Zanutti, sì, la sua sculturina in bronzo si rifà a modelli classici partenopei, ma il modellato ha uno svolto modernissimo e la scritta incisa “Amore” (da cui lei ipotizza “un amorino”) è a mio parere da riferirsi forse alla firma di Antonio Amore (1918-2010). L’artista, nato a Catania, soldato in Africa, dopo gli eventi bellici trascorse nel dopoguerra una decina d’anni a Roma dove si formò artisticamente per poi trasferirsi ad Oristano, in Sardegna, dove visse e operò per tutta la sua lunga vita.
Il bravo autore purtroppo non viene trattato nei canali addetti ed ha mercato collezionistico nella sola Sardegna. Il valore dell’esemplare in suo possesso è quello di un buon bronzetto, quindi non meno di 500 euro.
Signor Andrea Gandini, la sua statuina firmata (cm 34×18) non ha a mio avviso i canoni per poter essere assegnata al ceramista e pittore Giovanni Franceschelli detto Donatino da Celenza (1909-1958). L’artista operò come scultore nella modellazione di ritrattistica, nel religioso e nel monumentale. Non ho alcuna notizia per ciò che concerne il campo della figurazione di statuine e similari. In più nella figurina in suo possesso non noto canoni artistici di rilievo, e la stessa firma incisa non corrisponde. Nel collocarne la produzione alla metà del 900, le assegno un valore di 80/120 euro, se intonsa.
Nell’affrontare il quesito alla signora Vera Demina intendo al contempo rispondere anche al dottor Mino Paoli (oli di Edgardo Pinnone) e alla famiglia Picardo (quadretti con fiori di tale Giusy Incoronata).
Innanzitutto signora Vera, quando nel retro dei quadri trova stampate dichiarazioni di autenticità corredate da valutazioni di cataloghi tipo: Comandini – Bolaffi – Quadrato, ecc., deve prestare attenzione. Queste aziende inseriscono a pagamento nelle loro pagine le opere degli artisti trascrivendo le quotazioni dettate dagli stessi inserzionisti e dalle gallerie, si prestano a fuorvianti informazioni per l’acquirente, il quale crede di acquistare opere di nomi quotati e invece si può ritrovare con quadri che non valgono niente se non il piacere di averli. Nel suo caso, signora Vera, addirittura la sedicente scomparsa galleria d’arte il Cenacolo in Via Latilla n.10 a Napoli dichiara nel retro, con tanto di timbro e scarabocchio – falsamente e con imbroglio – che l’opera dalla stessa venduta (250 mila lire) si sarebbe rivalutata del 30% annuo! Per di più, i quadri inviati alla mia attenzione non sono neanche oli o tempere ma fotolito e serigrafie, cioè nulla di che. Si figuri che le opere realizzate in tali tecniche, a meno che non abbiano specifiche documentazioni allegate, non sono apprezzate sul mercato neanche se firmate da artisti di fama nazionale ed internazionale, figuriamoci se firmate dai “Ciaurro” o dai “Melani” – come si chiamano gli sconosciutissimi autori delle sue. Quindi, neanche parlerei di quotazioni ma, sono spiacente, solo di valori reali di grafiche che raggiungono poche decine di euro ognuna, utili a livello arredativo e piacendo simili cose.
Signor G.O. da Milano centro, esistono vari personaggi che gravitano nei mercatini dell’antico spacciandosi per me. L’“antonelloferrero” che ha conosciuto un mese fa al mercato dei Navigli non sono certo io, che manco dalla sua città da una decina d’anni. L’individuo in questione è un personaggio equivoco di basso spessore culturale ma fantasioso parolaio, si tinge variamente i capelli sporchi ed è mal vestito.
Lettori tutti! Vi invito ad ignorare o anzi meglio a chiamare affinché provveda, il più vicino canile municipale (se soggetto mancante di medaglietta e/o microchip) per prelevare chi nei mercatini o nelle manifestazioni attinenti l’antico in genere si dichiari essere il Ferrero esperto della Gazzetta dell’Antiquariato.
Signora Kanotosa, sinceramente non ho mai visto figure di Meissen alte 50 cm, ma se lei così dichiara… Il marchio è quello classico, ipotizzo primi decenni del 900 sino al 50. Senza alcun difetto e rottura, e in ragione delle misure desuete ed imponenti, il loro valore si aggira sui 2/3000 euro per la coppia.
Signora Elena Lalli Pan, non sono un esperto di arte cinese e tanto meno di quella specifica vascolare, però so con certezza che il dittatore e criminale Mao Tse-tung (milioni di persone uccise in vari modi e annichilimento di tutta la cultura e l’arte “imperiale” dell’antica Cina: un genocidio con roghi di libri e distruzione di tutte o quasi le opere d’ingegno, arte e artigianato ad opera delle Guardie Rosse) aveva decretato così tante distruzioni di manufatti che nei dintorni di Pechino – e per citare solo un caso – vi sono delle colline ricoperte di terra create da tonnellate di reperti ceramici rotti e dove ora scavano per recuperarle in parte (con cantieri chiusi e nella segretezza degli apparati comunisti di governo). Inoltre sono altrettanto informato del fatto che con l’avvento della Repubblica maoista, ed in un pentimento tardivo, si organizzarono delle fabbriche di Stato per copiare con antiche tecniche i vecchi manufatti d’arte e artigianato distrutti e richiesti in tutto il mondo da sempre. Questo per dirle che solo grandi esperti possono accertare la datazione dei pezzi, soprattutto se di alta dinastia, particolarità e bellezza come i suoi che, se autentici, varrebbero cifre iperboliche. Le consiglio, onde non buttare via soldi, di rivolgersi a delle case d’asta di livello come Sotheby’s, Christie’s o Dorotheum che hanno esperti e clientela giusta. E a tal proposito pubblico una ciotola smaltata verde come la sua, Periodo Song (meridionale), frammentata e restaurata (frutto sicuro dei recuperi posteriori alle distruzioni maoiste). Proposta all’asta Massol presso l’Hotel Drouot di Parigi nel 2012, questa ceramica Manifattura Xiu Nei Si stimata 2.000-2.200 euro è stata venduta, mi pare, intorno ai 5000, e viste le condizioni i cui è, si figuri a che cifra può arrivare una ciotola intatta ed egualmente autentica.
E parlando della necessità di essere un esperto, risponderò al professor Sante Rossi, perché pur non essendo un perito precipuo della ceramica tedesca del XIX e XX secolo (con il termine voglio indicare anche la porcellana e l’arte coroplastica tutta) posso affermare che il campo sia tra i miei maggiori di studio, uno di quelli nei quali ritengo di avere una solida preparazione; una conoscenza tale, purtroppo, da poter confutare in toto i suoi giudizi ed apprezzamenti in merito alla cosiddetta tipologia di Neundorf (o Porzellan Manifacture Neundorf). In effetti, non si tratta di una fabbrica ma di una società di importazione, la Antik-2000 GmbH della città bavarese di Waging Am See, che aveva “quattro negozi di fabbrica”, degli outlet in realtà, dove vendeva articoli vari di artigianato ed arte di basso costo importati variamente dai paesi asiatici. Col nome Neundorf operavano anche altre società in Belgio e nei Paesi Bassi, alienando dai mobili decorati ai dipinti alle ceramiche. Quindi, riassumendo e venendo al quesito: le ceramiche da lei collezionate, professor Santi, non provengono da una fabbrica singola, né tanto meno da una tedesca, sono manufatti asiatici con marchi fatti a piacimento e/o su ordinazione che, conservando la dizione Neundorf (più o meno, a volte addirittura storpiata nelle lettere di composizione) utilizzavano, abbinandole, parti di marchi famosi come Sevres, Meissen, Ludwig “condite”, a volte, con diciture come “Porzellan Original Germany”, e sui cui lei – mi perdoni – dà fantasiose ed esilaranti spiegazioni. Pubblico solo alcuni dei marchi di tale tipologia, vedrà che in parte corrispondono a quelli dei suoi reperti, e aggiungo che ne esisteranno sicuramente altre decine di simili, e che comunque i miei studi in proposito, come quelli di altri, non potranno mai essere esaustivi riguardo a tali tipologie.
Dottor Michele Zampelli la ringrazio innanzitutto per l’elogio. Venendo alla sua specchiera scolpita in legno e foglia d’oro (m 1,95×1,25), dalle esaurienti foto del davanti e del retro evinco che unisce nella cimasa e ai lati un decoro baroccheggiante di fine Settecento ad una cornice classica di gusto e fattura più recente, primi decenni-metà Ottocento, in cui è racchiuso uno specchio al mercurio confacente. Quindi si tratta di un bel matrimonio, frutto di una produzione provinciale ottocentesca e/o realizzata da vecchie maestranze che usavano rimanenze, parti rimaste in bottega di vecchie cornici, su cui costruivano poi altri elementi. In ogni caso un soddisfacente lavoro di artigianalità italica. E siamo, per mia valutazione, sui 2.000/2.500 euro (essendo oramai vere rarità), ma nell’attuale mercato al profondo ribasso vale non più della metà e anche meno, così nello stato espostomi.
Signora Rosa Milella il suo cavallo in ceramica (cm 33x29x10,5) firmato Gambone (Bruno Gambone 1936 – 26 settembre 2021) grande ceramista di Vietri sul Mare, subisce da anni ampie e variegate valutazioni nel mercato. E proprio nella tipologia del suo pezzo, che è degli anni 70, la misura standard di 19 cm di altezza nelle aste va dai 100 ai 400 euro, il suo esemplare di quasi il doppio nelle sue misure, è pochissimo conosciuto, e mi ricordo vagamente una vendita d’asta di anni fa intorno ai 1.200 euro. Ma… stranamente, la sua ceramica è firmata solo Gambone e non Bruno Gambone come usava l’artista. Non so cosa altro dirle se non che comunque – come tutto oramai – nel campo antiquariale collezionistico è di difficilissima vendita.
Signor Jacopo Nannoni, il suo quadro (cm 45×60) firmato e datato 1875 da autore a me e ai miei testi sconosciuto: A. Testi, raffigura un passionista – prelato dell’Ordine della Congregazione della Passione di Gesù Cristo fondata nel 1720. Il dipinto non presenta i canoni dell’opera d’arte di pregio, e dunque compresa la cornice in pastiglia può aspirare ad una valutazione di 250-300 euro, per arredamento sommario.
Signora Rita Pareschi, le sue tavolette con putti (cm 31×24 circa), non possono essere ascritte al Francois Boucher (1703-1770) o a sua scuola o ambito, un pittore realista classico con svolti pittorici di sfondo conseguenti. Piuttosto mi ricordano alcune opere nella cerchia di Jean-Jacques Bachelier (1724-1806) ma anche qui con particolari, diciamo, più semplici e stilemi di non alta levatura. Si parla di opere, bozzetti, prodotti anche nell’800 e financo nel 900, come anche si evince dalle cornici a foglia di modesto spessore (ma queste potrebbero essere state aggiunte). V’è infatti in ambedue le tavole una succinta descrizione pittorica e un abbandono alle macchie e al non compiuto tipici delle opere create per fare da fondali a scene teatrali oppure essere venduti come affreschi decorativi sui tipi “francese del XVIII secolo” in aste, in negozi e altrove. Mi intenda bene però, io sono un perito che visiona da foto inviatemi (nel suo caso anche brutte) e non ho quindi gli strumenti necessari alla disamina puntuale: la visione della tela, del telaio, delle cornici, dei colori e loro stesura ed altro. Il mio è un parere a distanza e vale appunto come tale. Collocandole come opere arredative di buon gusto e dovendone dare una stima, indicherei – ai sensi di quanto scritto e quanto dettato dal mercato per opere del genere – sugli 800/1.000 euro la coppia.
Il signor Carmine Buia di Perugia vorrebbe vendere ad un buon amico una litografia offset in acetato trasparente su cartoncino (cm 69×87) eseguita dalla Plura edizioni nel 1971 per l’artista Mario Schifano (1934-1988) in 500 esemplari numerati e firmati a mano dall’autore. Si tratta di una serie di fotogrammi incorniciati con la scritta traversale “Intitolata Nancy R.”, omaggio del pittore raffigurante in varie pose la principessa artista e fotografa Nancy de Charbonnier Ruspoli, sua amica e consulente. Mi si chiede di indicarne un prezzo equo e al di là delle quotazioni che si possano raccogliere nel mercato della rete. Ebbene, il valore della litografia, signor Carmine, si attesta nel mercato odierno tra i 400 e i 1.000 euro, ma è di difficile vendita. Ritengo che 500 euro siano un corretto prezzo di alienazione quando, come nel suo caso, l’opera sia corredata da numero di tiratura (126), presenti sul retro il timbro della editrice e sia fornita di ricevuta della Galleria ove fu comprata a 500 mila lire nel 1974.
E come sempre, un saluto a tutti e un abbraccio ai pochi.