L’Esperto

 


Rubrica di expertise gratuite

Autore: prof. Antonello Ferrero
In collaborazione con il Museo del Collezionista d’Arte – Metodi Scientifici d’accertamento, Milano


Hai ereditato o acquistato un oggetto e vuoi sapere quanto vale? Inviaci una richiesta di expertise gratuita!
• E-mail: info@lagazzettadellantiquariato.it
La richiesta di expertise deve essere completa di: foto dettagliate dell’oggetto; misure precise; firme e marchi (ove presenti).
Si dichiara che i pareri esposti nella rubrica sono espressi dallo scrivente in ottemperanza della Legge 14 Gennaio 2013 n° 4 in materia di professioni non organizzate in Ordini o Collegi.


Gentili lettori, stante il crescente numero di expertise che ci pervengono quotidianamente, vi informiamo che tutte le richieste saranno soddisfatte ma che potranno passare anche due/tre mesi dal vostro invio del materiale.
Le risposte, a meno di casi particolari – ritenuti tali dal prof. Antonello Ferrero – verranno date esclusivamente attraverso la rubrica “L’Esperto” pubblicata su www.lagazzettadellantiquariato.it. Pertanto, per poter rimanere aggiornati circa l’uscita periodica di nuove expertise, vi consigliamo l’iscrizione alla nostra newsletter gratuita.


Non so come, si è sparsa la voce che il perito sia un veggente. Non è vero! Per valutazioni corrette servono più foto degli oggetti: fronte, retro, sotto, interni. Inoltre non risponderò più a quesiti su oggetti, quadri, mobili, mancanti di misure. A.F.


Marzo 2024


Ed ecco dei miei diletti lettori: Rosaria e Salvatore Capuano che, collezionisti, sono tra i pochi giramondo rimasti sempre alla ricerca del bello. Ad Innsbruck, in un mercatino, hanno trovato un bel vaso (h 42 cm) sui tipi di Sevres, il cui marchio, apocrifo, presenta le 2 C di Carlo X dei primi decenni dell’Ottocento e la lettera D o A della metà del Settecento; in più non è coadiuvato nell’ordine delle dette lettere. Il suo valore è sui 250 euro. Inoltre hanno acquistato una fanciulla in bisquit (h 36 cm) della quale non mi appaiono chiare le scritte impresse. Ad occhio, potrebbe trattarsi di quelle produzioni tedesche della Baviera o della Turingia, ma… ma! Valore sui 350 euro. Un abbraccio.


La signora Anna Ostuni presenta alla mia attenzione un mobile scrittoio in radica di noce a ribalta che, canonizzando il mobile veneto-veronese del ‘700 negli stilemi, si può classificare a cavallo tra ‘800 e ‘900 per piallacci, serrature e cassetti. Purtroppo, da tali mobili che venti anni fa valevano intorno agli 8 milioni di vecchie lire, oggigiorno possiamo ricavare tra i 1.000 e i 2.000 euro, secondo l’acquirente.


Signora Enza, mi scuserà per il ritardo nel rispondere al suo quesito ma le innumerevoli richieste mi lasciano un po’ indaffarato, alcune di esse sono bisognose di ricerche che, pur appassionandomi, mi limitano il tempo da dedicare ad altre. La sua tela (cm 80×104) di scuola fiorentina o dell’Italia centrale, pur non essendo di somma mano ha un bel taglio e composizione non scevra da un colorismo soave. La datazione, non possibile di fronte ad una rifoderatura e laccatura postuma nonché da sole foto, potrebbe anche risalire a ridosso dei secoli XVI-XVII. Il valore a mio avviso potrebbe andare dai 5.000 euro in su, anche per le dimensioni arredative non ultime.


Signor Luca Maglio, la sua icona bulgara aperta a trittico (cm 29,5×37,5) non può essere determinata nella sua vetustà da sole foto. Comunque, non appare di grande mano e soprattutto sembrerebbe posteriore agli anni 50 del ‘900. Valore: tra i 250 ed i 450 euro.


Signor Franco Papi a me – e ai galleristi che ho consultato – non risultano riproduzioni di Guttuso su maioliche (cm 80×100) né tali da lui autorizzate. Quindi, non so che dirle.
Riguardo il San Giovanni (cm 55×78) suppostamente del ‘700, lei invia un’unica foto frontale: che cosa posso valutare? Il quadro è inoltre in non ottime condizioni. Valore: tra i 600 e gli 800 euro, a occhio.


Signora Patrizia Capolongo, il suo quadretto (cm 23×18) a firma Rosai (Ottone Rosai, 1895 – 1957), a mio avviso e buona conoscenza dell’opera del Maestro, è un falso, e nonostante i timbri – sconosciuti e apocrifi – impressi nel retro. Tenderei così a non farle sprecare denaro indicandole specialisti (tutti a pagamento).


Anche il signor Marco Palladinelli manda foto di due opere del pittore Ottone Rosai comprate da un antiquario anni fa dal proprio genitore. Non invia misure, ma dato che le reputo ambedue delle copie, non sono necessarie. E ripeto che il mio giudizio si avvale della buona conoscenza sia dell’opera pittorica del Maestro del ‘900 sia delle tele usate sia di altri particolari come la scrittura e la firma.


Signora Rosa Mannara, il suo quadretto (cm 30×24,5) firmato Zundel vìola, non se n’abbia a male, l’ars visiva nella sua precipuità. Spero lo distrugga immanentemente.


Signor Aldo Ricci, anche per lei, non se ne abbia assolutamente a dolere, vale la “stessissima” risposta data alla lettrice signora Rosa.


La signora Marilyn Garcia manda in visione un quadro (cm 39×30) del 1983 a firma sconosciuta Zanacchi. Una natura morta con l’arte espressa anch’essa deceduta. Mi spiace: nessun valore.


La signora Federica Mariani chiede il mio parere circa alcuni oggetti frutto di uno “sgombero” ereditario. Iniziamo: le macchine da scrivere Remington anni ’60 con custodia, come quella presentatami, le offrono sul web a 200 euro e oltre, nei mercatini a 60/80 al massimo; i telefoni anni 70-90 sempre nei mercatini e nei negozi dell’usato, stanno sui 20 euro cadauno; le interessanti bottiglie di Barolo-Borgogno del 1947 invece, pur avendo le etichette non proprio intonse, penso possano spuntare sui 250 euro cadauna.


La signora Sandra Cossu manda in visione una tela (cm 37×48 circa) in cattive condizioni raffigurante Santa Lucia vergine (283-304) martirizzata dalle leggi romane e uccisa pugnalata alla gola (jugulatio). Solo dopo il XV secolo – non avvallata né da fonti relate né da documentazioni – iniziò la narrazione che le avessero strappato gli occhi o che se li fosse lei stessa estratti per non vedere le oscenità presentatele nel martirio. Da qui l’attributo dei bulbi oculari sul piatto aggiunto dall’iconografia popolare e l’indicazione di Santa protettrice della vista, ma molto semplicemente ciò fu dovuto all’etimologia latina del suo nome Lux (luce). Per tornare al quadro di mano popolare e probabilmente prodotto tra ‘800 e ‘900, penso gli si possa accordare una valutazione, nello stato attuale, di 250/300 euro.


Il signor Molin Pradel, che ringrazio per le belle parole rivoltemi, mi sottopone un quadro (cm 36×48) di genere popolare e di scuola fiamminga del XVIII secolo. Purtroppo il suo valore, non essendo l’opera di vasto respiro artistico, non può andare oltre i 600/800 euro. Ideale da proporre ad un dentista.


Signora Giovanna, innanzitutto la ringrazio per la definizione di “mitico” (eh… l’età è l’età!), e poi le rispondo in merito alle affezionate tazzine della Wedgwood di metà Ottocento. Penso che l’appassionato antiquario e collezionista cui si è rivolta abbia ragione: troppe le incongruenze sui marchi e, come lui dice, inammissibili per la famosa capostipite manifattura inglese di terraglie (tra l’altro ad imitazione di quelle orientali e Compagnia delle Indie associate) che ci teneva ad esporre e senza tema di inganno il proprio marchio. Come “imitatrici” del marchio mi viene in mente la manifattura italiana Pera, ma anche le prestigiose Sevres e Meissen hanno addirittura spacciato le proprie produzioni, alcune stampando lo stemma a leone ed unicorno per farle credere inglesi e anche copiando le decalcomanie proprie della Wedgwood, alcune adottandone pure il nome come potrebbe essere nel caso delle sue tazzine.


Signor Augusto Vagelli, la sua aquila (cm 37×40) reperita al mercato di Arezzo è scolpita in legno e dorata con stilemi medioevali, ma io credo sia del ‘700. Nella simbologia religiosa della Chiesa cattolica l’aquila indica il trionfo del bene sul male, la giovinezza eterna in Dio, ed inoltre è simbolo precipuo di San Giovanni evangelista. Il valore dell’oggetto potrebbe aggirarsi sui 600 euro, sia pur avulso da appartenenze, informazioni specifiche e fuori dal suo contesto originale.
In merito al suo secondo quesito che riguarda una “croce pisana” scolpita in pietra che più che “serena”, come lei scrive, mi sembra “arenaria”, devo dirle che senza patine e narrazione del modo in cui le è giunta, non mi entusiasma punto. Naturalmente il mio è giudizio da scarna foto e sommario, e non mi consente peraltro di poterla valutare.


Signor Stefano Fanesi, le comunico – e da oltre trentanni lo ripeto – che la dizione ed i marchi “capodimonte” sono da due secoli un’invenzione commerciale. Oramai sia il nome sia il marchio sono usati persino in Cina. La sua statuina firmata Caggiari è, ad esempio, di fabbrica vicentina, e naturalmente nulla ha a che fare con la Real Fabbrica Ferdinandea napoletana di Capodimonte e suoi posteriori contesti. Può valere al massimo 70 euro e a tanto in rete le offrono, a parte certi profani ottenebrati che invece non hanno riserbo e illusoriamente chiedono cifre di centinaia di euro. L’oggetto donatole come regalo di nozze sicuramente fu pagato allora fior di quattrini, ma purtroppo fallacemente.
L’altro suo quesito riguarda un’opera di Alessandra Casaccia (senza misure: ma si può?). Non sapendo chi fosse, mi ha costretto a sommaria ricerca dalla quale ho appurato che fu una cantante perita in disgrazia aerea, e già! …Ma l’opera regalatale dalla stessa è una litografia con tiratura, poi, alta (90/200)! La tenga pure come ricordo, quello purtroppo vale.


Il signor Silvano Gori invia foto di un’opera (cm 40×50) che pensa essere attribuibile ad Amerigo Bartoli Natinguerra (1890-1971), valente pittore umbro, ma ne io sono un po’ meno convinto, e per lo svolto del vaso e per la firma. Comunque anche fosse, non è tra i soggetti prediletti dai collezionisti e non presenta quel pathos proprio dell’artista in questione. A mio avviso quindi, 250 euro per una mera “attribuzione”.


Signor Nicola Laterza, le rispondo in questa rubrica per “educare”, se vogliamo, i lettori in merito agli acquisti di opere e riproduzioni d’arte prodotte su lastre o pellicole d’argento e vendute con enfasi come oggetti di valore. In realtà esse non valgono nulla, assolutamente.


La signora Sonia da Udine mi chiede di valutare un bassorilievo in marmo venato di Carrara (cm 35×46 spessore 2 cm). Signora, il fregio non ha patine di vetustà, e il basso spessore lo esclude da un lavoro artigianale a “mazzetta e scalpello”. Si tratta di un prodotto pantografato da macchina e ha un valore tra gli 80 ed i 120 euro.


Signor C.P., la sua alzata in porcellana (senza misure!) è stata prodotta dalla Hutschenreuther di Arzberg – azienda fondata nel 1814 nella Baviera tedesca e con innumerevoli cambi e modificazioni, acquisizioni – negli anni 50-60 del ‘900. A mio avviso il suo valore è di 80/120 euro, anche in considerazione del fatto che collezionisticamente il marchio impresso è di difficile reperimento.


Ultima curiosità

La signora Serena pensa che io possa sapere tutto. E fortunatamente per lei e per la sua curiosità so un po’ di tutto. E soprattutto posso risponderle che la sua “piastra” metallica ritrovata in spiaggia era abbinata ad un manufatto in cemento armato (probabilmente un palo per l’elettricità) e che è infatti della CAET (Cementi Armati in Elementi Tubolari) di Santa Teresa Riva (Me), azienda fallita il 12-2-2020.


E come sempre, un saluto a tutti un abbraccio ai pochi!



Febbraio 2024


Signora Cristina, il suo vasetto non mi parrebbe liberty né tanto meno di Albisola. Lo ascriverei ad un decoratore che dagli anni 30 del ‘900 firmava i suoi pezzi TM, ovvero Moreno Toscani di Montopoli (PI). Ma questa è una mia supposizione poiché non ho altre notizie (freccia aggiunta compresa). Metterò nel mio archivio il dilemma.


Il signor Francesco Nocera manda in visione una zuppiera tedesca del 1942 (altezza 18 cm, diametro 23 cm).
Propedeuticamente, un po’ di storia del marchio. La Porzellanmanufaktur Mehlhorn, azienda fondata nel 1869 a Eisenberg nella Turingia tedesca con trenta dipendenti, si specializzò nei servizi da caffè e tè e successivamente nella ristorazione. La manifattura copiava il famoso motivo di Meissen “Zwiebelmuster” (cipolla blu) molto di moda in quel periodo e ciò grazie alla direzione del socio occulto Jager, che però per divergenze abbandonò l’azienda nel 1881. Rimasto solo il Melhorn vendette a certo Muhlenfeld che si riunì con Wilhelm Jager nel 1911. Dopo pochi anni Jager portò la fabbrica a circa cento operai con enorme successo.
Negli anni 30 divennero proprietari Oscar Singer e Max Schiller che mantennero nel marchio il nome Jager, sinonimo di ottimi prodotti. Nel 1956 la ditta si trasformò e nel 1960 si unì con la Porzellanfabrik FA Reinecke che continuò a produrre sino alla chiusura nel 1979.
E veniamo alla sua zuppiera, signor Francesco, che porta inserito nel marchio il nome della città, dell’ideatore della fabbrica, dell’anno, e insieme il simbolo della svastica dello stato nazista imperante e la M che sta a significare che fu fabbricata per la Marina tedesca da guerra. Ma dopo aver sviscerato i miei saperi sulla coroplastica tedesca le debbo purtroppo comunicare che la sua zuppiera “rincollata” e mancante di coperchio non può valere che poche decine di euro e non so a chi possa interessare. Fosse nella sua interezza, potrebbe valere, per collezionismo, sui 400/500 euro.


Il signor Sebastiano Berardinelli presenta alla mia attenzione un busto di fanciulla in bronzo (H 30 cm, peso 5,35 Kg), marcato dalle prestigiose officine Collas. Achille Collas (1795-1859) fu il poliedrico ingegnere e incisore francese che inventò un pantografo speciale capace di riprodurre sculture in qualsiasi materiale (una specie di stampante 3D attuale). Si può ben dire che egli abbia trasformato specialmente l’industria del bronzo e che del suo sistema usufruirono migliaia di artisti. La sua azienda con oltre 600 operai chiuse nel 1954. Il bronzo del lettore, stando alle brutte foto inviate, è uno stereotipo senza patina e senza leggiadria. Il suo unico valore sta appunto nell’essere una copia della prestigiosa ditta: 500 euro.


La signora Claudia Chiozzotto è in possesso un meraviglioso servizio della Reinhold Schlegelmilch (RS) fondata nel 1892 a Tillowuitz (Slesia Prussia ora Polonia). Composto da 132 pezzi di una finezza e bellezza unica (ne conosco bene per aver avuto alcuni pezzi e proprio della medesima tipologia di quelli della lettrice), l’insieme apparteneva ai suoi genitori che lo avevano avuto in dono in occasione del loro matrimonio nel 1930 (ed infatti il marchio impresso è quello adoperato dalla ditta dal 1916 al 1945). Devo dirle, signora Claudia, e a malincuore, che oramai tali servizi non sono più richiesti da alcuno se non a prezzi che ci comprerebbe quelli cinesi di un certo garbo. Ma io, nonostante ciò, non posso che valutare il suo splendore a non meno di 5000 euro, poi faccia lei.


E sempre dalla meravigliosa Quartu Sant’Elena tra mari e monti (ne esorto la visita a chi si rechi in Sardegna), il collezionista Roberto Desogus manda in visione le sue scoperte coroplastiche.
Prima di rispondergli però, desuetamente, voglio rivolgermi a sua moglie che non conosco ma che so paziente e diligente (d’altronde con gli ammalati d’arte e del bello lo si è per forza). Signora, mi permetta di dirle che questo mondo ha ragione d’esistere in mezzo a guerre, egoismi, ipocrisie e quant’altro viviamo solo perché esistono uomini come suo marito che danno vita ed esistenza al passato e lo coltivano nella sua trascorsa bellezza non cessando mai di farlo, oltre poi onorandomi della loro conoscenza e del loro plauso.
E detto ciò, Roberto: quel piatto derutese moderno e falso marcato Ginori (che non ha mai prodotto simili cose) può mai essere accostato a Gio Ponti? …Da regalare alla parrocchia.
E parliamo di cose serie e cioè dei vasi delle Mazzotti. Una breve storia della vita artigianale, artistica e familiare: Vittoria Mazzotti (Albisola 1907-1985), figlia del grande ceramista Giuseppe che l’avvia insieme ai fratelli Tullio e Torido all’arte ceramica, lavora insieme a loro nei locali di via Matteotti sede della M.G.A – Fabbrica di ceramiche d’arte tradizionali e moderne Mazzotti Giuseppe Albisola – sino al 1959 (per inciso sottolineo che il capostipite, creatore di ceramiche meravigliose – a trovarle! – lavorò attivamente con i Futuristi e certamente fu sempre artista di livello molto superiore ai pur bravi figli).
Il primo gennaio del 1960, a causa di continue liti, Vittoria si stacca dal padre rigoroso e fumantino detto Bausin (che abbaia), si trasferisce con il fratello nei locali di Via Aurelia sempre in Albisola e insieme al marito fornaciaro e lustratore Mariano Baldantonio, alla madre Celestina e alla figlia Esa fonda la “VMA” (Vittoria Mazzotti Albisola), marchio che con la variante “VM Albisola” rimane invariato sino al 1984. Nel 1985 la ragione sociale passa alla figlia Esa e al marito pittore Rinaldo Rossello che cambia marchio in “Ceramiche Mazzotti Esa” a cui in seguito si unirà il figlio Giovanni Rossello. Nella manifattura lavoreranno fissi anche i ceramisti Giacomo Raimondi, Pina Olivero e la decoratrice Rita Saglietto (poi riconosciuta pittrice) che, frequentando Parigi e i grandi artisti, fa da trait-d’union tra l’ambiente artistico d’Oltralpe e le Mazzotti.
I vasi recuperati dal solerte Roberto, dai 23 ai 27 cm di altezza e variamente marcati, a mio avviso possono valere: sui 500 euro la coppia eguale e 150/200 euro cadauno gli altri, anche come da quotazioni di case d’asta.
A nuove cose.


L’ottimo scrittore e genealogista Alberto Lubelli Prasca, che conosco di fama per aver scritto dei libri specialistici sul patriziato cuneense (vengo da una linea secondaria dei Ferrero d’Ormea), invia in visione una bella tela ottocentesca (cm 50×75, cm 66×92 con cornice) che potrebbe provenire, mi scrive, dalla bisnonna svizzera Leumann. In effetti, e per i toni, e per la delicatezza ordinata di acque, alberi e figure, l’opera mi indica proprio una mano svizzera. Non essendo firmata e di composizione decorativa, essa non può avere una valutazione che superi i 1.000 euro. Professor Alberto, a ben nuovamente leggerla.


Quadri e pseudo quadri

Si è sparsa la voce che io sia un grande conoscitore di quadri di arte antica e posteriore al secolo XVIII. Naturalmente, non è vero. Certamente avendo magari molto studiato, molto visto, e avendo conosciuto i più grandi critici d’arte del mondo, da Briganti a Marini, da Caradente a Zeri con il quale fui in frequente contatto, non amico (che suo unico amico vero fu il dott. Salvatore Vicario di Fonte Nuova, tra l’altro suo medico – mi diceva – inascoltato). La mia competenza sta magari nel saper dire “cosa non è” piuttosto che certificare un’opera su cui hanno scritto, discusso e discettato molto meglio di me eminenti critici e storici. E ciò, per introdurre un bel quadro del signor Antonio Corrao il quale, senza preamboli, scrive di averlo avuto in dono e afferma che il dipinto è stato attribuito a Luca Ferrari di Reggio Emilia (1605-1654). Ma attribuito da chi, signor Antonio?… Perché la sua raffigurata “Giuditta con la testa di Oloferne” (cm 123×100), di già prodotta dal Maestro e attualmente presente nel Museo Civico di Modena, non ha nulla a che fare col suo quadro, e per dirgliela tutta, non ha nulla a che fare con l’opera intera del pittore emiliano intessuta di un dinamismo soave che certo manca alla sua scollacciata e statica dama. In più, dalle modeste e scarne foto, mi pare che il retro della tela sia un prodotto otto-novecentesco. Che altro dirle se non che i quadri – repetita juvant – non sono patate e che avrebbero bisogno (come i mobili e gli altri oggetti complessi) del supporto di molte e variegate foto per essere valutati, soprattutto se da uno che se ne sta bello seduto, o in piedi che sia, a leggere e guardare i vostri quesiti da sola immagine?


Il fedele lettore Marco Maggioni ha finalmente svolto l’arcano circa l’appartenenza o meno al Carlo Dolci di una sua “ Vergine annunciata” che ha impegnato me pure in variegate e inconcludenti ricerche. Togliendo il rintelo, infatti, è apparsa la firma del vero autore: Michele Cortazzi (1800-1865), ottimo copista di metà Ottocento. Il lettore, in merito ad una commissionata scientifica perizia che lasciava spazio ad una copia autografa del Dolci, riflette: ma non è che non hanno voluto vedere il nome del copista così da farmi digerire meglio la costosa expertise fatta? …E certo! signor Marco, poiché se il team incaricato fosse stato composto da una scarsa compagine allora ci poteva star tutto, ma per mia conoscenza e di altri, quelli a cui lei si è rivolto sono considerati primari professionisti, ed anche il lavoro svolto lo dimostra. Quindi, che non abbiano sottoposto il quadro a radiografie che potevano e facilmente “leggere” l’autore sulla prima tela, beh! …mi pare proprio difficile.


Signor Luigi Flisi, purtroppo i sui quadri (cm 50×70) sono stati eseguiti negli anni 70-90 del ‘900 da “mestieranti da piazza” di tal genere pittorico. Non hanno alcun pregio se non come pezzi decorativi dal modesto valore di 50/100 euro cadauno e sono di difficile vendita.


Il signor Daniele Postiglione, fedele alla rubrica e al bello, presenta alla mia attenzione un quadro (cm 50×60) in tela di canapa, opera che pur di non eccelsa fattura, come lui stesso dichiara, pensa possa avere un qualche valore significativo in ragione della sua vetustà. In effetti, posta in cornice adatta e restaurata, si potrebbe pensare a quelle cose ornamentali e arredative adatte, che so, per ambienti non principali come stanzette, bagni o corridoi, ma poi, però, il suo valore sarebbe comunque di un paio di centinaia di euro. Signor Daniele, le conviene rimetterla in sesto?


Il signor Elio Barbati, altro affezionato lettore, invia immagini di due bei quadri dei quali, però, non produce foto sufficienti a potermi esprimere circa la vetustà. Pertanto, attesa l’assenza, collocherei le opere in ambito ottocentesco: la prima (cm 76×96,5) molto bella e con un verismo di pregio, raffigurando purtroppo un canonico che mostra un santo eremita non è che possa avere molta collocazione sul mercato. Comunque a mio avviso ne determinerei il valore intorno ai 1.500 euro per l’eccellente mano. La dama (cm 58×72), più sommessa e nei toni e nell’esecuzione, è comunque passabile “per antenata propria” come si conviene a chi acquista queste opere, e può spuntare sui 1.200 euro.


Signora Elena Cargnello: cavalli cinesi e incisione sono cose di nessun valore; della dama con cavalieri su lastra di metallo va cercato l’autore per bastonarlo di santa ragione. Ma… ma il quadro firmato M. Kastner 1873, pittore di cui ho solo notizia di un’altra opera rinvenuta a Roma ove egli operò per alcuni anni, è una bellissima natura morta che per la grandezza (cm 106×84) non può che valere, e nello stato, tra i 1.200 ed i 1.600 euro.


Signor Francesco Scarpa il suo quadro raffigurante la “Sacra famiglia” (cm 13×21, 25×33 con cornice) presenta una mano popolare e di scarno livello artistico, ma nonostante ciò ha un interessante svolto pittorico di rappresentazione; bello l’abbinamento con la cornice in pastiglia a due ordini, novecentesca anch’essa. Purtroppo, e cornice, e condizioni del dipinto (dalle scarne foto inviate non si evince nemmeno se pittura su carta o tela) non sono ottimali e così com’è penso valga sui 250 euro in virtù, come detto, dell’abbinamento con la cornice e di quel tocco scenografico inusuale.


Il signor Federico Mat manda foto di una serigrafia “Mickey Mouse” di Andy Warhol, edita dal CMOA (Carnegie Museum of Art) in Pennsylvania (USA). Non indica le misure, e vabbè, e mi chiede solo se sia autentica. Ebbene, sul retro l’opera è siglata e timbrata con la garanzia della Gilibert di Torino, Galleria libraria e d’arte tra le più conosciute e serie d’Italia. Quindi, rispondo: certamente sì. La tiratura è alta 367-2004, e ne sono state fatte molteplici riproduzioni (come per tutte le opere di Warhol che quindi sconsiglio vivamente di acquistare) dalla Fondazione e da altri istituti che ne avevano e ne hanno diritti. Il valore dell’opera è infatti sui 100 euro, come il lettore potrà determinare anche sbirciando in rete e districandosi tra altre simili riproduzioni ma con altre edizioni e/o tirature che sono e solo un grande mondiale bluff.


Riappare “capodimonte”

Con lei, signor Ferruccio Martinelli, ritorno a parlarne, ed anche a lei ripeto che la denominazione “capodimonte” non vale nulla e viene usata da migliaia di fabbriche in tutto il mondo. Se vuole ragguagli vada a spulciare nella rubrica “L’Esperto” dei precedenti mesi ed anni quanto già pubblicato in merito. E veniamo al suo gruppo (cm 25x15x10) degli anni 70-80 del ‘900, tenuto in considerazione dai suoi genitori. Il pezzo è probabilmente di fabbriche vicentine e non può superare la valutazione di 120/150 euro per mero arredamento.


E come sempre, un saluto a tutti un abbraccio ai pochi!



Gennaio 2024


Buon nuovo anno a tutti i miei lettori, a quelli che oramai mi seguono da trent’anni (sino al 2017 in forma stampata) sopportando e supportando le mie velleità linguistiche, arteantiquariali e soprattutto i miei strali e le mie escandescenze – sia pur attenuate – emprate da una scrittura e da un lessico variegato che mi permette ancora un buon seguito tra voi.
E nuovamente e come sempre, finisco la rubrica mensile: saluti a tutti e l’abbraccio a quei pochi che sanno e che mi onorano della loro benevolenza e del loro gradito giudizio.


Signor Silvano Glori, Giovanni Battista Trevisan (1735-1803) detto Giovanni Volpato (dal cognome della nonna) è stato un eclettico personaggio ed artista di genio e maestria. Ceramista e incisore, fu anche imprenditore, ebbe in appalto papale, tra l’altro, le cave di argilla bianca (ball-clay) di Civita Castellana da cui estrasse il materiale per sue fabbriche di ceramica in loco e a Roma. Oltre a riprodurre manufatti in bisquit di porcellane antiche, fu uno dei primi antiquari italiani di livello; mecenate e investitore, finanziò gli scavi di Caracalla, delle Terme di Tito, di Piazza Venezia ed altri luoghi in Roma. Lei manda una sua incisione su disegno tratto da Giovanni Maggiotto (cm 37×28) e da una serie sui mestieri eseguita dal Volpato che è probabilmente (per le incisioni ci vuole visione diretta per appurare il tipo di tecnica, tiratura, e per distinguerle anche da vecchie stampe prodotte con macchine ottocentesche a torchio) autentica. Ci sono poche cose sul mercato inerenti l’artista, da alcune vendite d’asta ho trovato similari incisioni quotate tra i 150 e i 250 euro ma invendute, e credo che il valore di 200 euro sia il prezzo giusto.
Il secondo quesito postomi riguarda un centro tavola in argento (gr. 422) della Cesa 1882, ditta fondata ad Alessandria appunto in quell’anno e ancora attiva. Manifattura di prestigio fornitrice di posateria da tavola della Real Casa Sabauda dal 1920, continuò negli anni 50 per il Quirinale e nel contempo per una serie di alberghi prestigiosi in tutta Europa. Dal 1994 la Cesa è stata inglobata nel gruppo argentiere Greggio. Il suo “ananas” si può quotare intorno ai 500-600 euro.
Riguardo infine alla porcellana di Sevres di cui non manda misure – come peraltro per il centrotavola – posso azzardare, e con il vistoso calo collezionistico dei nostri tempi, una quotazione, se intonsa, di 250-300 euro.


Il signor Luigi Bellanova chiede valutazione di una papera da tavola firmata Egidio Broggi, membro di una dinastia di milanesi che opera dal Novecento nell’argenteria e nella posateria. Uno dei rami di Egidio (1949) si è specializzato anche nella ceramica e porcellana. La papera porta bon-bon alta 17 cm, credo degli anni 70, vale tra i 120 ed i 160 euro se perfetta.


In una fredda mattina invernale, la signora Francesca ha veduta presso un mercatino una bimbetta sperduta con un’oca e non ha saputo resistere: l’ha comprata. Il bronzo (h 31cm) che con base in marmo nero del Belgio raggiunge i 38 cm, è firmata De Martino.
Ebbene, Giovanni de Martino (Napoli 1870-1935) fu scultore che operò per metà della sua vita a Parigi ove conobbe fama e riconoscimenti prestigiosi. Tornò poi a Napoli ove era stato allievo all’Accademia del Toma, del Lista e soprattutto dell’Orsi che lo spinse alla ricerca veristica, e che nei soggetti di bambini e fanciulli determinò la sua maggior gloria. Il De Martino è, naturalmente, figura tra i bronzisti più copiati e riprodotti: i suoi scugnizzi pescatori e venditori sono delle icone della napoletanità insieme ai personaggi da presepe e ai santi in campana. Tutte le fonderie passate e le attuali del capoluogo campano hanno i suoi modelli, così come quelli di Gemito, e ancora li producono.
La sua peraltro bella fanciullina, signora Francesca, è un modello non comune ma la patina ne tradisce la non eccelsa vetustà. Tra l’altro i primi modelli erano firmati dal maestro “G. De Martino”, ma v’è da dire che non esistette né esiste privativa per detti, e non è che siano siglati con numeri determinati e certificati. Pertanto si comprano i soggetti che, per il fatto di avere una bella patina antica, si presume siano quelli messi in commercio e vendita dal maestro o comunque che siano della sua epoca, ma…. ma, ho conosciuto dei veri maestri delle patine antiche su oggetti nuovi – come i fratelli Bovi operanti prima a Torre Maura nel castelletto ove ora davanti sorge il Policlinico Casilino (ex clinica Trombetta negli anni 40-70) sulla via Casilina e poi nella borgata Giardinetti sempre a Roma – ed altri esperti che mi dicono quanto sia impervia la perizia su bronzi prodotti tra ‘800 e ‘900. E comunque la patina, vera o falsa che sia, ancora paga, ma la sua oca ne ha purtroppo una seriale e con l’ossido di rame verde ancora imperante (la faccio breve e non le elenco le mutazioni chimiche, passa negli anni al colore del “cuoio liscio invecchiato”), quindi che dirle… sui 300 euro.


Signora Cosetta Garilli da Torino, la coppia di vasi cinesi (h 19×15) che manda in visione sono del periodo repubblicano (avvento di Mao). Essendo di ottima fattura, penso possano valere sui 500 euro se intonsi ed in perfette condizioni.


Quadri, quadroni, quadrucoli

E un signore anonimo inizia bene l’anno: manda in visione le opere “di un famoso pittore africano degli anni 70” (sic), talmente noto che è d’uopo non farne il nome, e che io, nella mia ignoranza purtroppo – cercando di invano di decifrare la firma – non ho mai conosciuto. Il lettore possessore di tale famoso artista, non invia neanche le misure delle tele e così siamo proprio a posto! Buon anno anche a lei, sconosciuto lettore. Pubblico le immagini per far sì che qualche diligente e specifico collezionista sappia più di me mi comunichi il nome.


Signora Giulia Pane, mi spiace che negli anni lei abbia avuto da me solo risposte a cui, lei dice, si univano valutazioni negative e sarcasmo. Ma signora, mi perdoni, io tendo purtroppo ad essere uomo di conseguenza, e quando una lettrice, tipo lei, si professa intenditrice e “dall’occhio lungo” (sic) e poi mi presenta opere che definire brutte mi parrebbe un vero eufemismo, ecco che io mi spencolo nel linguaggio e uso la penna “a fioretto”.


Signor Walter Trumpy da Genova, le rispondo non in privato ma su questa rubrica nonostante i suoi quesiti, per raggiungere anche i signori Lorenzin e Draghetti, che mi hanno spedito cose analoghe e cioè quadri con riproduzioni oleografiche, ovvero opere che non sono altro che stampe su tela o cartone. Realizzate con processo cromolitografico in tricromia o quadricromia, esse imitano l’impronta di un quadro originale in olio o tempera o acrilico o altra qualsiasi tecnica. A volte, oltre ai rilievi del colore, riproducono anche le trame della tela. Va da se quindi che, ripeto, trattasi di stampe; che poi nel suo caso vi siano sigle, anni di esecuzione o nomi di autori ecc. non è che questo cambi la sostanza. Mi spiace, ma tali tipologie rimangono semplici stampe di nessunissimo valore anche fossero tratte da eminenti autori e non, come nel suo caso, mi perdoni, da sconosciuti G.B. o tale Lepoldina Zanetti Borzino.


Il maestro Alberto Mauro Serpilli, restauratore in Ferrara, mi manda un un soave dipinto su rame (cm 32×38) che ascriverebbe a Meindert Hobbema (Amsterdam 1638 – 1709 ). Ebbene, pur ripetendo di non essere un grande e precipuo conoscitore dell’arte antica anteriore al XIX secolo, debbo però necessariamente dire di aver studiato non poco i maestri olandesi di tali periodi per aver in anni e anni avuto un’assidua frequentazione con Federico Zeri. Spirito irrequieto e burlone egli mi interrogava sempre specialmente sull’arte pittorica dei Paesi Bassi di cui era era, più che uno specifico conoscitore, un attento indagatore ed io un profano. Naturalmente, ho avuto modo anche di andare in Olanda a “spulciare” nei musei, oltre ad essere attento lettore delle recensioni degli studi di Berenson, Longhi, Venturi, Morelli, De Vecchi, per dirne alcuni. Pertanto, conosco bene l’Hobbema, considerato uno dei più grandi paesaggisti olandesi benché la sua carriera pittorica fosse durata poco più di dodici anni. Si sposò infatti trentenne, e malauguratamente preferì alla pittura un impiego governativo sicuro ai Dazi d’importazione dei vini della sua città. Smise praticamente di praticare ciò che lo avrebbe reso immenso giacché dotato di una maestria unica nei semitoni che gli permettevano di dettare nell’ombre – che altri abilmente sfumavano – figure di una nitidezza fresca che lasciavano e lasciano senza parole, ammirati: creava l’ambiente ombra non attenuando il colore ma dandone altro corpo e al di là della luce solare. L’artista perse in seguito sia “il posto fisso” sia la moglie per cui aveva rinunciato alla grande arte sua; morì povero e solo, naturalmente, rare le sue opere nel mercato.
E tornado al bel dipinto inviatomi signor Alberto, a mio avviso e conoscenza esso non presenta affatto i canoni pittorici dell’Hobbema: velato e soave nei toni, smorzato dalla luce solare che richiama un dolce meriggio, a me ricorda più i fratelli Van Hannen e la loro cerchia. Che altro dire… lei non mi parla di documentazioni inerenti, passaggi di proprietà, ecc.. Dovrei darle solo una valutazione come bel quadro, e senza averlo visto, toccato, annusato. Le suggerisco di portarlo in visione a qualche casa d’aste per vedere cosa le possono dire dal vivo, poi, quando crede, mi potrà resocontare.


E infine…

Ringrazio la signora Antonella Fontana alla quale ho risposto ad un quesito il mese scorso e che mi invita a Cagliari dove la encomiabile lettrice ha costituito un Museo del Giocattolo. Signora Antonella, sicuramente venendo nella sua bella città non mancherò di farle visita e invito i lettori della Gazzetta presenti nel capoluogo, ma anche lontani, a farlo.


E come sempre, un saluto a tutti un abbraccio ai pochi!



Dicembre 2023


Signor Giordano Apostoli, il suo oggetto è un flicorno della premiata fabbrica di strumenti musicali Ferdinando Roth di Milano (XIX-XX secolo) dei primi del ‘900, a vista in cattivo stato e probabilmente non funzionante a dovere. Nonostante lo strumento abbia ancora una richiesta nel mercato da parte dei musicisti più tradizionali, nello stato in cui è vale sui 60-80 euro.


Signora Maurizia Pellizer – e rispondendo a lei mi rivolgo anche alle signore Venerati e Ciomboli – le manifatture ceramiche del passato avevano – ed essendo altri lontani tempi – grandi produzioni per una grande clientela che affidava loro la realizzazione di tutti i servizi da tavola necessari, a volte “personalizzandoli” con decorazioni e dediche; in più, ne sostituivano i pezzi rotti con una produzione continua di linea. La SCI (Societa Ceramica Italiana) di Laveno nel 1936 – anno della produzione della sua tazzina con relativo piattino – aveva all’epoca circa 1300 operai con decine e decine di decoratori che nelle piccole commissioni operavano direttamente a domicilio (la società consegnava loro i “biscotti” ovvero le ceramiche-porcellane in bianco e loro vi dipingevano e/o scrivevano nel retro le dediche ordinate dal cliente, poi la stessa li ritirava e cuoceva a “terzo fuoco” per fissare gli smalti e consegnava). Nel 1956 la SCI venne assorbita dalla Ginori che è la società per eccellenza di tali metodi che univano la produzione industriale a quella, diciamo, più artigianale, fidelizzando così una vasta clientela.


Signora Maria Antonella Fontana, il suo bel calamaio con marchio “WMF e uno struzzo” è stato prodotto della Wurttembergishe Metalllwarenfabrik fondata a Geilingen (Germania) nel 1853 da un mugnaio, Daniel Straub, il cui cognome in tedesco significa struzzo (da qui il marchio e non da altre strampalaggini che si leggono variegatamente) e dai fratelli tecnici fonditori Schweizer, una fabbrica di posate dove lavoravano 3000 operai, che nel tempo e dal 1882 in poi con l’acquisizione di Gustav Siegle (e sino al 1980 quando gli eredi vendettero le azioni), si trasformò con una multiforme produzione di oggetti in metallo anche pregiati e per leghe e per forme, con il progetto “Neves frankfurt” che nel 1920 la orientò verso un design sui canoni dello Jungendstil come il suo (il nome tedesco dell’art nouveau o liberty). E in finis le do una bella notizia, dalla punzonatura “as” si deduce che il suo calamaio è in antique silver ovvero in argento e che quindi il suo prezzo lievita, a seconda del peso, sino a 500/700 euro.


Il fedele lettore Roberto Desogus, che abbraccio, vero appassionato della ceramica che colleziona come può dalla sua romita Sardegna, manda in visione una coppia di vasi friulani degli anni 90 (H cm 31 e 30) della bottega di Enore Pezzeta, di Buia (Udine), ipotizzando, ed anch’io ne convengo, siano stati realizzati su disegno dell’illustre ceramista Ambrogio Pozzi (1931-2012). Il valore è, a mio avviso, intorno ai 500 euro la coppia.
Il secondo vaso (H cm 20), oggetto degli anni 70, è del maestro pittore, scultore e ceramista Luigi Duz (1919-1977), fondatore della CAF (Ceramica Artistica Friulana), un’artista a tutto tondo, poliedrico, e non a fondo valutato dalla critica. Valore sui 150 euro.


Signor Andrea Colombo, mi fa piacere imbattermi in un attento lettore che, ponendo dei quesiti, faccia partecipe il povero esperto di carta delle sue intelligenti ricerche pratiche ed induttive di già intraprese. Riassumo: il lettore ha acquistato una pagina dipinta (cm 23×34) vendutagli come persiana del ‘500, ma esaminando il foglio in controluce si è accorto che tale pittura è su un testo cufico antecedentemente scritto, e gli sono venuti dei dubbi. Signor Andrea, avendo materialmente nelle mani il foglio potrei dedurre dalla carta, dai colori e dai fissativi, varie informazioni necessarie a dirimere, forse, la vera età della pagina, ma in tale disamina da immagini debbo necessariamente dirle che dall’Ottocento al Novecento nel mondo orientale, e non solo, vi è stata la caccia ai libri antichi per privarli sistematicamente dei loro disegni, incisioni, pitture e rivenderli all’occidente non degli studiosi e dei sapienti ma della nuova arricchita e incolta borghesia. E una volta finite le “figure” si è pensato bene di utilizzare le carte bianche i frontespizi e i colon dei poveri mutilati testi per apporre nuove illustrazioni su di essi e, un volta terminatili, non si è andato troppo sul sottile e si è dato il via alle illustrazioni sulle pagine a testo rimaste. Ciò è quello che qualunque esperto od antiquario (non venditore degli stessi) le può, e solo, dire. Ipotizzare che nel ‘500 qualcuno ridipinga su testi coevi altre pitture foriere di nuovo gusto artistico mi pare al di fuori della metodologia non solo d’allora ma di qualunque epoca per ragionamento e logica. Le significo di aver visionato centinaia di tali “connubi” artatamente eseguiti per indurre alla compera e cessati solo con la caduta dell’antiquariato circa una quindicina d’anni fa. Il valore di tale suo manufatto è intorno agli 80/150 euro, poiché trattasi di un discreto elemento arredativo.


La signora Laura mi pone due quesiti circa mobili di famiglia. Il primo riguarda un set di quattro sedie della famosa ditta austriaca “Jacob & Josef Kohn”, fondata da padre e figlio nel 1849 a Vienna. Le sue sedie sono le numero 67 (a catalogo) prodotte tra il 1890 e il 1919. Il loro valore su un mercato antiquariale della mobilia praticamente azzerato va, a seconda di chi le vende e se in ottimo stato d’uso, tra i 250 e i 400 euro. Vi sono in rete alcuni (a cui il loro dio volendoli punire ha tolto il discernimento) che le propongono a cifre di migliaia di euro, ma ciò non cambia il mercato. La ditta Kohn in seguito unita alla Thonet fu nel Novecento la più grande del mondo per fabbricazione ed esportazione di mobili, quindi si può immaginare quante migliaia di tali reperti si possano ancora trovare, fabbricati per giunta con un procedimento speciale in legno di faggio evaporato che, se non prende i tarli, è praticamente indistruttibile.
Il secondo quesito riguarda un mobile a detta della gentile lettrice tenuto nella considerazione famigliare preziosamente come di produzione cinquecentesca. Il mobile a mio avviso ha, a vista, un intaglio affatto ammorbidito dai secoli, addirittura tagliente, la patina non è conforme e le misure rafforzano il mio giudizio: al di là dei 93 centimetri d’altezza per i 74 centimetri di larghezza, vi sono quegli esigui (per un mobile del cinquecento) 28 centimetri di profondità che sono sinonimo di una mobilia sulla voga del “rinascimento umbertino” di fine secolo (Ottocento). Che altro dirle? Non ha mandato foto dettagliate dell’interno del mobile, dei cassetti, delle guide, della ferramenta, e il mio giudizio si basa oltre che sulla sola vista sui riferimenti canonici costruttivi delle epoche. In più il legno dello stipo mi pare di essenza dolce, altro riferimento alla rivisitazione neo-rinascimentale detta.


Il lettore, connoiseur e collezionista Donato Luna manda in visione un bel comodino degli anni 90, serie architettura della maison Fornasetti (altezza cm 68,5×38). I prezzi di tali tipologie mi stupiscono poiché sono sempre alti e non scendono nel tempo, ma non registro soverchio “movimento di mercato” intorno a loro. Che dire, mi adeguo al trend e lo valuterei tra i 5.000 e i 6.000 euro, pur non avendo piena contezza di risultati e mercantili e di aste.


Signor Roberto Bacco, il suo vaso in cristallo molato (cm 22,5 H – peso 1,200) con inserti a caldo floreali in argento, è un magnifico esemplare raro di transizione del periodo finale del déco che si apre agli anni 50. Se intatto e intonso vale sui 500 euro.


Signor Carlo Guerra dalla provincia di Terni, lei è un antesignano delle vecchie macchine fotografiche e probabilmente ha confuso un vecchio tostapane con una di esse. Tale mi pare il risultato delle brutte foto inviate. Evinco solo da ciò che scrive che lei è in possesso sin da bambino di un raro orsetto di pelouche dell’Alfa Paris, ditta fondata nel 1934 a Parigi. Il suo giocattolo alto 33 cm è snodato, quindi prodotto negli anni 50-60, riporta la dicitura di produzione stampata sotto il piede destro ed è vestito da bambino in tessuto di percalle con scarpe uguali. Dalle brutte foto non ne vedo lo stato di conservazione, e solo se è ottimo può arrivare a quotazioni sui 300 euro, e non migliaia come invece possono realizzare gli Ideal Toy (Teddy) o i Chiltern o gli Steiff.


Quadretti, quadrini e quadri

Il signor Trifone Angiuli manda in visione un quadro naif, Piazza Navona – Roma (cm 70×100), di discreto impianto figurativo, non conosco però l’accennato pittore (La Pescara?) né noto sufficiente livello artistico. Come opera arredativa il suo valore è sui 250/300 euro.


Signora Cinzia Zoccatelli, il suo disegno incorniciato (cm 50×60) è di autore a me e ai miei prontuari sconosciuto. Certamente di non eccelsa levità artistica, è solo e unicamente arredativo e interessante per gli abitanti di Verona (a cui si riferisce), valore 50 euro cornice compresa.


Signora Barbara Tim, la sua natura morta (cm 30×40) firmata e “autentificata” Michele Riccio purtroppo non ha canoni artistici sufficienti da poterne dare valutazione monetaria.


Signora Alessandra Cossu presenta alla mia attenzione un ritratto in tela su tavola (cm 32×26) molto deteriorato, ottocentesco, di bella mano ma di apparato scenico seriale. Il quadro necessiterebbe di un serio restauro, ma la cifra da spendere, minimo un 400/500 euro, non coprirebbe il valore finale dell’opera che sarebbe di 500/600 euro. Così, e acquistabile solo da restauratori appunto, vale sui 150/200 euro.


E come sempre, un saluto a tutti un abbraccio ai pochi!



Novembre 2023


Signora Elsa Laurentis, il consigliare acquisti d’arte moderna o meno è sempre per me cosa problematica poiché, svolto l’incarico gratuitamente, c’è sempre il sospetto che si possa avere indirizzato il consigliato verso gallerie, negozi o amici, e comunque con interesse personale. Quindi, io ho sempre una certa remora a farlo.
Lei mi propone una grande opera di un artista romano, certo Enrico Di Nicolantonio Dicò (1964), che le è stata proposta ad una notevole cifra. Del detto autore – che praticamente si richiama nei suoi lavori un po’ alla pop art, un po’ a tanti artisti della “street art” che ne hanno sperimentato, dando mano nelle sue tele al fuoco che ivi agisce creando fortuitamente o meno degli effetti coloristici particolari – non ne so molto. Ho visto delle foto dell’artista con sue opere e una miriade di personaggi famosi del cinema, della canzone, della politica e ciò sta ad indicare che è ben introdotto nel mondo del “jet set”. Riguardo all’arte vera, mi pare di aver letto una critica fatta dallo Sgarbi che si arrampicava sugli specchi per costruire un percorso artistico a connubio tra Warhol e Burri, ma oltre a non essere incline a queste forme d’arte, ripeto di non conoscerne abbastanza.
Il mercato con opere offerte dai 1.500 ai 3.000 euro e oltre non mi sembra così partecipe agli acquisti; le aste a 2.000 euro ma con “offerta libera”, una a 200-300 euro di valutazione. È questo il personaggio che frequenta i salotti bene di Roma ma di cui v’è molto poco di giudizi critici nel mondo artistico. Insomma pur non essendo il mio campo precipuo le consiglierei di non impegnarsi in cifre a tre/quattro zeri per opere di artisti “non accertati” in modo significativo dal mercato. Ho sempre consigliato l’acquisto di opere di pittori, scultori ancora non conosciuti ma di bella mano ed ingegno, ma ciò a prezzi adeguati.


La signora Roberta Leone manda più quesiti. In prima visione, scarne foto di una scrivania in stile Boulle francese (114×73 H cm). Non invia – come si dovrebbe per la mobilia – né foto dell’interno del cassetto, né della serratura, né dei particolari dei bronzi, ed io, e solo ad occhio, posso dirimerne considerandola novecentesca. Il valore, come per tutti i mobili antichi e/o vecchi è al minimo; la sua scrivania signora, come discreto mobile d’arredamento, vale sui 1.200-1.500 euro, e badi bene, sono gli unici mobili che “da effetto” ancora tengono il prezzo. Calcoli, e come sempre, che la vendita, a meno che non abbia già un compratore, è molto difficile.
Altra valutazione per un leggio dorato da tavolo (35×28 cm) di cui invia una sola foto. Evidentemente esperta in tal senso lei mi scrive come sia del XIX secolo; io ne prendo atto, ma lei prenda in considerazione come per me non valga, così come proposto, che 150/200 euro, e sempre per mero arredamento. Il terzo quesito è una sontuosa specchiera novecentesca (260 x100 cm) e certamente potrebbe spuntare – in un’asta? – sui 1.500/2.000 euro.


Professoressa Emilia Stanchi da Roma Cinecittà, mi spiace non poter accettare il mandato per la ricca divisione ereditaria tra lei ed i suoi tanti parenti, ma avendo sondato alcune delle parti coinvolte ho evidenziato come esistano conflitti personali che valicano l’asse dell’amato de cuius e rendono le partizioni problematiche non più legate a valori antiquariali, e di conseguenza monetari, ma a discrezioni e rilevamenti etici e morali che sinceramente non saprei redimere. Si è passati dal contendere sugli oggetti scopo della mia mediazione e valutazione, alla disputa dei soggetti. Leggevo a tal proposito, e sui conflitti in genere, un libro veramente utile: “L’accordo e la decisione” modelli culturali di gestione dei conflitti, opera edita dalla Utet di un giurista e filosofo docente all’Università di Siena, Giovanni Cosi, un libro utilissimo di formazione per i futuri avvocati ma anche un vademecum mentale per tutti coloro che oggigiorno – me e lei compresi – pensano di far valere le proprie ragioni anche se non sempre hanno ragione. Non posso quindi, al di là del mio mandato specifico di periziare, favorire – mi perdoni ma così essendo tardo ho compreso – alcuno. le scrivo ciò pubblicamente in modo che anche gli altri eredi capiscano le ragioni della mia rinuncia al mandato e non se la prendano – come sempre lei narra – con la sua emerita persona che, al di là delle posizioni personali nei confronti dei coeredi, si è sempre mostrata di una onestà adamantina addirittura lesiva per le proprie spettanze. Ed è proprio ciò – mi perdoni nuovamente – essendo chiamato a “dividere” equamente, che ha dato l’avvio alla rinuncia del mio mandato.


Signor Paolo Forti, sono solo uno che ha studiato molto ma molto ma sempre non abbastanza, e sul giudizio dei dipinti dei secoli XI-XVIII non mi sono mai paragonato – benché li abbia conosciuti e frequentati – al Briganti, allo Zeri, al Carli, alla Bucarelli, per dirne alcuni, critici di professione e non stracciaroli evoluti e topi di archivio, categorie alle quali appartengo “di cappa e di spada”, senza dimenticare di essere un collezionista compulsivo di tutto.
Detto ciò, la disamina del suo quadro mi ha portato a dirle di non essere affatto d’accordo con il pur prestigioso connoisseur e studioso di cui mi invia la perizia. Lo strano è: come mai dopo avere pagato un si valente critico ha pensato poi di rivolgersi a me affinché le potessi confermare quanto dichiaratole dall’esimio? Io non sono che un operatore di carta della vasta materia antiquariale, collezionistica, artistica e, come dicevo, rigattiera. Uno che scrive per professione e quindi con un lessico variegato che copre a volte – e come poi fanno tutti i critici – i propri limiti. Inoltre, sospettosamente, ho appurato che la sua email è la stessa di una certa signora “venditrice di erbaggi” con cui ho avuto in passato non poche grane, tali da esserci finito, e non a braccetto, in pretura. Scrivo “signora” poiché essendo di genere femminile non mi vengono in mente altre accezioni che quelle che mi riporterebbero in quelle giudicanti aule dove la tale sedicente antiquaria mi aveva portato querelandomi per averla definita, come detto, venditrice di erbaggi e frutta “pericolante” (più che matura); e ciò in effetti era la primaria e nobilissima, peraltro, professione della di lei madre al mercato rionale del Tufello a Roma ove la detta l’aiutava. Quindi, negli anni 2000 io avrei dovuto scrivere pedissequamente: “aiutante venditrice…” poiché non ne era titolare, ma tant’è. Il pretore, reso edotto dalla donna di come ella avesse un fiorente negozio di vendita di antichità con tanto di licenza e tasse presentate, mi ammonì, ed io replicai presentando le foto del materiale contenuto nel suo negozio a Via dei Coronari, nel centro di Roma, ove il falso primeggiava come primo articolo, negozio da tempo chiuso non per la crisi che ha colpito il settore ma per fini avvenimenti collaterali come: la morosità dei canoni di affitto, due o tre truffe di cui una consistente nell’aver venduto, alla Toto’, una fontana dipinta da De Chirico senza l’ausilio del maestro, e una piccola appropriazione indebita essendosi portato via (alla chiusura dell’attività) un portone ottocentesco in noce del proprietario dell’immobile, sostituendolo con un obbrobrioso e cimiteriale portone di quell’alluminio dorato che imperversa in Italia e che dovrebbe portare i quanti proprietari espositori non solo a severe pene detentive ma anche ad onesti lavori forzati, insieme, naturalmente, ai fabbricanti dei detti. Per farla breve io fui assolto, e la detta erboraia condannata alle spese processuali.
E ora ritorniamo a noi: caro signor Paolo, cosa debbo pensare? Voleva anche lei che scrivessi qualche colorato epiteto per il suo titolato perito? Che so: asinaccio, guitto di terz’ordine non esistendo il quarto, tale da confondere una pittura (100×90 cm) di scuola senese, “Matrimonio mistico tra S. Michele Arcangelo e Santa Caterina” (15 mila euro di stima, crederei io), con una di scuola veneziana con “Gesù bambino benedicente una regina turca (?!?)” e stabilirne esageratamente il valore a 50/60 mila euro, cosi da querelarmi? Eccola servito!


Signora Giuliana Levorato, la sua ballerina (cm 34) a firma Paolo Troubetzkoy (1866-1938) potrebbe essere assegnata allo scultore italiano di nobile famiglia russa. Dico “potrebbe” poiché cominciano ad essere troppe le repliche di tale soggetto e, non essendo d’altronde numerate, posso immaginare che ci siano molte repliche recenti. Comunque, come ho già scritto, nelle aste tali esemplari vengono venduti intorno ai 1.500 euro, e sinché dura…, e trovando il compratore… Certamente, e difficilmente, ci può essere una certificazione che ne attesti la paternità esecutiva trattandosi come detto di multipli senza l’indicazione del numero delle opere riprodotte e da parte di chicchessia. Le fornisco un’altra notizia in genere non conosciuta: la ballerina riprodotta è la giovine Lady Costance Stewart Richardson (1882-1932), nobildonna di famiglia illustre scacciata dalla Corte inglese proprio per il suo danzare”semivestita”.


Signora Manola Mancini, il suo vaso (cm 20 H 28) a cartigli savonesi-liguri è firmato Cesare Moretti Roma 1887, ceramista di cui non conosco né i natali né il percorso artistico. Alcune sue opere, ma con decori moreschi e di grande fattura tecnica, sono apparsi in alcune aste ma senza ulteriori informazioni. Il valore, naturalmente ai sensi della mia conoscenza e di fronte al suo malridotto manufatto, non può essere che di 60/70 euro.


Signora Francesca, la ringrazio innanzitutto per la stima e la mia lettura, le sue statuine (21-25 cm H) sono della Egidio Broggi, ditta milanese che si occupa soprattutto di posateria in metallo per la tavola non disdegnando nel campo la ceramica e la porcellana. Il pittore che le ha decorate, Adalberto Sampaolo (1924-2011), un marchigiano trasferitosi a Milano, aveva un bello e storico studio ai Navigli; valente artista, aveva trovato una sua personale versione pittorica del mondo rurale e contadino, estesa poi anche ad altri campi sociali. Purtroppo, come tutti i pittori in auge e “ricchezza” negli anni 70, ai nostri giorni non ha mantenuto valori di riferimento certi, e spunta nelle aste e nelle vendite (nei dipinti) cifre non superiori ai 150/200 euro. Le sue statuine, prodotti industriali della Broggi, soggiacciono a questa legge di mercato e valgono suppergiù ciò che lei le ha pagate e cioè intorno ai 60 euro.


Il signor Paolo Monacò ha recuperato in una casa di Accumoli (RI) comprata dieci anni fa ed ora purtroppo terremotata, tre libri. Il primo e il secondo: “La dottrina del parroco”, 1709 Ferri editore Ancona, e “Meditazioni su Gesù cristo”, Napoli Valiero 1709, valgono rispettivamente sui 50/70 euro il primo, 30/40 il secondo. Il terzo libro: “Anatomia chirurgica” di Bernardino Genga del Ven. Arc. Osp. Di S. Spirito, edito in Bologna nel 1687, è certamente quello più interessante ed ha un valore di 400 euro. Naturalmente le dette quotazioni sono per i volumi interi delle loro pagine e senza mancanze o gravi difetti, se pur sciolti, cioè non ben assemblati tra loro i fogli.


Ed ecco i quadri ed i quadracci

 

Il signor Andrea Morisani invia, per cominciare, una madonna con bambino “raffaellesca” (22×30 cm) dalla cui scarna foto e senza il retro non so sinceramente dire molto; sembrerebbe un lavoro di onesta mano ottocentesca e valutabile intorno ai 400/500 euro, ma… mah!
Il secondo quadro (110×88 cm) il lettore lo ascriverebbe al Giuseppe De Nigris (1832-1903), pittore pugliese, per via di una scritta evanescente e in stampatello apposta nella tela: io non lo credo tale, e sia pur nella sommaria visione di una brutta foto, lo valuterei, da arredamento, sui 300/400 euro per le dimensioni.
I due ultimi pezzi (60×70 cm) ad opera di tal Leonida Beltrami sono cose degli anni 60-80 che – consiglierei – non varrebbe la pena di appendere onde non guastare l’animo e la predisposizione benevola di chi per qualsiasi caso si possa recare in visita alla sua abitazione.


Il signor Concetto Cassarino ha posto alla mia attenzione un acquarello (20×30 cm) il cui retro tela riporta una dichiarazione, “anomala e imprecisa” peraltro, che lo indica genericamente come “del Campi” (sic), Giulio? (1502-1572) pittore ed architetto cremonese di vaglia, a firma di persona – perito, gallerista (?) – da me non identificata. Lo stemma centrale raffigurato che fa capo a Milano e al “biscione” dei Visconti suoi signori all’epoca è, per inciso, anche il marchio dell’Alfa Romeo. Gentile lettore, la scarna foto con il foglio incorniciato non mi aveva consentito che un giudizio sommario – d’altronde trattasi di bozzetto seriale che si potrebbe ascrivere a chiunque – ma le ulteriori più definite foto inviate mi inducono a crederlo una vera e propria contraffazione: labili e imprecise le figure, e le scritte di basso valore esecutivo.


Signora Irene Panada manda foto di un’opera a firma Nastuzzo (50×70 cm): Antonio Nastuzzo (1908-1990), artigiano bresciano, affreschista, copista di grande scuola italica, poi dedicatosi certamente con grande animo alla pittura vera e propria con una bella decoratoria, ma altresì modesta maestria. I suoi quadri hanno mercato solamente nella provincia bresciana ove si attestano sui 400/700 euro, altrove invece spunta cifre non superiori ai 150/200 euro.


Signor Alan dalla bella Liguria, il suo quadro di famiglia “Maddalena penitente” (50×70 cm) – di impianto ottocentesco ma con una tela fine bianca sul retro che mi parla anche di Novecento – è molto rovinato e di fattura non eccelsa. Considerando che un restauro ben eseguito con rintelaiatura e rifoderatura non le costerebbe meno di 1.000/1.200 euro, non glielo consiglierei di certo, poiché il quadro, ora sui 250/300 euro, potrebbe dopo aspirare ad una valutazione massimale di 600/700 euro (anche per il soggetto non certo agognato dal mercato).


L’affezionata lettrice Elena Bulla manda in visione una tela (33×36 cm) raffigurante un’Annunciazione che ipotizza essere del 600-700. Gentile signora, il suo olio è stato rintelato e non consente un esame del supporto tessuto ma nella raffigurazione dell’evento religioso si notano sedia e forbice ottocentesche. In più, parliamo di una pittura di mano e gusto popolare (con una eccezione nel singolare volto della vergine di esecuzione più felice, ma che lì si ferma) che non può pretendere valori superiori ai 600/700 euro.


Signora Gloria Paisano mia simpaticissima e fedele lettrice dalla provincia di Caserta, non si adombrerà se le comunico che il suo quadro conservato, ohivoi!, in famiglia da più di cent’anni! (sic), in realtà non mi parrebbe tale. La cosa (50×70 cm) da lei spedita, si riferisce all’epoca in cui un anonimo malfattore ha inteso, e deliberatamente, ovviare ad ogni canone di gusto e di attenzione per l’altrui vista, intorno credo agli anni 50 del 900, “pitturando” una povera tela certamente destinata ab inizio e dai suoi fabbricanti ad altro augusteo destino. Il delinquente in questione – a meno che non si sia trattato di un menomato mentale – ha certamente ipotizzato di poter essere per tale atto, e giustamente, redarguito quando non mai sufficientemente malmenato, indi sicuramente ha optato di firmare il suo delitto con nome di fantasia: “I. Franz”, onde non venire assolutamente rintracciato. Cos’altro le posso dire se non di distruggere bruciandola la cosa negligentemente conservata in famiglia?


Signora Rita Piroddu, la sua opera (50×70 cm) di tale Piero Masini si intitola: “S. Anna, la vergine ed il bambino con l’agnellino”, ed è una copia dell’originale di Leonardo da Vinci che si trova al Louvre a Parigi. Non ha che il valore di un centinaio di euro, per arredamento.


Incisioni e acqueforti

Signora Liselotte Illemann, la sua “originalradierung” (32×54 cm) proveniente dalla nonna, è una bella e suggestiva acquaforte. Non conosco né ho notizie sull’autore e/o incisore “M CL Crucini” da lei evidenziato sul foglio e collocherei l’opera tra fine 800 e 900 inoltrato. Per tali tipologie il valore ai nostri giorni è al ribasso, tanto che non vengono trattate nel mercato a meno che non siano di autori illustri e conclamati. È solo in virtù della bellezza estrinseca del suo esemplare che posso spencolarmi in un giudizio di valutazione intorno ai 300/400 euro.


Signor Renato Di Properzio, lei manda in visione una bella incisione (55,5×45,5 cm) edita dalla Calcografia Nazionale, raffigurante la Mole Adriana e Ponte Elio, incisore Luigi Rossini (1790-1857). Datare tali incisioni è problematico poiché la stessa Calcografia Nazionale (nascita pontificia nei primi decenni dell’Ottocento) che parla sempre di edizioni limitate in realtà non ha registri di alcun tipo sulle edizioni postume “tirate” sino al 1975 (anno della sua costituzione moderna). Comunque, il suo esemplare sul mercato attuale vale dai 120 ai 200 euro.


E come sempre, un saluto a tutti un abbraccio ai pochi!



Ottobre 2023


Signor Giuseppe Tassielli, il suo libretto “Elenchus tractatuum et quaestionum…” estratto di 31 pagine da un testo, è sì del 1757, ma certamente stampato posteriormente; John Duns Scoti ne è l’autore, detto Johannis Scoto, prete cattolico scozzese, frate francescano, teologo, filosofo e professore universitario (1265-1308), beatificato nel 1993. La sua opera omnia completa è stata stampata dalla Tipografia Vaticana in 12 volumi nel 1954; l’estratto in suo possesso, purtroppo, non ha alcun valore né storico né collezionistico, fosse pure stato stampato nella supposta data da lei indicata.


Signora Tiziana Fina, mi spiace ma il suo orologio su porcellana “FC Collection” (46 cm H) è un oggetto “bombonieristico” e viene venduto in atti negozi; fabbricato ovunque, non ha valore che per gli amanti qualunquistici delle cose un po’ così.


Signora Arianna Pace L. da Roma centro, la rubrica “L’Esperto”, che io da trent’anni gestisco, risponde ai quesiti basandosi esclusivamente su immagini, non so se mi intende bene, quindi non con l’oggetto “vero” di fronte, come sarebbe d’uopo e di norma per una valutazione seria e completa. Poi anni e anni di studio ed esperienza portano il sottoscritto – e altri colleghi in altri siti – a dirimere in siffatto “anomalo” modo. In genere, quello che si dà è un parere di massima che esclude – certo ad occhio, e questo ci sta – le cose che non valgono nulla o poco, oppure si danno valutazioni di massima ai begli oggetti, dettate non dal perito per suo buzzo ma dal mercato: negozi, fiere e case d’asta. Siamo mestieranti dell’arte e dell’antico che cercano di fare quel che possono con, a volte, foto orrende e nessuna informazione, che i lettori quasi sempre si ostinano a non rivelare forse per metterci alla prova. Altri addirittura ci spediscono foto tratte da cataloghi d’asta per provare la competenza. Quindi, ed è la terza o quarta volta negli anni che glielo scrivo, non può pensare che le possa valutare la sua immensa magione con foto d’insieme di decine e decine di mobili, oggetti, quadri alla rinfusa… E non mi scriva più “se la chiamassi a pagamento correrebbe” (sic), che la mando a villeggiare prontamente in quel paese che più o meno tutti hanno di già visitato nella vita. Io per sua norma non corro da chicchessia, ed inoltre, un conto è vedere le cose dal vivo e un conto è farlo confusionatamente come intende lei per posta. Ma per quel che mi riguarda e che le significo, accetto pochi incarichi professionali di valutazione, metto delle condizioni, e discerno anticipatamente se il futuro cliente mi stia a genio o meno. Le comunico che lei, per tanti motivi che mi esautoro dall’elencarle, non potrebbe certamente rientrare in quel ristretto numero.


Signora C.G. (amica comune con il professor “Lindo”, vecchio “trasteverino e portaportesaro” che a me la invia), i suoi grandi piatti cinquecenteschi “a lustro” acquistati a caro prezzo in Belgio vent’anni fa (lascito di una casa nobiliare) senza alcuna documentazione né provenienza altra se non la dichiarazione su foto di appartenenza specifica che li escluderebbe da furti o trafugamenti, a me sembrerebbero della serie prodotta a metà Ottocento dalla Ginori di Doccia quando ne era direttore l’antiquario fiorentino – ma non adamantino – Giovanni Freppa (1795-1870), che di altre clamorose truffe fu autore. Scoperta la frode – ne vendette a josa sul mercato dopo averli artatamente invecchiati e/o rotti e ripristinati con diligente restauro addirittura non visibile ad un primo esame visivo! – ne nacque l’allora famoso “scandalo Freppa” che gettò lo scompiglio tra compratori privati e musei. Comunque, non sono cose da trattare per foto da “un perito di carta”. Deve rivolgersi ad esperti precipui della materia e conseguenti laboratori d’analisi (anzi prima). Ho azzardato un libero parere poiché tali tipologie sono rarissime in siffatte dimensioni (38 cm), in tale stato di conservazione e senza mai nei secoli essere state inserite in nessun catalogo, retrospettiva o mostra con probanti immagini. Non pubblico, come richiesto.


La signora Loredana Cervello manda immagini di un servizio da tavola da 12 completo – scrive – senza elencare però gli elementi acclusi ai 24 piatti e che io deduco da una succinta foto. Il servizio è degli anni 50-60 del Novecento, realizzato dalla LB, una delle centinaia di fabbriche della rinomata industria ceramica della allora Cecoslovacchia, non censita nei prontuari. Ai nostri giorni affatto richiesto dal mercato, il valore, per un servizio intonso e senza alcun difetto anche nei decori, è intorno ai 400/500 euro; anni fa andava oltre i 1.000.


Signora Anna Ragghianti, mi rivolgo a lei e ai tanti lettori a cui le risposte tranchant dell’esperto possano apparire sminuenti verso gli oggetti dei ricordi famigliari che, come nel caso del suo servito da te o cioccolata, costituiscano qualcosa di affettivo intrinseco e inalienabile. Ma… ma quando si fa esaminare a professionisti o addirittura ad un museo (il Sartorio di Trieste) un servizio per certi aspetti preludio ad una più accentuata facies déco ma di non eccelsa qualità né riconducibile appunto a scuole o ad autori di rilievo, per tali manufatti appartenenti e sommariamente ai primi decenni del 900 si riceverà sempre la stessa risposta di non identificazione specifica. Per remoto caso ci potrà sempre poi essere qualcuno che, perito o meno, magari abbia reperti analoghi dove si palesi un marchio capace di ascriverli pedissequamente a produzioni, ma difficilmente. Il valore poi che per compito debbo assegnare, e ai nostri giorni scevri dalle memorie e avulsi alla cultura, è modesto, anche in ragione di una tazzina mancante e dei decori sbiaditi: sui 60/80 euro, il doppio magari nei mercatini dove vendono i pezzi singolarmente per i vari collezionisti (chi di tazzine, chi di teiere, versatoi e zuccheriere).


Il gradito lettore Donato Luna mi sottopone un servizio da te del designer argentiere lombardo Guido Niest, argentiere, preciso, di cui non ho mai visto una creazione nel metallo prezioso titolato (400-600-800-925-1000) ma solo composizioni in lega a bassissimo tenore (tale da non poter essere punzonato). Tutte le sue produzioni, come il servizio da te/caffè in oggetto, sono in galvanizzatura o silver plate. Lei signor Donato mi rinvia a un sito americano (e la ringrazio per l’informazione) che ne valuta uno identico al suo 7.200 dollari, il che mi pare veramente eccessivo. Nelle case d’asta i singoli pezzi del designer Guido Niest vengono battuti con stime di 200/300 euro, nel suo atelier oggigiorno vengono proposti in vendita tra i 500 e i 1.000 euro ed oltre. Il servizio in suo possesso, composto da piatto e quattro pezzi, è a mio avviso valutabile intorno ai 500/800 euro, se intonso in ogni sua parte. La variazione è data dal non eccessivo trasporto del mercato verso manifatture che continuano a produrre a livello di designer ma senza che i prodotti vengano quantificati e relegati a certificate “tirature”, e/o proposti in metalli preziosi “veri”, e che non hanno prestigio di marchio sufficientemente conosciuto da classificarsi come “brand”.


La signora Lina L. da Varese pone due quesiti. Il primo riguarda un lampadario prettamente novecentesco (H 95 cm) in ottone e bronzo patinato: fossero originali le rose di illuminazione in vetro lattimo il suo valore sarebbe sui 600/1000 euro, altrimenti 400/500 (vent’anni fa il doppio). Il secondo quesito riguarda una lampada da terra degli anni 60 del Novecento che potrebbe essere, scrive la preparata lettrice, una Ruse & Kuntner, oppure, dico io, una Hans – JorgWalter & Josep Kuntner per Knoll, ma purtroppo tali pezzi non avevano marchi e/o loghi se non cartoncini stampati e legati alla lampada stessa. Stabilirne quindi l’originalità è arduo, e difatti dai 1.000/1.500 euro a cui si potrebbero alienare tali lampade se certificate, si passa al valore di 250 euro per i pezzi “anonimi”come nel caso della lampada in oggetto. Potrebbero esserci periti di tali tipologie che certamente ne sappiano più di me ma che io non conosco e non posso indicare.


Il signor Lello da Caserta manda foto di un pianoforte a coda in piuma di mogano, con due pedali e 6 ottave, siglato Balaschovits (Karoli burger cioè cittadino di Vienna), un magnifico pezzo arredativo, museale, di cui però so solo che vinse una medaglia d’oro ad una esposizione viennese nel 1839 e null’altro, né della meccanica né della valenza musicale dello strumento. Le posso consigliare in rete: Pianos Schaeffer, consulenti francesi di alta fascia che la potranno ragguagliare in merito.
Riguardo ai mobili di cui non si cura inviare le misure (…e vabbè!): il cassettone è del 1920-40, la vetrina (ciliegio?) degli anni successivi. Tali mobili, che nel passato valevano: sui 1.000 euro il primo e 600 euro il secondo, ora sono rispettivamente sui 400 e 300.


Pot-pourri di QUADRI

Signor Enrico Giammartini, la sfortunata – per tanti motivi famigliari – Maria Brignole Sale De Ferrari Duchessa di Galliera (1811-1888), senza eredi, lasciò le sue proprietà, palazzi ed arredi, al Comune di Genova ed a suoi ospedali, le Fondazioni dei quali, San Filippo e Galliera, vendettero le quadrerie e gli arredi loro assegnati attraverso aste pubbliche. Il suo quadro con “putti” (cm 106×85) fa parte quasi certamente di una delle tali alienazioni. All’epoca le opere d’arte venivano vendute al miglior valore soprattutto per la fama del proprietario, e la duchessa Galliera, sia per la sua difficile vita sia per l’altisonanza del casato, aveva un grande prestigio in Genova e non solo. Quindi, signor Enrico, la sua opera fu certamente acquistata dalla casa liquoristica Stock negli anni 60 a caro prezzo e/o comunque proposta come primo premio ad un concorso (1960) il cui secondo premio era addirittura un’autovettura. Il premio vinto dal nonno di sua moglie è un’opera settecentesca di bella mano che pur tuttavia – a mio modesto avviso – non raggiunge una maestria tale da potersi attanagliare ad un determinato maestro o ad una scuola definita di pregio. La valutazione potrebbe andare, per i motivi detti, dagli 8 ai 10 mila euro.


Signor Luigi Flisi la sua battaglia navale (cm 128×95) è a firmata Herman Conrad, artista noto negli anni 50-70 al pubblico, ma sconosciuto alla critica. Secondo alcuni il pittore era nato a Napoli nel 1935, secondo altri era un ufficiale tedesco di stanza a Napoli nella seconda guerra mondiale, poi ivi stanziatosi nel dopoguerra. La sua produzione è stata abbondantissima tant’è che si sospetta che vari pittori del genere abbiano usato – al tempo della notorietà – sia i suoi modelli sia la sua firma. Comunque, posto che fosse esistito nella sua interezza artistica, ai nostri giorni viene valutato alle aste e nel mercato a prezzi irrisori: un centinaio di euro per le belle battaglie o i gonfi velieri al vento. In internet alcuni profani propongono l’artista a 500/700 euro, ma credo senza costrutto alcuno. Il suo quadro lo valuterei, per le dimensioni arredative, sui 200 euro.


Signor Paolo Vallarano per il suo quadro a firma Spurio 1978 (cm 40×50) non le potrei indicare alcun canale di vendita: l’artista Mario Spurio (1934 Roma) non è trattato né in aste né in gallerie; era uno di quei migliaia pittori che non certo scevri di passione e talento non assunsero, però, mai rilievo di artisticità tale da poter essere considerati dal mercato e di conseguenza valutati.


Signor Luciano Scarpante da Porto Tolle (Ro), il suo quadro (cm 36×27) – al di là delle attribuzioni al Crespi o al Galizia avanzate dagli antiquari che attribuiscono generalmente tutto a qualcuno conosciuto – a me, e a prima vista, ha parlato di scuola fiamminga seicentesca di elevato spessore, ma le mie competenze in materia non mi consentono di andare oltre. Mi mandi gentilmente foto del retro della cornice “ripulita” e della tela, per ulteriore disamina.


Signor Aldo Ciccina da Centocelle Roma, ma suvvia! …mi vuol far credere che qualcuno le abbia offerto migliaia di euro per il quadro inviatomi in visione? Io non vorrei offenderla, ma lei non si permetta di offendere me. Non pubblico il quadro, non vorrei che fosse uscita qualche legge – da me invocata e perorata – sulla lesione all’ars visiva, con riapertura del carcere duro dell’Asinara dove ci terremmo non gradita compagnia.


E come sempre, un saluto a tutti un abbraccio ai pochi!



Settembre 2023


La signora Franca Boero mi scrive in merito a dieci piatti di peltro a firma Nino Ferrari sul retro incisi.
Nino Ferrari, nome noto ai cultori dell’arredamento di stile e architettura e a pochi altri, nacque e nel 1908 e morì nel 1981. Artigiano di grande spessore dei metalli tutti dai poveri ai preziosi, partecipò alle Triennali d’arte decorativa dal 1933 al 1951e collaborò con illustri architetti: da Gio Ponti a Frette a Camus e ad altri, per i quali elaborò tante creazioni presentate nelle riviste Domus, Stile, Casa e Giardino e altre pubblicazioni varie. Le sue creazioni avevano prezzi elevati, ma non v’è documentazione sufficiente ad appurare dove fosse la sua originale idea e quella degli illustri committenti che naturalmente avevano tutto il guadagno ad appropriarsi comunque delle idee esecutive “dell’artigiano”. Il Ferrari aveva una famosa bottega in Via Floriano Ferramola a Brescia dove per decenni e sino al 1979, con altri valenti collaboratori del grande artigianato “metallurgico italiano”, produceva dei veri e propri capolavori che esponeva e vendeva in grandi manifestazioni dell’arredamento ma sempre e sotto l’egida dell’artigianato che diventava arte, come sopra detto, quando se ne “appropriavano” i grandi designer italiani. I suoi piatti, signora, purtroppo non fanno parte delle serie dell’artigianato elaborato, colto, da esposizione e designer, sono relegati all’ambito di bottega seriale e fatti per la massa della borghesia. Difficile dare loro un valore anche perché nel mercato non v’è molta circolazione di cose del Ferrari. Mi spencolo autonomamente: sui 70-80 euro a piatto.


È da parecchio oramai che non ricevevo quesiti sul famigerato “capodimonte”. La signora Monica Alfieri nuova lettrice all’oscuro di quanto scrivo da decenni (e cioè che il marchio da oltre un secolo è adoperato senza privativa da chi lo voglia – cinesi compresi) manda un quesito cieca un’alzata in ceramica (cm 36,3×19 H) marcata Capodimonte – Bernini. Signora, innanzitutto il pezzo non è dei primi del Novecento come lei scrive ma degli anni 70, ed è un prodotto di non identificata fabbrica credo vicentina (Bernini è la serie) conosciuta solo per questi prodotti così connotati, come potrà appurare su siti di vendita privati in rete. La sua alzata, se integra e senza alcuna rottura, può valere sui 50 euro.


Signora Linda L. da Varese, le sue sedie sono prodotti eclettici; fabbricate con tornio e pantografi industriali sin dagli inizi del 900, uniscono la neo arte rinascimentale umbertina al nouveau e probabilmente sono state fabbricate negli anni 40. Purtroppo il loro valore è molto basso: sui 150/200 euro tutte se in buone condizioni, e se invece molto tarlate addirittura sono invendibili.


Signora Lionella Zafferini, lei ha inviato due foto scarne e mal fatte di un supposto servizio da tè senza indicarne i pezzi componenti ed il numero. Ma le rispondo egualmente perché anche altri lettori, Faldini e Riola, mi hanno inviato marchi della corona della Baviera (Germania) che sono spuri, nel senso che vorrebbero appartenere come tipologia alla Porzellanfabrik Shumann di Arzberg ma non ne hanno né stile né qualità (e anche il marchio è infatti poco omogeneo). Sono servizi degli anni 50-70 del ‘900 probabilmente prodotti in Asia o Cecoslovacchia e valgono comunque sui 40/60 euro cadauno come oggetti decorativi.


La signora Claudia Ukmar manda in visione un vaso della Schiavon Ceramica, degli anni 80 credo, quando Luca Schiavon (figlio dei ceramisti Elio e Linda Metta) dopo essere andato per studio in Giappone e averne appreso diverse tecniche, una volta tornato iniziò la produzione ispirata agli stilemi di quel Paese. Le sue brutte foto non consentono un bell’esame del vaso (36 cm) ma il marchio lo assegna alla produzione della manifattura e non a quella personale di Luca (che firmava stilizzato con una S ed una L), pertanto, esso ha minor valore: sui 200 euro.


Signor Pier Luigi Deiana, lei ha una cassaforte inglese del ‘900, F. Andrew-Birminghan (cm 45x40x65) purtroppo aperta dal retro da un fabbro, e con ciò le debbo confermare che tale atto l’ha resa non solo inutilizzabile ma invendibile. Il valore di una cassaforte sta nella sua integrità: già forzata e comunque aperta anche sul davanti è ai nostri giorni non più ripristinabile nei suoi meccanismi e non ha più alcun valore se non a peso del metallo o come oggetto di arredamento da giardino. Valore, 50/70 euro.
E con ciò rispondo anche al signor Paparesta quanto al suo forziere blindato ottocentesco, Ponzo & figli – Milano, tagliato con una fiamma ossidrica.


 

Signor Stefano B., sì! il suo servizio da caffè in porcellana da 12 è degli anni 70-80 del ‘900. Il marchio apposto della prestigiosa Winterling di Kirchenlamitz (comune tedesco della Baviera) è stato usato dalla ditta dal 1950 sino al 2000, anno del suo fallimento. L’azienda iniziò l’attività nel 1938 con Eduard Witerling il quale da direttore di un industria tessile, per avvenimenti nell’allora mercato di guerra, divenne direttore di una manifattura di ceramica-porcellana, e che nel 1950 si costituì come Gebruder Winterling.
Il valore ai nostri giorni è in netto calo rispetto al passato, per l’assoluto disinteresse a tali apparati da tavola; il servizio potrebbe spuntare, se in stato di perfezione anche nelle dorature e nei decori, sugli 80/120 euro. A comprarlo nuovo – non so se ancora vendano porcellane del genere – minimo andrebbe a costare sui 300/400 euro.


L’affezionato lettore Roberto Desogus dall’incantevole pur soleggiata, come scrive, Sardegna, scrive ponendo alla mia attenzione due vasi. Il primo (altezza 14,5 cm) è opera del maestro ceramista Raro Pastorelli (nato ad Arcidosso GR nel 1924 e morto nel 2003 ad Avellino, ove aveva bottega e negozio). Valore, sui 150 euro. Il secondo (altezza 12 cm), che è firmato sulla base A. Bucci Faenza, al lettore piacerebbe fosse opera del grande maestro coroplasta Anselmo Bucci (1887-1956) ma, mi spiace, non credo sia così. Il faentino era grande tecnico sia della pasta sia della decorazione, e i suoi modelli hanno ognuno un che di unico e di bello, qualità che purtroppo non riscontro nel vaso sottopostomi, che ha linee, modellazione e decoro seriale.
Bella la sua continua ricerca ceramica e sui suoi maestri. Forza Paris.


QUADRI e quadretti

Signor Antonio Ferro, lei pone in visione un’opera dell’artista Angelo Di Santo che in rete (e solo) ha quotazioni veramente alte per un arte che, le dico francamente, è cosa da mestierante di limitato bagaglio pittorico. A me spiace sempre svalutare persone che dedicano con sensibilità e passione la propria vita all’arte, ma al di là del giudizio del critico, se vogliamo effimero e transeunte (e quanti artisti tipo, per dirne uno, Vincent van Gogh,sono stati “oltraggiati” in vita da critici somari di cui non si ricorda ora neanche il nome), purtroppo quando si risponde a dei precisi quesiti qual è il suo, che non dubita evidentemente del livello del pittore ma ne chiede una valutazione, io sono costretto a rispondere: dai 30 ai 70/100 euro, e ciò corroborato dal fatto che il Di Santo non è presente nelle gallerie specializzate, nel mercato e nelle case d’asta e, a mio sommesso avviso, è un – semmai – bravo decoratore, nulla di più.


Il signor Gino Del Nero invia tre quadri. Il primo è delle serie anni 60-70, pezzi forniti da pittori seriali a mobilifici e negozi coloristici, il cui costo della cornice è certamente superiore all’opera contenuta. Gli altri due, invece, hanno la firma prestigiosa di uno degli esponenti pittorici più difficili ed estroversi del 900 italiano ma di riconosciuto talento internazionale: Ottone Rosai (1895-1957). Naturalmente, signor Gino, non le posso certo dichiararne l’autenticità né il valore da immagine, la posso indirizzare, se crede, al professor Giovanni Faccenda, che tra l’altro è preposto al Catalogo Generale Ragionato dell’artista – info@ottonerosai.it.


Signor Giovanni Bannino, purtroppo il suo quadro firmato Mal Bell AC67 è cosa di nessunissimo interesse artistico.


Il signor Paolo Mal manda in visione due quadretti ottagonali (cm 20×35) di impronta settecentesca. Purtroppo ho visto tantissime cose analoghe rifatte di sana pianta ai nostri giorni, e l’estrema rifinitura nonché l’essere in coppia – a meno che non abbiano subito un recente restauro – mi fanno, appunto, pensare. Fossero autentici, cosa che le scarne foto non mi danno modo di verificare, varrebbero sui 250 euro cadauno ,altrimenti 70/100 euro la coppia.


Il gentile signor Maurizio Marchetti Morganti manda alla mia attenzione un quadro (cm 100×75) che potrebbe rappresentare San Luigi Gonzaga (ma anche altri santi hanno un ‘iconografia simile). L’opera, novecentesca, non è di grande composizione né di eccelsa mano, in più è talmente devozionale da poter trovare alloggio, e solo, in un luogo di culto. Non la considero affatto appetibile per il mercato, e la quotazione quindi – benché sia stata rifoderata e restaurata – può essere sui 300/400 euro.


Affezionato lettore Massimo Ferrario anch’io, come il suo Cristo sofferente (cm 51×40) in tela incollata su tavola (?), alla sua disamina mi sono rattristato, ma lei mi è simpatico e gliela dirò così: il quadro, simile a quello che avevano come “capezzale” i suoi genitori nella loro camera da letto, e che lei ha ritenuto di dover comprare (non mi rattristi vieppiù e non mi dica a quanto) è sulla tipologia dei cristi sofferenti del Reni, ma il suo esemplare è reso “masaniello” dalla veste rossa annodata a fiocco garibaldino sul davanti. Naturalmente di modesta composizione (in controluce si vede un bassissimo spessore pittorico omogeneo), andrebbe visto senza cornice e a luce radente, ma se è per “ricordanza” e devozionale, va bene così. Il valore comunque, avendo cornice un po’ scomposta e fosse una vera pittura e non una ridipintura su un cartone, sarebbe sui 300 euro. L’abbraccio comunque.


Il signor Daniel Samalia pone alla mia attenzione quattro quadri. Il primo (cm 80×80) è opera dell’artista pop belga Antoine Liesens che, pur avendo prezzi sostenuti in siti ufficiali, nelle aste non riesce a spuntare che cifre dai 50 ai 150/200 euro. Il secondo pezzo (cm 60×120) è del pittore Antonio De Vity (pseudonimo di Umberto Morone, Napoli 1901-1993); anche lui in rete spunta cifre interessanti ma le sue opere alle ultime aste (Ponte-Gelardini) scendono ai 100 euro. Il terzo quadro (cm 64×55), con nome non identificato dal signor Samalia e neanche da me (Paris 1934), come pezzo arredativo vale sui 100/150 euro. Ed in finis, Edoardo Guerrero (cm 65×25), nome a me sconosciuto, la cui gradevole natura morta vale un centinaio di euro.


Un ben ritrovato al dott. Gianluca Destro che, laureatosi recentemente all’Università popolare di Google, aspira, scrive, a sostituirmi nella rubrica, e vista più che la mia senescenza la mia arteriosclerosi galoppante non gli sarà poi così arduo.
E veniamo, sino a che ne sono titolato, a rispondere ai suoi quesiti. Il primo riguarda un Picasso (autoritratto) di cm 67×51 e consigli, firme discriminanti e altre banalità del genere. I “picasso” sono tali (innanzitutto accompagnati da corposa documentazione, che i ritrovamenti in soffitte, cantine, bauli o mercatini sono balle) se li dichiara la Fondazione preposta o, in subordine, un grande esperto del Maestro a livello internazionale, ma non vi deve essere alcuno in contrasto a tale parere, altrimenti è solo la Fondazione che detta legge, e benché i Tribunali possano darne parere diverso, poi chi è che compra a suon di centinaia di migliaia di euro? Comunque, a mio avviso – sommesso – il quadro non è autentico, altrimenti tutti i “volponi e volpette” che lo hanno visionato non lo avrebbero lasciato senza “uccidere”.
Riproduzioni di Gaetano Previati? Cosa significa… che sono stampe? E per quale oscuro – a me – motivo avrebbero consigliato di comprarle?
La brocca di brutta produzione “talebana” è da tenere quale arma d’offesa e visiva e quale tangente per qualche malintenzionato si introducesse nella magione.
La litografia di artista non decifrato non si spertica in arte, in trasparenza v’è la filigrana (sembra fabbrianese) del foglio usato per la tiratura. Apro e chiudo il capitolo sull’artista (parente della sua compagna) Fausta Squatriti, certo personalità eclettica del panorama artistico italiano degli anni 60-70 che io, detto per inciso, non conosco bene, né amo granché. Di lei, in giro ed in alcuni siti e/o gallerie si danno elevate quotazioni che vanno però a cozzare con i risultati delle case d’asta presso le quali alcune opere hanno avuto aggiudicazioni di un centinaio di euro a malapena. Scritto ciò, vi sono tra i suoi lavori anche cose mirabili come il bel disegno di nudo inviatomi.
E a tal punto, non mi resta che attendere “a mancina” il suo “destroso” annunciato arrivo in redazione.


 

IL QUADRO

L’opera (cm 78×58) me la invia il signor Alessandro Tramontano. Vendutagli anni fa come ritratto di Luigi XV, dopo ricerche ha invece appurato essere simile al ritratto fatto al Principe James Edward Stuart detto Old Pretender, figlio di Giacomo II d’Inghilterra e Re di Scozia con il nome di Giacomo VIII dal 1745 al 1746, ritratto eseguito da Alexis Simon Belle (1674-1734) famoso ritrattista francese di nobili e giacobini. Il detto ritratto (cm 136×104), come ho appurato dai cataloghi della Dorotheum asta del 9-6-2020, è stato bandito (lotto n. 107) con una stima di 30-40 mila euro e aggiudicato a 50.300.
Signor Alessandro, c’è una certa somiglianza anche negli abiti “di scena” usati per ritrarsi (che erano poi simili secondo il grado nobile di appartenenza) ma, e al di là di questo, la pittura del Belle è intrisa di un phatos seriale proprio di un ritrattista di corte ed è incentrata sullo sguardo del principe designato e voluto, mentre il suo dipinto ha toni coloristici e dettagli più reali ma meno incisivi, meno fulgenti, e non raggiunge l’apice, a mio vedere, dell’arte ritrattistica. Ma… ma è d’uopo che io rammenti – a lei e a tutti – di non essere precipuo esperto di arte ritrattistica di corte o nobiliare antica anteriore al XIX. Il mio è un parere di vecchio frequentatore di mercati, aste e quant’altro e possessore di una ricchissima biblioteca di conforto a tale scorrere. Comunque, e a mio modesto parere, il suo quadro può essere stimato tra i 6 e gli 8 mila euro.

 


E come sempre, un saluto a tutti un abbraccio ai pochi!



Agosto 2023


Purtroppo ho capito che anche i lettori fedeli e gli amici, non sempre si ricordano o sono spronati, esortati, attirati dalla lettura della mia rubrica mensile. Ma d’altronde ciò è tipico della nostra epoca, attratti da un’infinità di cose che ci occupano interamente la vita quotidiana, e dove anche il non fare nulla è diventata una normale – piccola o grande – abitudine. Nulla a che fare naturalmente con “l’elogio dell’ozio” a cui spronava cerebralmente il grande filosofo Bertrand Russell.
E allora ecco che una mia affezionata lettrice da “trent’anni”, la dottoressa Pina Salvadori Benni di Milano che “mi vuole bene come un figlio” (sic), “mi ammonisce”: “professore io credo che lei sia un mostro di sapienza, ma a volte mi pare che lei sappia troppo (!?) cioè spazia talmente sulle materie da risultare o un genio o uno scaltro che trae poi le risposte da internet come noi tutti comuni persone” (sic). E seguono degli “ammonimenti” a non discettare troppo sui quesiti a vanagloria (!?). Dottoressa lei mi lascia basito, ho sempre scritto e più volte – ma già, dimenticavo appunto che non tutti e non sempre, pur essendo affettuosi lettori che mi leggono – che più mi impegno nello studio e nella conoscenza e più realmente capisco di non capirne un granché e di non saperne molto. Rispondo ai quesiti con ciò che ho letto e appreso nella vita, e certamente più che su internet con la consultazione di libri, cataloghi opuscoli, prontuari e quant’altro dispone la mia vasta – certamente ben più di me – biblioteca. Sommariamente, credo di aver capito nel tempo di essere abbastanza ignorante da non dovermi vantare, e lo dico senza alcuna falsa modestia e dolendomi di non aver abbastanza studiato e di aver perso tanto tempo nella vita in altre attività certamente piacevoli ma talmente transeunti da non avermi lasciato nell’essere che avvizzisce, nulla.
A tal proposito, dottoressa Pina pluricentenaria “mamma”, eh sì! che pur saltuariamente – e poco fidandomi – ricorro a Wiki, ma mi sovviene che se anche voi scaltri lettori ne avete l’accesso perché poi mi scrivete per saperne qualcosa? Eh… lo so di vivere un mondo improbabile, dove ai produttori di prosciutto di Parma (quelli del “venticello locale” che fa del loro prodotto un “unicum”) che si riforniscono da allevamenti dove l’igiene e la norma sono sconosciute e gli animali soffrono in dei “lager” (magistrale servizio Report Rai 3), fanno da contrappunto le iniziative “culturali”, ad esempio della città di Vinci (Firenze), dove hanno creato la festa dell’Unicorno: oh… gente adulta…, non bambini, travestita da gnomi, elfi e quant’altro, che passeggia in improbabili mise da carnevali mica di Venezia o Viareggio ma di proloco di paese! Mi verrebbe da dire, fossi buono, da deficienti. E ciò nella patria dell’immenso Leonardo! Oh tempora o mores… E mi viene da dirvi semplicemente: non consumate mai più il Parma né andate a Vinci, non è che cambierete la vostra vita ma… ma la potreste cambiare a loro!


Il professor Ugo Soragni, che ho conosciuto leggendo i suoi importanti saggi (già Direttore generale dei Musei del Ministero della Cultura, saggista e conoscitore della pittura lombarda e veneziana dei secoli XV e XVI, con pubblicazioni su Giorgione, Bellini,Tiziano, molteplici incarichi pubblici e una bibliografia sulle architetture italiche sorprendente), mi fa l’onore di scrivermi per poter valutare un quadro in suo possesso (cm 200×120) riportante la scritta del nome dell’effigiato: Comm. Antonio Bellini 1944, ma non la firma dell’autore che io credo di poter individuare nell’ottimo pittore mantovano Ugo Celada da Virginio (1895-1995). L’artista, iniziando la carriera giovanissimo, produsse nel corso del tempo molteplici opere attraversando diverse transizioni pittoriche, ma sono riconoscibilissimi i suoi ritratti e le nature morte, per quell’aurea nitida e sorprendente di pacatezza pittorica che lo ha sempre distinto nel corso della sua centenaria vita. Il valore della sua tela, professore, è a mio avviso intorno ai 1.500/2.500 euro poiché, purtroppo, trattasi di ritratto di privato non sufficientemente noto per proporlo a città, enti o parenti, ed in più non firmato e non avente (almeno lei non me ne parla) documentazione di passaggi. Può usare liberamente questo mio giudizio per un’attribuzione di massima.


Piccolo professor “accademico delle ciabatte e quant’altro” Sergio N.: lei è avanti con gli anni ed io non voglio “spubblicarla” né tanto meno offenderla, anche se lei non si perita di definirmi uno “dei tanti” periti della rete che scrivono per riempire una rubrica, senza né studi né arte (sic). Sergio, diamoci del tu: io provengo da una rivista che – sia pur specializzata nei mercati di piccolo medio antiquariato – è stata stampata a distribuzione nazionale per trent’anni con una tiratura di 10-12 mila copie mensili. Senz’altro ho studiato più di te, e so che in Europa il peperone – sì, quello che insieme a carote, verdure e cipolle adorna la natura morta del signor Paolo Inverni che tu hai definito pittura dei primi del 400 – è invero un ortaggio giunto insieme alle altre mercanzie che dal secondo viaggio (quello del 1493) un certo genovese, Cristoforo Colombo, portò da terre lontane nei nostri lidi. Ma e al di là di tale dato di fatto, quello che mi colpisce in alcuni individui, tipo te, è la tracotanza “ad libitum” con cui ci si permette il confronto con altri esperti che giudicano da semplici immagini, come me, e non dal vivo come – ma erroneamente – hai fatto tu. Ed inoltre la tela della natura morta in oggetto è stata tessuta addirittura con un telaio meccanico tipo a “licci” (Prato dopo il 1870 in Italia) e non ha nulla a che fare con le prime tele da pittura quattrocentesche dove si vedono le imperfezioni dei telai a mano, spoletta e piede. Ma prendere una pittura ottocentesca per una “dei primi del Quattrocento” è una cantonata talmente grande che, non fossi tu avanti con l’età, senz’altro ti pubblicizzerei con nome e cognome per quel che sei realmente e cioè un pensionato ex docente di arte in una scuola media, che d’improvviso si è scoperto connoisseur e perito. E ciò con tutto il rispetto per tutti i professori italiani di ogni ordine e grado ai quali – pagati poco – tocca ai nostri giorni trattare con equidi minori e loro procreatori, asini veri, così come tocca anche a me – ma perlomeno ben pagato – con te, Sergio N.


Signor Andrea Bonora, il suo “disegno” è una litografia dell’ottimo disegnatore ed illustratore Natalino Arfelli (1922-1997) che lavorò ad alto livello per libri, giornali, riviste e fumetti. Purtroppo le lito non sono più commerciabili ai prezzi di una volta e in più la sua: Bologna le due torri – 1978, è pezzo ad alta tiratura (159esima su mille) e può valere, nella città felsinea, poche decine di euro.


Il signor Francesco Lamaddalena pone due quesiti. Il primo riguarda uno pseudo arazzo (cm 100×100) tessuto industrialmente negli anni 70-90 del Novecento, di nessun valore monetario. Il secondo (di cui non manda misure, non indica se funzionante e né riferisce alcuna caratteristica tecnica a supporto) è un orologio tipico della Foresta Nera, zona nel sud est della Germania caratterizzata dalla Deutsche Uhrenstrabe, o strada degli orologi, dove ci sono centinaia di fabbriche e laboratori, alcuni con prodotti di prestigio altri con orologi per turisti a mo’ di souvenir. Lei, signor Francesco, pensa che la semplice provenienza lo collochi ad avere “discreto valore”, ma cosi non è. Il suo orologio, ad occhio, è un prodotto senza meccanismo di pregio, senza funzioni di “cucù” (funzioni predilette) ed ha una strana campanella, probabilmente fatta fare su ordinazione per scopi che si ignorano. Se funzionante perfettamente, il valore è sui 150/200 euro, altrimenti 60/80.


Signor Paolo Accardi, purtroppo il suo quadro (cm 50×70) fa parte di quelle opere eseguite da mestieranti negli anni 60-80 a scopo arredativo, e dove l’arte non è presente. Le vendono nei mercatini a decine di euro e le comprano per le cornici.


Signora Luisa Ghirimoldi, non ho cercato a lungo notizie inerenti il pittore Fulvio Sala 1965 inviatomi giacché il suo quadro (cm 48×68), pur avendo una certa mestizia, tradisce il suo carattere di scarna pittura da non professionista. L’altra opera della stessa misura non appartiene alla mano del pittore detto ma peggio a quella di un mestierante – pur altrettanto privo della peculiarità artistica – degli anni 60-80. Come oramai ripeto ai lettori in tante risposte, si tratta di opere di nessun valore se non quello sommariamente arredativo e/o quello economico di recupero delle cornici (che oggi, a farle fare, dovete privarvi di un occhio della vostra testa o di quella di qualcuno a voi vicino, parente o sodale che sia).


Signor Luca Collina da Bologna, mi spiace dover essere rude con lei così gentile, e non vorrei essere ‘sì profanatore di memorie parentali, ma la pittura (cm 26,5×40) postami in visione è copia di basso spessore artistico del Cristo sofferente del Reni. Gliela dico tutta: di mano dello stesso donatore o di altri scarni e scarsi pittori a lui coevi? Il quadro, compresa la sua cornice, può valere 250/300 euro, per una cappelletta o casa di campagna a rischio furti.


Signor Maurizio Tarantino, il suo vaso (cm 28) con bronzi e adesivo non è certamente di Limoges ma, dal nome italiano del decoratore, è stato fabbricato in una delle tante manifatture vicentine o campane specializzate in tali oggetti per regali “matrimoniali” che tanti comprano anche a caro prezzo in buona fede. Dal 1962 il Tribunale commerciale francese ha sentenziato che il marchio Limoges è da attribuirsi esclusivamente alla porcellana prodotta e decorata nella città; tale marchio è inglobato nella pasta in colore verde cromo con la scritta “Limoges-France affiancata dalla iniziale o simbolo di identificazione del singolo fabbricante. Il suo vaso, con fabbricazione di decenni, può valere sui 120/150 euro, per arredamento.


Signora Marianna Brambilla, rispondendo a lei mi permetto di rispondere anche alla signora Tina V. e a Piero Veneri.
L’arte, che nella storia dell’umanità è progredita passo passo con l’uomo comune ed era a lui vicina e conosciuta così come il cibo, il gioco, il vivere, mano mano si è evoluta al punto che sempre più l’uomo comune ha cominciato a non percepirla più come tale senza l’ausilio di altri uomini che per mestiere e passione vi si dedicano interamente. E l’arte è cresciuta a tal punto che non basta eseguire un ritratto o una scultura perfetta dal vero per essere considerato un artista valevole, no!, ci vuole il pathos, ci vuole un qualcosa che dia vita a ciò che si è creato: ciò che oggi designiamo con il nome di Arte con la A maiuscola. Nel suo Cristo firmato L.B, un altorilievo (cm 19,5×27) in legno di castagno di cui mi manda anche il peso (!), v’è, e solo, un’artigianalità seriale di non eccelsa fattura (non quindi la “mano esperta” di cui lei scrive) e potrebbe valere, per religiosi e amanti del genere, una cinquantina di euro.


Il signor Sebastiano Bastianelli mi pone due quesiti. Il primo riguarda un’opera in terracotta (cm 21×26) colorata e smaltata di Adam Dworski (1917-2011), ceramista e decoratore croato, ma che a me sembra un rifacimento sullo stile dell’artista (che amava essere definito come artigiano) perché non mi convincono le sigle retro-apposte. Ma… ma io non sono affatto un conoscitore dello stesso in tutti i periodi della sua lunga vita e l’ho confrontato con i miei cataloghi e prontuari che non possono essere certo esaustivi. Detto ciò, e comunque, il mercato odierno ha visto in ribasso tutta l’arte coroplastica, anche quella di eccellenti autori. Fosse autentica, ed io non posso azzardarmi a dichiararla tale, il suo valore sarebbe sui 200/250 euro.
Il secondo quesito verte su un vaso versatoio da farmacia savonese che non le nascondo – sia pur da sole immagini – mi pare un’imitazione realizzata nei nostri anni: labili il decoro e le scritte, estesa in modo uniforme la craquelure.


Signor Marco Cupellaro, lei presenta alla mia attenzione una pendoletta “de voyage” di prestigio firmata L’Epée (la spada), importante marchio fondato a Saint Suzanne in Francia nel 1839, acquistata in una rinomata oreficeria-orologeria di Roma nel 1980, la Baluardi di via Alessandria. Il suo modello, detto Corniche grande 702-51, non è “ottocentesco” come lei scrive, ma risale al detto anno in cui è stato acquistato. Però, signor Marco, ciò che conta, in questo caso come per tutta l’orologeria, non è la vetustà: a darne valore è il meccanismo fabbricato, che è veramente di pregio, e se in condizioni di perfetto funzionamento, con documenti e scatola originale, la sua pendola vale sui 2.500/3.500 euro. L’avverto però che nel mercato odierno girano tante pendolette L’Epée a prezzi da stralcio intorno ai mille euro, vuoi perché hanno pezzi sostituiti o da sostituire, vuoi perché non ne hanno soverchia documentazione o proprio per nulla (importante per gli orologi tutti), vuoi perché la fame è una brutta cosa!


Un nuovo lettore da Torino, il signor Cristiano Piccinelli, manda in visione un bozzetto ad olio (cm 30×42) reperito nella cantina della nonna ad Alassio, perla della costiera ligure; vi è rappresentato l’ episodio di un morente (santo?) a cui si fa vedere l’immagine della Madonna, e mi par quindi di poter collocare l’opera in ambito di cappelletta o privato e non propedeutica ad una pala d’altare. Oggetto più arredativo che d’arte, nelle condizioni in cui è vale sui 200/300 euro.


Signora Sofia… e basta (tralascio il cognome poiché dovendola offendere ed essendo lei alquanto ignorante e petulante – debbo dire con onestà in egual misura alla sua arteriosclerosi – non vorrei essere anche costretto a venire in qualche pubblica aula – ove lei ha d’altronde paventato risibilmente di condurmi – a perdere tempo e danaro), in un qualsiasi giudizio le darebbero dell’esagitata, della disturbata mentale e dell’impunibile, a me qualche calcio verbale per dispendio di risorse pubbliche.
Per i lettori tutti spiego la penosa querelle esibendo parole e immagini. Ella scriveva: “L’importantissimo quadro” (sic) “mio padre” (eh… la genetica ereditaria) “non l’ha voluto vendere per migliaia e migliaia di euro” (quanti?). “L’autore è un importantissimo pittore che non aveva piacere di farsi conoscere” (???), “ma tutti i musei se lo contendevano!!”. Insieme alla missiva la signora Sofia mi spediva foto del quadro con la raccomandazione di non pubblicarlo, ‘che temeva potessero venire dei malviventi ad asportarglielo dopo aver indagato e scoperto – tramite me o la rivista – il suo recapito! Ebbene, ho avuto la sventura di risponderle che il suo quadro era un ciarpame, l’opera di uno stagnaro – in maniera più elegante. Da lì, guai e fulmini: la donzella Sofia mi ha investito a male parole, paventando nei miei confronti azioni legali e terroristiche. Ed io invece, a dispetto, pubblico il quadro, avvertendo come sempre gli amanti del bello di non rattristarsi viepiù, e con la solita raccomandazione di non mostrarlo ai bambini, poveri innocenti che sono nel pieno dello sviluppo della loro ars visiva. Qualcuno di voi dirà: “A’ professo’… ma che discute pure coi pazzi?” Eh sì! e lo faccio per far capire a voi elevati con chi ho a che fare.


Buone vacanze a me che mi guardo bene dal fare in piena estate, e a voi tutti che avendo coraggio e ferie da vendere – embè già il fatto di essere miei lettori… – potete affrontare le masse querule, petulanti e “disturbose”, magari con bambini maleducati o peggio cani al seguito.


E come sempre, un saluto a tutti e un abbraccio ai pochi.



Luglio 2023


Il signor Luigi Di Biase che scrive da Lana – paese meraviglioso del Trentino in provincia di Bolzano che ho visitato mezzo secolo fa e che spero sia rimasto integro nella sua armonia e pace – invia foto di una credenzina (cm 115×50 h 170) in legni diversi, castagno e olmo, acero montano (?), a mio avviso pezzo creato alla fine del Settecento, come composizione finale (dal retro), usando elementi seicenteschi. I rilievi, infatti, non hanno quella profondità tipica della sgorbia più antica. Ma… ma il mobile è di area tedesca e si discosta dagli stilemi italiani cui io faccio per esperienza e conoscenza riferimento quindi, direi, a me così pare. Purtroppo signor Luigi un mobile che vent’anni fa avrebbe rappresentato una stima di perlomeno 6/8 milioni delle vecchie lire, ora glielo debbo assegnare ad una cifra intorno ai 1500/2000 euro. Così va ora il triste mercato che privilegia: targhe, insegne e “arruzziniti” (come è in uso a Roma dire) frigoriferi e similiari; per non parlare poi delle cifre stratosferiche di bidoni d’olio “d’antan” e pompe di benzina!


Signora Emilia Durante, la sua consolle eclettica, che come lei ben scrive sposa l’impero ed il biedermeier, naturalmente, è un rifacimento, sia pur artigianale e non d’industria, tipico degli anni 70-80 del ’900: valore 400/500 euro. La composizione in ottone (specchierina e bicchieri), tipica degli anni 50-60 del ’900, vale poche decine di euro, così come, purtroppo, le statuine orientali (27 cm) di importazione.


Quadri e quadretti

Signor Paolo Mal, il suo quadro ottocentesco con episodio biblico: Tobiolo e l’angelo, non ha particolari qualità artistiche su cui discettare. Sui 600 euro per buon arredamento.


Signora Anna senza misure! – ma in questo caso non servono – il suo quadro non ha alcun valore artistico e il A. Ferrario pittore firmatario avrebbe dovuto adoprarsi senza tema ad altri più a lui congeniali mestieri.


 

Signora Cinzia Jacopucci, mi spiace informarla che purtroppo i suoi quadri a firme varie non hanno alcun valore monetario, mancando di bellezza ed arte. I quadri di pittori conosciuti forse nel passato, non oggi, quando non sono firme d’invenzione (già ne ho scritto) di mestieranti per gallerie – come quella riportata nel retro dei suoi titolata “grandi firme” (e che fa sorridere) – e mobilieri, sono opere che allora come oggi possono trovare gradimento in arredamenti sommari. Valore: sui 30/50 e forse 100/150 euro (quel 120×70 a firma Sanna, che visivamente non disturba).


 

Signor Roberto Di Domenico, lei mi è simpatico “a lettera” e anche per le belle parole che ella ha ritenuto inviarmi, ma temo che le darò dispiaceri – sia pur sommari e per quel che valgono dettati da un perito di “carta” qual sono. Primo, il quadro (cm 50×70) a firma Previati (suppostamente Gaetano 1852-1920) caposcuola del “divisionismo”, non appartiene a mio avviso affatto alla mano del maestro e pur nella accattivante pittura ha un risvolto esecutivo di composizione non certo esaltante (la cesura tra madre e figlio stilisticamente “slegati” e uniti semplicisticamente dentro un drappo denota addirittura la mancanza di bagaglio pittorico afferente), e non ultimo, la firma, che non è nei modi né nella stesura dell’artista. Il secondo quadro (cm 120×80) ha solo valore documentario per il famoso sarto milanese (Angelo Belloni) ivi raffigurato. Terza, la tempera astratta (cm 100×70) che non ha né nella stesura né nelle scritte apposte, per me, canoni di rilievo monetario. In finis la Marina (cm 130×110) firmata Antonio Bresciani (1902-1998) che è piuttosto una natura morta, soggetto che anche per firma non mi convince. Ma fosse anche opera del Bresciani – che alcuni variegatamente e compreso wikipedia “dipingono”, è il caso!, come uno dei più rappresentativi pittori napoletani – il valore dei suoi dipinti in realtà, e secondo il mercato, è di qualche centinaia di euro al massimo per le misure dei 50×70 cm.


Il signor Giovanni Bergerone manda vari quesiti su pitture. La prima (cm 50×70), di discreta mano, Bimbo con balia, epoca Ottocento primi Novecento, vale intorno ai 400/600 euro, ma è poco appetibile nel mercato. La seconda, una natura morta (cm 50×73) ascrivibile anch’essa forse (il lettore mi manda scarne immagini senza i retro delle tele, né altro) alla fine dell’Ottocento, vale sui 600 euro. Il terzo soggetto (cm 70×100), un ritratto di nobile di non eccelsa fattura, sui 400/500 euro per sommario arredamento e per la voga, tra gli italiani, di assegnarsi un “nobile avo di famiglia”. L’ultima opera (cm73x83) potrebbe pur essere più antica, ma veramente fatta da uno stagnino sconosciuto, non oso pronunciarmi su un suo valore.


 

Signor Alessio, purtroppo il suo quadro con artista sconosciuto fa parte di quella serie di pittori decoratori che ne facevano dieci al giorno per appunto decorare case di persone comuni senza interessi artistici. Naturalmente il valore è di poche decine di euro, da mercatini.


Il fedele lettore dott. Graziano De Rivo manda in visione una tela seicentesca (cm 33×53) malamente interpretata come “Madonna” per via dello schiacciamento del serpente sul globo terra e la mezzaluna (che è un aggiunta postuma). L’immagine rappresenta è in realtà quella di Santa Caterina d’Alessandria, e dalle vesti e dalla spada con cui si narra sia stata martirizzata. Naturalmente, trattasi di pittura popolare, ed in più, nelle cattive condizioni in cui si trova e nel “refuso” aggiunto, non può superare il valore dei 300/400 euro.


La signora Claudia Bontempelli presenta alla mia attenzione due quadri del pittore Romano Ocri (1897-1980) con foto che, per quanto sono brutte, non si possono neanche pubblicare. Comunque…. mare che vai!… Signora, il pittore Ocri ha bassi prezzi nel mercato: sui 300/400 euro cadauno e indipendentemente dalle misure.


E come sempre, un saluto a tutti e un abbraccio ai pochi.



Giugno 2023


Signor Enrico P. Bennary, il mondo oramai si sta evanescendo socialmente, la società liquida preconizzata dal filosofo Bauman è in atto. La gente di colore americana che vorrebbe abolire la musica, la letteratura, la cultura non solo coloniale vera e propria ma addirittura risalire al Medioevo, responsabili a loro dire, delle loro passate e presenti condizioni. Quasi se quelle culture fossero state clementi con i poveri, gli ultimi i diseredati! È il percorso di un animale l’uomo, un animale che da ominide in un percorso lungo e tortuoso, non ancora giammai terminato, ancora continua tra guerre ed inciviltà varie. Ma poi, e qui in Italia la ciliegina sulla torta (di quel materiale escatologico umano): tale Susanna “Tamarra” che mi dicono sia una scrittrice, la quale non si perita di dichiarare: “bisogna abolire il Verga dagli studi scolastici”, “io non lo sopportavo” (sic!). Certo, e magari far studiare i suoi sconditi ed inutili libercoli. Da parte mia potrebbe benissimo andare “dove la porta” quell’organo inferiore, nascosto, e recondito che la misera ben conosce.
Signor Enrico, è quindi chiaro che la sua biblioteca eredità di famiglia, composta da quelle cose un po’ desuete (quando non sospette) che chiamano libri, è lontana dal mercato e dal commercio, e quindi è chiaro che le venga proposto l’acquisto a blocco (e a peso). Purtroppo sono anch’io – e per citare lo scomparso e sommo editore Giovanni Scheiwiller di Milano – un “libridofilo” e quindi a rischio (prima o poi) di essere recluso. Mi riscriva sui titoli e ne parleremo.


Signor Marco Ristori, la sua madonna in bisquit (h cm 19) ha il marchio seriale della N coronata o Capodimonte con cui, naturalmente, non ha nulla a che fare. E in più il marchio è talmente anonimo che potrebbe essere di manifattura tedesca o vicentina. Non posso stabilirne l’epoca dalle sole immagini, ma mi spiace dirle che l’oggetto non è di grande fattura artistica e che il suo restauro supererebbe di gran lunga il suo valore.
Riguardo ai due vasetti – anch’essi di non grande esecuzione (14,2 cm) – hanno un falso marchio della vecchia ditta boema di porcellane Pirkenhammer, e questi, quasi sicuramente, sono di fabbrica vicentina degli anni 40-70 del Novecento. Il falso è dato dalla scritta in italiano Austria sotto il logo, che non appartiene ad alcun marchio della fabbrica sin dal 1803 (anno di costituzione), e al di là di ciò, semmai, sarebbe stata indicata la sua denominazione in lingua tedesca che è Osterreich. Le fornisco comunque due indirizzi di valenti restauratori di ceramiche a Roma: Federico Squatriti (figlio della Gelsomina – un mito nel campo e intervistata anche dalla nostra rivista vent’anni fa) che lavora nella sede storica di Via Ripetta n. 29 (tel. 063610232), e Alessandra Zingarelli, di cui mi hanno parlato molto bene degli antiquari, che si trova in Via Gabriello Chiabrera n. 98 (tel 065417863).


Signor Massimo Sabbadini, certamente, ed anche per le modalità con cui le è pervenuto, il piccolo disegno (cm 8,5×9) è da ascriversi come originale all’opera di Tullio Garbari (1892-1931), pittore scrittore nato austriaco in Pergine Valsugana all’epoca non appartenente all’Italia, artista “primitivo” dal percorso tormentato, appartenente alla cerchia di Boccioni, Casorati, Gino Rossi, Severini. Farselo autentificare sì!, se ciò non ha un costo, o conservare documentazione e fatture dell’acquisto fatto, delle carte del critico d’arte (in cui lei ha pervenuto il disegno) ed inerenti l’artista. Le spiego, le opere del Garbari hanno un mercato eterogeneo: un olio (cm 50×40) stimato 300/500 euro è stato aggiudicato a 16.875 all’asta Pandolfini luglio 2022 (cosa incredibile e suscettibile di domande), ma in altre aste, sempre per tele, l’artista è stato valutato sugli 800/1.500 euro e venduto sui 2.000/3.000. È capitato anche che sia rimasto invenduto, come nel giugno 2022 quando un disegno (cm 48×34) messo in stima e partenza a 180 euro dalla Gonnelli aste (specializzata in cartaceo) è rimasto senza alcuna offerta. È la sorte oggigiorno degli artisti validi ma non di prima fila, che non hanno mercato stabile e che sono acquistati dai soli collezionisti o dai mercanti intermediari che poi ne decidono fattualmente il valore di volta in volta.


Signora Ines Sarri, il pittore palermitano Michele Catti (1855-1914) allievo del Lojacono amico del Michetti e del De Nittis che fu indubbiamente uno dei più grandi vedutisti italiani, dipinse in modo appartato. Era un aristocratico di grande animo e maniere, ma la sua fama era circoscritta alla Sicilia. Visse quindi anche in ristrettezze economiche e tutta la sua produzione finì nelle raccolte dei collezionisti siciliani che, pur apprezzandolo, naturalmente pagavano poco un pittore che non avesse fama continentale. Rarissime quindi le sue opere “originali” nel mercato sostituite nel tempo da quelle del di lui figlio Aurelio, (1895-1966) apprezzato pittore continuatore del padre che però non ne raggiunse mai la levatura e che in qualche modo “ricopiò, ma solo l’ultimo periodo impressionista del padre. Ed è cosi che lei ha acquistato a 2.000 euro un’opera firmata Michele ma quasi sicuramente dell’Aurelio. Può riportarla con “le buone” al furbo o ignorante gallerista. Non ho mai conosciuto in vita mia un gallerista onesto e/o serio, ce ne pur saranno – pochi – senz’altro, ma io non ne ho mai conosciuti e anzi nel corso della vita ho visto le peggiori cose appioppate a clienti affezionati: opere senza fatture (primo requisito), senza dichiarazioni con allegate foto (così come effettuato ai danni della signora Ines). E costoro – i gabbati – a distanza di decine di anni se la prendono con il povero perito, dandogli dell’incompetente quando dice loro che le opere che vorrebbero vendere non hanno alcun requisito: “Ma lei sa o no chi era la data galleria al centro di…”, “Ma scherza, ho comprato da loro a milioni – di vecchie lire – per anni”, “Sii…, truffavano a me!”, “Sono venuti al mio matrimonio!”. E in più, nell’arte moderna specialmente, la cosa più importante non è l’opera ma la documentazione che l’accompagna. La sua veduta, signora Ines, pur essendo “antica” dei primi decenni del 900, non appartiene al Michele Catti e per stesura pittorica e per i tratti più racchiusi in un lirismo ridotto che denotano proprio la minor mano del figlio Aurelio. Non pubblico l’opera come espressamente richiestomi.

 


 

Signora Giancarla Benedetto, il suo grande ghepardo (h 63 cm) in ceramica di cui non trova notizie è stato eseguito dalla manifattura Ronzan, fondata a Torino nel 1939 e chiusa definitivamente nel 2001. Il suo pezzo dovrebbe risalire al periodo degli anni 60-70. Il modello originario degli anni cinquanta – poi foggiato in diverse misure – è del Giovanni Ronzan (1906-1974); quelli misuranti sino ai 30-40 cm di altezza stanno sul mercato intorno ai 150/250 euro. Dei tipi alti come il suo purtroppo non ho riferimenti specifici di vendita, se non quello di un espositore al mercato dei Sabati dell’Usato (il più grande mercato al coperto del centro Italia, a Monterotondo scalo – Roma) che ne ha venduto nel gennaio c.a. uno uguale a 600 euro, e quello visibile nel sito di design online Pamono in cui un venditore lo propone attualmente a 2.500 euro. Io sinceramente penso che il valore reale possa essere intorno ai 1.000/1.200 euro non essendone né facile né scontata la vendita, ma ripeto, non ne ho contezza mercantile.


Il dott. Graziano De Rivo manda in visione un letto (cm 200×90) in ferro, lamiera e ghisa con pitture dei primi del 900. Tali tipologie decine d’anni fa erano in voga e spuntavano ottimi prezzi, ora purtroppo, non più richiesti, si stimano sui 300/400 euro.


Il mio lettore Roberto Desogus dalla magnifica Sardegna, che abbraccio, mi manda immagini di una formella in terracotta (cm 41×18) opera di Bruno Bini di Cannara (Foligno), 1889-1978, scultore artigiano, erede della grande tradizione italiana nel bronzo, nel legno, nella pietra, nella coroplastica. Artista di grande mano, schivo e appartato, non ebbe poi gli onori che gli sarebbero dovuti anche perché amava soddisfare opere e collocazioni pubbliche e insieme portali, fontane e manufatti privati di mero arredamento. La sua formella del 1974, seriale e devozionale, ne è esempio. È triste celebrarne il merito e poi valutarne il seriale lavoro: sui 200/300 euro.
Il secondo quesito del lettore è un vaso (h 40 cm) della manifattura Colonnata, fondata nel 1891 a Sesto Fiorentino e ancora attiva sotto la denominazione ACF (Arte Ceramica Fiorentina) dal 1964. Oggetto degli anni 40-50, vale sui 250/300 euro.


Ma le misure?… Ve possino…

Signor Beniamino Ribola, la prossima volta mandi le misure! Le sue spade, comunque, sono copie industriali, imitazioni di armi antiche fatte con materiali di bassa lega. È, così, esonerato dalla denuncia alla pubblica autorità per il loro possesso (armi bianche) che altrimenti avrebbe dovuto fare specificando la loro provenienza specifica. Il valore è di poche decine di euro cadauna, per arredamento.


Signor Michele Angelo, anche lei affezionato lettore non manda, chissà per quale oscuro motivo, le misure. La sua specchiera mobile è sì! opera del designer Aldo Tura, Milano (1909-1963). L’etichetta afferisce una produzione degli anni 50. Il valore è nell’ordine dei 600/800 euro, anche perché tali oggetti di complemento sono richiesti dal mercato.


Il signor Antonio Masullo che è un grafico affermato, ma non riferisce pudicamente anch’egli le sue misure – come fosse una gentil dama – mi manda una copia di un quadro di Pierre Albert Marquet (1875-1947), che lui dice – non so dove abbia reperito tale informazione – essere un pittore minore. Signor Antonio, la cerchia del Marquet era costituita da Matisse, Roualt, De Vlaminck, Derain, per dire alcuni nomi che non mi parrebbero appartenere al “Convitto degli artisti a riposo”. La sua fama è internazionale. Quotatissimo negli States, anche qui in Europa spunta nelle aste decine di migliaia di euro ad opera. Detto ciò, debbo ribadire che l’arte non antica non può essere espertizzata ad occhio; per stabilirne una provenienza certa ha bisogno di documenti di origine, percorsi, provenienza. Se anche la sua copia tale non fosse, ma invece fosse opera dello stesso Marquet, dovrebbe essere ancorata alla documentazione detta. E da perito, comunque, mi posso spencolare dicendo – dalla sola visione fotografica – che non è tale in quanto molto diversa e per tratto e per luce dall’opera originale del Marquet che lei manda in comparazione. Le copie in genere vengono fatte da autori sconosciuti che a volte hanno anche una “bella mano” ma non tale da esprimersi a propria creazione e nome, e nessun artista di rango e quotato farebbe copie di altri artisti. Ciò per dirle che è impossibile ed inutile risalire all’autore di una tela tra l’altro priva di valori di mercato.


La signora Raponi la capisco, …è una bella donna, suppongo, e mandarmi le proprie misure, sia pure del comò avito, e beh!… è cosa un po’ osé – neanche mi conosce, la comprendo – e a tal motivo, inoltre, per pudicizia fotografa il mobile da lontano e sfocato. A posto!


QUADRI purtroppo non valevoli

Iniziamo con la signora Elisa: il quadretto (cm 13×23) a firma dello sconosciuto Silvio Conti non ha alcun valore né artistico né commerciale.


Il signor Giuseppe Facchini manda in visione l’opera (cm 80×60) del pittore Mario Mantoni di cui vi sono pochissime tracce biografiche e che comunque avrebbe meglio fatto ad impegnarsi in altra professione. La cornice è l’unica cosa, benché di minimo valore, che, mi spiace, purtroppo noto.


Signora Ornella, la sua stampa non ha valore alcuno.


Il signor Renato di Properzio mi sottopone la tela (cm 50×70) di un pittore seriale degli anni 50 del Novecento, probabilmente con firma di fantasia. Questi “artisti” in genere dipingevano su commissione per i mobilieri (che abbinavano quadri omaggio ad arredamenti), per i negozi di casalinghi e/o corniciai. Purtroppo il valore è di una cinquantina di euro per sobrio arredamento.


Il signor Marco, oltre a non mandare le misure, spedisce immagini di opere a firma Blondell ed altri che non hanno alcun valore, né artistico né quindi economico.


E come sempre, un saluto a tutti e un abbraccio ai pochi.



Maggio 2023


Signora Mariolina Bonora Satta, voglio precisarle ad onor del vero che sono stato conoscente – più che amico o come lei dice allievo – di Federico Zeri (1921-1998), grande storico dell’arte di fama internazionale, con scambi telefonici ed epistolari e a volte con screzi; uno di questi da me provocato pose fine, al se vogliamo, sodalizio. Negli anni 90 uno scaltro e noto antiquario torinese, Giancarlo Gallino, sottopose un piccolo crocifisso di legno (40 cm) cinquecentesco, che girava anonimamente nel mercato, all’attenzione dei maggiori studiosi in materia dell’epoca, indicandolo come opera giovanile di Michelangelo. Una serie di questi (tra cui lo Zeri) esultarono nel riconoscerlo tale, e addirittura dopo un decennio, nel 2008 (e nonostante altri illustri pareri lo negassero drasticamente), fu venduto allo stato italiano per 3.250.000 euro! Io avevo suggerito anzitempo all’emerito Professore essere il crocifisso – a mio modesto avviso, che altri ne avevo visti – opera di un intagliatore dei valenti “legnaioli fiorentini” della fine del 500. Ne ricordo – ero nel 1996 in Mentana nella sua imponente magione tappezzata da opere e libri – il sorriso sarcastico di commiserazione. Il tempo passò, e nel 2012, dopo che il cosiddetto “cristo del Gallino” fu sbugiardato da critici in tutto il mondo, la Corte dei Conti avviò una tardiva richiesta di danni a carico dei pomposi funzionari che ne avevano convinto l’acquisto. Ma io ancor prima che succedesse ciò avevo definito il Cristo in questione, detto “del Gallino”, “il Cristo dei gallinacci”… e lo Zeri si adombrò più del solito ed interruppe di fatto, come detto, la comune conoscenza un anno prima di morire nel 1998. In seguito al suo decesso mi recai dai carabinieri del Nucleo Patrimonio per inoltrare un esposto denuncia su irregolarità e fatti non chiari inerenti il passaggio della sua fototeca e collezioni all’Università di Bologna, ma fui indotto a non presentarla dal comando degli stessi militari “per non ingolfare la spinosa vicenda”, e feci male ad aderire poiché tutto sparì dalla sua abitazione e con riserve su tanto materiale che ancora non si riesce a capire dove sia finito. Infatti, a rigore di legge e lascito, sarebbe dovuto nascere nella villa di Mentana un Centro Studi alla sua memoria con tutto il materiale: biblioteca, fototeca, archivio, e vuoi per l’insignificanza politica del comune del luogo, vuoi per le forti forze politiche targate Partito Democratico di cui era densa Bologna e la regione Emilia-Romagna con a capo la “ministramelandri” il suo patrimonio culturale-artistico s’involò tutto nell’Università della città capoluogo tra l’indifferenza generale e il disappunto dei pochi. Detto ciò come cronaca, sia chiaro: non sono esperto di Michelangelo ma neanche d’arte antica a livello dello Zeri e di altri, anzi , ne capisco ben poco e quel poco concerne l’archeo-antiquariato-storiometria che è quel sinonimo da me coniato che prevede uno studio pedissequo dei materiali oltreché delle “visioni” delle immagini. I detti professoroni evidentemente ignoravano il lavorio d’arte dei “legnaioli fiorentini del 400-500”, e qui mi fermo per non andare sullo specifico ed oltre, che ci vorrebbe un libro. Lo Zeri, e devo dirlo, era poi piuttosto accentratore e non riconosceva – per iscritto pubblico – alcun aiuto a lui dato da esterni, come ad esempio pacchi di foto da me a lui forniti e grazie ai quali poté esternare al mondo la sua abilità nello scoprire dei falsi (preferiva citare di averli reperiti casualmente presso rigattieri). Me lo aveva fatto conoscere nel 1992 Gino Ginori, critico d’arte romano minore ma di grande intelletto e spessore, che gli procurò anch’egli irriconosciuto innumerevole materiale di studio; purtroppo questi non aveva spesso comportamenti adamantini nella sua professione e il Professore pur adoperandolo lo dileggiava e offendeva anche pubblicamente.
Comunque, per ciò che concerne la sua complessa eredità americana, quindi, posso unicamente – se vuole – coordinare dal punto di vista fattivo e legale un pool di esperti che se ne potrebbe occupare. Mi parrebbe inusuale e improprio infatti che un solo perito – poi figuriamoci io – possa valutare dalla mobilia alla quadreria, dalla gioielleria alla prestigiosa enoteca, per non dir dell’altro. Rimango comunque a sua disposizione anche per semplici consigli, chi l’ha a me presentata è un galantuomo e vero signore che mi onora da decine d’anni della sua amicizia.


La signora Maria Giulia Panella presenta un altare ottocentesco in legno dipinto (230×187 h x130x95) proveniente dalla Puglia. L’impatto arredativo ne riverbera chiaramente la sua valutazione, quindi potrebbe chiedere senza tema intorno ai 5.000 euro.


Signora Elena Bulla innanzitutto la ringrazio per avere sottoposto alla mia attenzione le lettere del Francesco Ferrero che non credo appartenga alla mia famiglia, che è detta i Ferrero di S. Quirico proveniente dalla provincia di Cuneo e ramo secondario dei marchesi Ferrero d’Ormea. Un Giovanni Francesco Ferrero nato a Romano d’Ivrea nel 1825, ma operante a Roma dove morì nel 1862, fu eccellente incisore e pittore. Riguardo la sua annata del 1880 dei fascicoli della Scuola Medica Napoletana, che lei giudica rara per non averne trovato notizie specifiche in rete e quindi valere una fortuna, le dico, Signora Elena, che l’aggettivo raro non sempre si sposa con il valore; i suoi opuscoli possono interessare, e solo, a livello di studio e conservazione pubblica, non conosco alcun collezionista di tale materia né vi sono risultati di mercato inerenti. Io le posso fornire i contatti con la Biblioteca Gennaro Rispoli – Museo Arti Sanitarie e Storia della Medicina di Napoli, la quale senz’altro potrebbe essere interessata alla sua annata, ma non credo a pagargliela granché: tel. 081.440647 – info@ilfarodippocrate.it.


La signora Silene, che fa parte di quei lettori avulsi e non collegati al comun ragionamento, manda foto di un tavolo supposto di Giorgio Stoppino (1926-2011) architetto e designer italiano, per sapere se sia o meno originale. La gentile signora dovrebbe mandare perlomeno le misure, no?… Macché, i tavoli, si sa, sono tutti eguali!… e quindi le invio io le misure del tavolo in vetro fumé. quello originale, e cioè 75 cm di altezza x 118 di diametro. I bulloni, di cui perlomeno ha postato le foto, sembrano idonei nel metallo cromato. Valore intorno ai 1.200/1.500 euro.


Signor Luciano, il suo vaso eclettico (h 30 cm) novecentesco ha la sola particolarità di poter esser stato prodotto negli anni 30-50 dalla Zaccagnini: industria nata nel 1905 che negli anni 30 (aveva 120 dipendenti) si costituì in Spa, quindi con una produzione enorme esportata anche negli Stati Uniti. E comunque, valore sui 200/250 euro senza difetti né rotture anche minime.


Signora Michela Giovannini dalla bella Ancona, il suo bronzo (28 cm di altezza, peso 14,7 kg) art nouveau di epoca Liberty, non è affatto di “scuola napoletana” ma afferisce, e come da firma, allo scultore francese Auguste Moreau (1834-1917). Molto ben patinato e curato, è certamente una bella opera. Non si può affatto ascriverla come pezzo unico od originale dell’artista, in quanto già alla sua idealizzazione veniva fatto fare in molteplici copie dalle fonderie che ne richiedevano all’artista, a pagamento, il modello od il calco. Poi ci sono i successivi passaggi ad anonimi opifici che nei decenni e fino ad oggi, abusivamente ne imitavano e con tanto di firma. C’è da dire che il suo esemplare è indubbiamente bello, e al di là, valore tra i 600 e gli 800 euro.


Signora Maria Stella Clemente, il suo quadretto (cm 18×28) a firma, lei dice, Antonino Calcagnadoro (1876-1935), può essere valutato sui 250/350 euro (Casa d’aste Colasanti marzo 2022 un 24×16 lotto 130 valutato 100-150 euro).


Il signor Luca – io “rido pe’ nun piagne”, dicono a Roma – sentite: vuol sapere quanto vale un giornale siciliano del 1898 in prima edizione, e basta. Senza scrivere il nome del giornale ne altro!… Eh… è dura, ma ne ho scritto al collega mago Otelma.
Per fortuna – che di ciò si tratta – il secondo quesito è intelligibile: valore di una macchina fotografica Lubitel 2, apparecchio fabbricato dalla Gom2 di Leningrado, in 2 milioni ed oltre di esemplari tra il 1954 ed il 1980. La macchina aveva in originale una custodia in cartone similpelle che quella del lettore non ha. Comunque, per le buone condizioni apparenti e se funzionante, vale tra i 100/140 euro.


Signor Maurizio Castelli, i dischi copia (a volte fatti dalla stessa casa editrice degli originali, senza specificarlo quando le quotazioni salgono a migliaia di lire) e riprodotti in Asia anche su ordinazione, per essere espertizzati hanno bisogno di essere visti dal vero e con gli originali accanto, e non da semplici e, mi permetta, cattive immagini come le sue.
Pubblico nonostante ciò per renderne edotti anche i signori Flavio e Archimede Zedda, che mi avevano mandato mesi fa supposte prime copie dei Rolling Stone e di Roy Orbison.


Il signor Paolo Petris presenta un bronzetto (5,5 cm) non di bella fattura che io considero certamente copia da scavo, altrimenti ne sarebbe proibita la vendita ed io non mi riterrei così ingenuo da dichiararne l’autenticità ed andare a trascorrere con lui un – per quanto forse allegro – periodo tra gente sconosciuta ed in promiscuità di una stanza chiusa con catenaccio (va detto, con il solo motivo di impedire ad altri d’entrarvi e affollarla vieppiù). Quindi, il suo valore è di poche decine di euro.
Il secondo quesito è più interessante: un elegante e raffinato sigillo (9,5 cm) in avorio intagliato, con sopra una perla barocca che copre lo spazio deposito per un grumo di ceralacca; il resto dell’oggetto con punzone – il lettore non me ne parla – potrebbe essere d’argento o acciaio e riporta inciso stemma di famiglia nobiliare da identificare. Signor Paolo, va detto che gli stemmi come il suo hanno un valore di per sé intorno ai 150/250 euro, se ci studia e trova il nominativo del casato, un 20-30% in più.


Il lettore signor Francesco mi manda addirittura “diverse email” riguardanti un’incisione colorata (cm 34×50) del londinese William Neson Thomas (1830-1900), incisore ma soprattutto ricco nobile e fondatore di giornali. Una miriade di foto e informazioni per farmi dirimere sull’autenticità o meno! Ma signor Francesco: cosa pensa di essersi aggiudicato nella casa d’aste online Catawiki? La sua è un’incisione originale di fine 800 (e ci mancherebbe ne facessero pure false) che varrà sul mercato 10-30 euro a malapena cornice compresa, e spero (lei non mi indica a quanto l’abbia rilevata) davvero non l’abbia pagata oltre.


L’affezionato collezionista e mio lettore Mauro Magnati, che ringrazio per la stima, manda in visione delle belle opere. E finalmente, con allegata una seria dichiarazione di vendita (fatta dall’Antichità A. Caiazzo, Via dei Pastai 28 nella bella e storica città della pasta italiana di Gragnano), l’opera venduta è in foto, firmata e certificata con timbro e firma del venditore. Si tratta di un quadro (cm 22×27) del Giuseppe De Sanctis (1858-1924), valente pittore napoletano; ha delle craquelure e dei difetti (riportati nella descrizione di autenticità) che quindi ne limitano il valore. Potrebbe quotare sul mercato (dove sono più appetibili i ritratti di donne in costume ed in particolar modo – ma ciò vale un po’ per tutti gli artisti figurativi – i nudi ) sui 700/800 euro. Mi risulta altresì che degli “esterni in carrozza”, di cui era prolifico l’artista, i più ricercati siano quelli del “periodo francese” (fine 800 primi 900) ma non so dire, sinceramente, se questo dipinto appartenga a quelli.
La seconda opera, una ballerina in bronzo (cm 36), è dello scultore di origine russa Paolo Troubetzkoy (Verbania 1866 – 1938); una eguale è stata aggiudicata all’asta 146 (lotto 376, del 29-30 novembre 2021) della Casa S. Agostino a 1500+d.a (diritti asta), e penso sia il suo reale valore.
La terza opera, sempre scultura dello stesso autore (altezza cm 44), è una giovane a torso nudo, meno iconografica e rappresentativa, ma a mio avviso più soave e delicata. Valore, sui 1.700-2.200 euro.


Donna Carla Zanoli, indubbiamente la sua famiglia aveva ed ha, con lei, il gusto e la passione per le belle cose d’arte e antiquariato. Il grande quadro (cm 185×134) del pittore belga Frans van Damme (Hamme 19-07-1858 – Bruxelles 30-04-1925) specializzato in marine, ha la targhetta errata nelle sue date di nascita e di morte (1860-1918) ma, e per la stesura pittorica e per la firma, penso sia originale dell’autore. Opere così grandi non sono trattate sul mercato, e quindi, penso rare, lo valuterei in Italia sui 3.500/4.500 euro.


Il signor D.L. forse amatore, collezionista o scaltro commerciante, vuole saperne di più circa tre piatti della Fornasetti Milano. La ditta, fondata dal grande designer e ideatore Piero Fornasetti (1913-1988) passò alla sua morte al figlio Barnaba che la guida tutt’ora. I piatti in questione sono stati prodotti nel 1967-69 e anche dopo su sua commissione dalla Hunteschenreuther, azienda di porcellana in Baviera – Germania sorta nel 1814, che negli anni 30-40 assorbì la Tirschenreut ora di proprietà Rosenthal della Sambonet – Paderno Industrie. I piatti fanno parte della serie Grandi Maestri che mi consta essere una serie da 12 per i musicisti (che vi sono anche i pittori). I piatti (26 cm) del lettore, fondo oro ed istoriati, raffigurano Verdi, Puccini,Vivaldi. Il loro valore cadauno nel mercato va da un minimo di 150 euro ai 500, i prezzi sono variegati in quanto la Fornasetti è ancora attiva e potrebbe benissimo continuarne la produzione – che non figura a tiratura limitata – della serie detta.


Il signor Sebastiano manda in visione un vaso (cm 13×31 h) inciso “la murrina” prestigiosa vetreria muranense. Non sono precipuo esperto di tale marchio ma lei potrebbe e facilmente chiederne alla ditta (Murrina, Via San Donà 305 – 30174 Mestre – tel. 3476687199 – info@murrina.it). Io posso dirle che – non accostandolo ad artisti da me conosciuti – si tratta di una creazione con filigrana a retortoli (canne di vetro intrecciate e/o accostate per avere vetri che soffiati partono dal centro verso l’esterno formando spicchi) o a zanfirico. Non è possibile assegnarli ad un maestro singolo a meno che non vengano da questo firmati, anche se (risposta al lettore Enzo Tartagni sulla rubrica del mese di aprile) la ditta può utilizzare scaltramente un modello di detti designer-artisti e riprodurlo a prezzo minore senza indicarne la paternità. Il suo vaso – se della ditta veneziana – potrebbe quindi valere tra i 250 ed i 350 euro.


Il signor Marco manda in visione una deposizione dalla croce (cm 90×50) che attiene ad un inizio 800, ma non è che io possa da semplice foto e senza disamina almeno fotografica della tela dire altro. La tela, in cattivo stato e con uno svolto pittorico popolare forse di diverse mani, potrebbe esitare sul mercato nello stato in cui è 600/800 euro.


Il signor Giovanni Gentile invia foto di un mandolino (Premiata fabbrica di strumenti a corda Emidio Celani detto il Turco, Ascoli Piceno 1893) appunto del marchigiano Emidio Celani (1866-1898), senza dubbio uno dei più importanti maestri liutai dell’ultimo quarto dell’Ottocento italiano. Nella sua purtroppo breve vita costruì elencati: 32 violini, 3 violoncelli, 113 mandolini, 97 chitarre. Autodidatta (insieme al fratello Costantino), era un virtuoso del suono ed i suoi strumenti furono in breve apprezzati da musicisti in tutta Europa. Ma… ma non nascendo espressamente liutaio ed alternando il lavoro di restauratore di strumenti alla loro costruzione, le sue creazioni hanno incoerenze stilistiche e presentano veri e propri difetti nella sagomazione delle tavole, nell’intarsio, nei filetti e nella verniciatura. E quindi, ho visualizzato come nel corso degli anni i suoi strumenti abbiano avuto quotazioni di vendite assai discordanti, per i violini si va dai 2.500 euro ai 20.000 euro per fare un esempio. Non ho notizie su vendite di mandolini e certamente il suo è in condizioni pietose e bisognoso di restauro lungo e fatto da un maestro liutaio. Non so quanto potrebbe costare la riparazione, ma credo non poco e con un vistoso deprezzamento, e la vendita… un terno al lotto. Lo proponga ad una casa d’aste come la Arcadia di Roma o altre che potrà trovare in rete anche per appurare la sua originalità, cosa specifica che io – neanche de visu – potrei accertare.


Signor Andrea Formica, rispondo in merito ai suoi quadri. Il pittore libanese ma calabrese d’adozione, Fedhan Omar, non ha mercato nazionale derivante, nel senso che i pochi risultati trovati lo collocano in un limbo eclettico di valutazione. Si va dal centinaio di euro per opere 50×70 ai mille-duemila ed oltre. Quindi di fatto non classificabile, e la vendita esclusivamente privata. Riguardo al pittore Claudio Simonetti nato nel 1929, non ho altre notizie di sorta e appare ancora vivente. Certamente è un eccellente artista “padrone della luce” ma che forse ha prodotto molto e nelle più svariate tecniche e modalità. Ci sono delle tele da pittore d’arredamento e ritratti e nature morte nonché paesaggi di una bellezza incredibile. Purtroppo i risultati di mercato, ad esempio quelli del portale d’aste ArsValue del 2022, lo collocano, per misure dal 30×40 al 70×80, intorno alle centinaia di euro se non meno.
La tela firmata Mancini è di pittore seriale sconosciuto che non ha alcun valore pittorico ma solo quello arredativo un centinaio di euro.


E l’ultimo quesito del lettore mi dà modo di “parlare” ai retrivi, a coloro che catafratti della loro ignoranza nel mondo dell’arte e dell’antiquariato, ma edotti dalle informazioni e ricerche su Internet, pensano di saperne come uno studioso e/o un perito che ha dedicato decine e decine d’anni allo studio e comprato centinaia di libri (libri: per i molti lo spiego sommariamente, sono delle raccolte di fogli di carta dove vi sono scritte parole concernenti una materia e che consentono a chi li legge di saperne superiormente). E mi rivolgo a vari lettori che, coperti da anonimato o che l’hanno chiesto: Alessia C., Batman, Ermanno, dopo aver usufruito e gratuitamente del parere dell’esperto lo contestano, chi in maniera gentile, chi con arroganza e supponenza. Bene! Ad esempio la signora Alessia, che ha ricevuto in eredità dai genitori opere d’arte comprate negli anni 70-90, anni d’oro quando si vendeva di tutto, genitori che hanno purtroppo comprato artisti quali Testa, De Magistris, Parigini che erano allora all’apice del successo a prezzi abbordabili non superiori al milione delle vecchie lire. Oggi purtroppo tali artisti vengono trattati a un centinaio o poche centinaia di euro. Ma… ma la signora detta, ricevuta la stima al ribasso dell’esperto non ci sta: “lei la pensa così (come se le valutazioni le facessi io personalmente) ma ho visto in rete (aridaje) prezzi molto superiori alle sue stime nell’ordine delle migliaia di euro”! Cioè la signora ha visionato i prezzi con cui qualche disturbato nella vita o semplicemente ignorante metteva in vendita tele degli artisti citati a cifre strabilianti. Che dirle? Prendo ad esempio il caso del lettore precedente, il signor Formica (che spero anche lui non si lamenti), con un bell’artista – non so se vivente o meno – Claudio Simonetti (1929), il quale, lo ribadisco, è pittore veramente eccellente e che dovrò comprare: ma a che prezzi? Quelli di offerta in rete: 1.200-2.300-2.700 euro, o quelli a paragone della Casa d’aste Art La Rosa, di Catania, dove nel 2021 un 61×51 del Simonetti (lotto 232) valutato 100 euro è rimasto invenduto, e venduti altri pezzi dello stesso artista (cm 84×74) a stime massime di 100 e 80 euro? E similmente in altre aste. Io generalmente non parlo bene dei “sensali in buona fede” delle case d’aste, ma vi assicuro che quando stimano, opere d’arte specialmente, non sono secondi a nessuno, per il semplice fatto che sanno con perfezione e per esperienza ciò che si vende e ciò che è ostico e di conseguenza si comportano.
Detto ciò spero che gli affezionati della Rete, quelli che “sanno tutto” non scrivano alla rubrica e si accontentino del loro grande sapere, io sono solo uno che ha letto dei libri (già detto) e frequentato musei, raccolte, negozi e mercati da mezzo secolo, niente di ché.


E come sempre, un saluto a tutti e un abbraccio ai pochi.



Aprile 2023


Non essendo indulgente con me stesso quando commetto errori, figuriamoci se posso farlo con altri che vieppiù non paghi del loro ragliare pensano di continuare ad offendere chi non è loro pari per studi e conoscenze, e mi rivolgo nuovamente a quel somaro assunto – inizialmente per credo meri lavori di traino e fatica, e successivamente innalzato inopinatamente a perito e consigliere d’arte – dalla contessa E.A.S di Montebello (mese di Dicembre 2022) il quale aveva innalzato a cifre di mercato spropositate l’opera di un pur valente artista, l’Antonio Amorosi (1660-1738), che purtroppo tali livelli non ha mai raggiunto. Ultima conferma dalla Casa d’aste Arcadia – Roma: due oli pendant dell’autore (cm 28×24) battuti il 29 marzo scorso a valutazione di 600-800 euro!
Cosa dire, ho di già consigliato a tale individuo di rilevare una fiorente attività di trombette e stendardi in Piazza del Campo in quel di Siena e ciò per evitarsi la continua gogna della vita nel campo a lui estraneo dell’arte. A meno che egli non sia uno scaltro ed inveterato truffatore, e allora io, il somaro, ne chiedo venia e mi scuso della mia ingenuità.


Signora Maria Adelaide Raimondi conosco, e certamente, il pittore Antonio Cannata (1895-1960) di Polistena, che ebbe in vita prestigioso successo nell’arte e ciò sino agli anni 40, poi la sua pittura poetica dal vero seguì le vie moderne delle correnti che il 900 portò e purtroppo i risultati non furono affatto concomitanti con la sua innata levatura artistica. Tant’è che per le opere diciamo veriste della corrente “ottocentesca” italiana si ha qualche vendita (e anche se purtroppo e come tanti eccelsi pittori, siamo nell’ordine delle centinaia di euro, come dicono le aste) ma per le altre seguenti di surrealismo, astrattismo e quant’altro posteriori, non vi sono affatto né vendite né mercato. A parte dei soliti “fulminati nella vita” che astrazionalmente – anche loro – mettono in rete opere a cifre fantasmagoriche dell’artista, ma va anche detto che, se ciò certo non li arricchisce, tanto meno li impoverisce. È un mero esercizio d’esistenza in vita e come tale se non proprio rispettato va perlomeno inteso. Mi mandi pure un po’ alla volta tutte le opere da lei possedute e vedrò di aiutarla nella disamina e nei loro valori. Una abbraccio a don Giggi, prete vero dei poveri e degli ultimi, e anche a lei, insieme ad un grande grazie per essergli amica e sodale.


Il fedele conoscitore d’arte Enzo Tartagni mi invia una bottiglia (32 cm) della nota Venini di Murano. Signor Enzo, nonostante lei la giudichi bruttina e l’acclusa ricevuta di spedizione della ditta la dichiari, e solo, in vetro muranense e fatta a mano, a me ha ricordato subito – e anche per il suo accenno all’iridescente cambio di colore alla luce – il geniale architetto, designer, scultore Toni Zuccheri (1936-2008) che lavorò alla Venini negli anni 60. Evidentemente credo la ditta facesse pagare elevate le opere firmate dall’artista per poi eseguirne altre sulle stesse tipologie a minor prezzo. Ed è un “sistema” usato purtroppo da tante manifatture. Per quanto, valuterei la sua sui 400/500 euro.


Signora A.B., purtroppo il suo quadro (cm 50×70) è, come si dice a Roma, “una sola” ovvero un imbroglio che effettuavano decine di anni fa solerti napoletani, infilandoli nei negozi di corniciai, venditori di casalinghi e mobilieri (tutti in combutta naturalmente). La sua opera è tratta da originale del grande pittore spagnolo Bartolomè Estaban Murillo (1618-1682), naturalmente eseguita da copista greve che si firma “De Murillo” e con sul retro una valutazione di 950.000 vecchie lire. Ne valeva allora trenta e oggi anche, a valuta cambiata per arredamento sommario.


Signor Santo Fracassi, la sua statuina (15 cm) – prodotto seriale ed industriale – vale poco; in rete le propongono a 50-200 euro a seconda dell’incompetenza di chi le possiede. Il coroplasta Nico Venzo non è trattato nel mercato e ha – lui e/o altri come la “Porcellana S. Martino” – creato una linea “bombonieristica” di soggetti artatamente, poi anche munendoli della sigla N coronata (ad imitazione dei variegati capodimonte). È da un secolo che le fabbriche vicentine fanno ciò accludendo al tutto pseudo certificati di originalità che valgono solo per vendere nei negozi a caro prezzo.


Signor Carlo Crociatelli, purtroppo gli amanti dei servizi d’epoca o antichi sono pochi, e rari sono coloro che li utilizzano con la ventura/sventura che poi si possano rompere e che non vi siano più le fabbriche che all’uopo li sostituivano, e anche a distanza di decenni avendo pronti stampi e quant’altro per la bisogna. Quindi, il suo servizio prodotto negli anni 1953-1959 (da marchio, ma non escludendo una ripetizione posteriore) con 190 pezzi! varrebbe intorno ai 2.500/3.000 euro! Ma chi glieli dia poi sarebbe fantasia immaginarlo, come i rari che con vetrine capientissime li possano acquistare e tenere in mostra.


Signora L. da Roma-Prati, quella professoressa somara che lei cita, in realtà penso che quando non girovaghi come espositrice nei mercatini “in” di Roma centro, svolga il mestiere dell’erbivendola. Spero con migliore conoscenza di quella sui metalli preziosi. E veniamo al punto: la Trifari, di cui la venditrice di polli (mi è venuto in mente infatti che invece potrebbe esercitare la “polleria”) ha un vasto campionario – almeno così lei mi dice – è un’importante ditta americana fondata dal napoletano Gustavo Trifari nato nel 1883 ed emigrato in America nel 1904. Inizialmente fece apprendistato nella bottega d’orefice del nonno Luigi e creò nel 1910 con lo zio Ludovico la “Trifari and Trifari” produttrice – non avendo denaro per una produzione di gioielli in metalli preziosi – di bijuox di livello e lusso per attori, cantanti e personaggi illustri, ma acquistabili anche da una borghesia e dal popolo minuto. Pochi anni e iniziò una sua personale produzione che nel 1925 ebbe come soci Leo Krussman e Carl Fishel e la ditta, con la sigla T.F.K., divenne la più grande produttrice di bigiotteria degli Stati Uniti. Ebbe il suo periodo più fulgido dagli anni 40 agli anni 70, poi il marchio fu ceduto e dagli anni 80, diciamo, non ebbe più storia accomunandosi a tecnologie industriali avanzate di consuetudine di tanti altri produttori. La Trifari fu e rimane famosa per una lega imitante l’oro che resta inalterata come il prezioso metallo nel tempo, e su cui fece la sua vera fortuna: il Trifarium creato nel 1947. E qui casca la somara professoressa di cui paventavo innanzi le professioni, la quale insiste da anni a raccontarle che il detto “trifarium” abbia “almeno” una percentuale d’oro del 20% (sic). No! signora, la lega – che ha segreto di fabbrica nelle percentuali compositive – contiene rame, alluminio, stagno, zinco, antimonio, non ha nessuna traccia né d’oro né d’argento. E qui le do un’altra notizia, la sua collana determinata precipuamente dalla tizia dell’anno 1944, non può essere, viceversa, in altro metallo che argento, infatti tutti gli altri con legge americana del 1942 furono destinati all’industria bellica, e se argento non è, non è neanche Trifari né di altra ditta analoga americana, chiaro?
Per la valutazione dei suoi bijoux la posso indirizzare da una vera conoscitrice e collezionista di cui se crede le invierò il contatto.


Signora Lorella De Stefani, le rispondo unicamente per rendere edotti tanti lettori che continuano a far ciò che ha fatto lei, e cioè sbagliare indirizzo. Quando infatti si decide di mandare a taluno delle foto non belle, da lontano, senza i particolari e senza misure né peso (dell’argento nel suo caso) per saperne di tutto, si deve scrivere al mago Otelma, poiché solo una persona dotata di facoltà extrasensoriali potrà rispondere, non certo io che tra l’altro sono un “tuttologo” e a volte un “ruttologo”, nel senso che devo rispondere “d’emblée” ovvero di getto e sommariamente. E non è che rivolgendomi a centinaia di lettori al mese possa essere sempre gentile e chiedere nuovi invii, fare raccomandazioni e quant’altro. Quindi, e sommariamente, il suo oggetto sembrerebbe un brucia incenso/essenze, l’unico dato sensibile che lei manda è il punzone GF che andrebbe per “Gold Filled” ovvero copertura in foglia d’oro, una doratura spessa – di cui però lei non mi parla e che io non vedo – che andrebbe ad indicare che il pezzo è in argento sterling o 925, ma lei null’altro scrive unitamente alle niente affatto esaurienti foto, fatte con il solito cellulare buono per le riprese di amici e parenti, non certo per perizie in cui vi sono piccoli marchi e particolari. Ed io più di così…


La signora Mirella Iuorio manda in visione un servizio da 12 (te-caffè) di ditta bavarese (non conosciuto ai miei prontuari) prodotto tra il 1946 ed il 1949 in occupazione della regione da parte dell’esercito americano (US. Zone).Valore, in ribasso ai nostri giorni, 200/250 euro se integro e in ottime condizioni di decoro.


Signor Gabriele Coronati, è impossibile da immagini poter valutare porcellane cinesi, se non si tratti di prodotti seriali facilmente identificabili da esportazione e arredamento. Il suo (h 24,3 cm) presenta come marchio i caratteri a sigillo della dinastia Qing (1644-1911), l’ultima della Cina terminata con la rivoluzione nel 1912. A me sembrerebbe una riproduzione, (la Repubblica popolare cinese dopo avere per anni distrutto un popolo nei suoi effettivi e nella sua storia, ha fatto impiantare decine e decine di fabbriche per ricopiare i manufatti antichi devastati, retaggio dell’imperialismo, e destinarli al lucroso commercio esportativo) ma per capire quando sia stato effettivamente realizzato v’è bisogno di una valutazione “de visu” la quale rivelerebbe subito se occorrente l’esame ulteriore di un esperto precipuo che io non sono.


Signor Tonino Cusenza, le espertizzo la sua testa bronzea di tipo etrusco poiché non si tratta di un originale soggetto alle leggi e non commerciabile, ma di una copia (che ho anche fatto esaminare da altri ben più esperti di me in materia) e come tale di solo valore arredativo: 70/90 euro.


La signora Alessandra – valente mercatara dagli anni 90 a Rieti nel grande mercato di antiquariato diretto allora dall’UMAIF (Unione Mercanti d’Arte in Fiera 1992) – che nel tempo è diventata una fine conoscitrice della pittura napoletana dell’Ottocento, mi rivolge una provocatoria domanda specialistica sul pittore Goffredo De Hagemann di origini tedesche nato però a Napoli nel 1820 e morto a Parigi nel 1877. Mi chiede la gentile signora: come mai non si trovano opere del pittore nel mercato? E lei già sa che il nostro fu allievo di Filippo Palizzi e seguace di Giuseppe Palizzi, fratelli della famosa dinastia di pittori partenopei. E dato appunto che la pittura del De Hagemann diciamo che è stata fortemente influenzata dallo stile e dalla tecnica dei più famosi pittori, penso che alla maggior parte delle sue opere gli scaltri e disonesti galleristi e mercanti abbiano cancellato la firma sostituendola con quella dei più quotati colleghi. Pensi che è capitato a me una ventina d’anni fa, in seguito all’inventario di una divisione ereditaria, di vedere un paesaggio con armenti a firma Filippo Palizzi ove sotto con un forte ingrandimento e con la lampada di wood, per una “correzione” mal fatta, si poteva leggere “De Hag…..n”. Cos’altro dirle? È così che nel campo dell’arte si è giunti come nel campo dell’antiquariato a squalificare il mercato, insieme naturalmente ad altri ben più gravosi motivi inerenti oramai l’incultura generale delle masse provocata storicamente e politicamente da chi ha portato la democrazia dello studio a tutti, ma ad un livello si basso di cui gli effetti dopo un secolo mi pare siano evidenti, aiutati dalla tecnologia e conoscenza transeunte, effimera quando non falsa della tastiera. Le getto lì un altro nome che nessuno sa chi sia: Luigi Crisconio (1893-1946), uno dei migliori pittori napoletani dell’Ottocento a cavallo del Novecento con Biennali di Venezia, Quadriennali di Roma ecc. che fu riscoperto una trentina d’anni fa ed ora è scomparso nei paesaggi (si trovano solo dei poco richiesti ritratti), obliterato da altre ben più prestigiose apposte firme sempre da parte dei tanti (non tutti) soliti imbroglioni antiquari/galleristi/mercanti.
E mi fermo qui per non mostrare a fondo tutte le mie idiosincrasie!


Rispondo al quesito per intero e sulla rubrica solo per renderne edotti appieno i lettori tutti. Il signor Donato Luna (che come altri ha voluto mettermi alla prova senza fornirmi alcun tipo di informazione necessaria sebbene in suo possesso) mi aveva inviato foto di un lampadario in vetro e metallo a sospensione con 12 bracci scrivendo: “è stato attribuito alla manifattura muranense Barovier & Toso”, senza indicare da chi era stato emesso tale responso. Gli risposi via email notiziandolo che nei miei prontuari non risultava tale produzione ed indicandogli i contatti con la ditta in Milano per ulteriore parere.
In seguito, nella corrispondenza scambiata, egli mi rivela che il lampadario ha un’etichetta che lo qualifica ingiuntamente al parere dell’esperto della casa d’aste in rete Catawiki dove lo ha acquistato. La Barovier&Toso a cui si era già rivolto prima di interpellarmi (ma bravo, bravo…) invece lo aveva disconosciuto, e quindi comincia a capire di aver comprato un falso sia pure alla bassa cifra di 200 euro!
Signor Donato la esorto la prossima volta a fornirmi informazioni ed altro, che non svolgo la professione del sensitivo e veggente (ma quante volte lo devo ripetere: sono solo un esperto tuttologo che fa da oltre trent’anni del suo meglio per rispondere a quesiti che vanno dal macinino della nonna al gran quadro della contessa), che se per esempio mi avesse partecipato anzitempo della volontà di acquisto le avrei detto che, pur non essendo un originale, per la cifra offerta poteva anche accontentarsi. Ne scrissi anni fa sulla mia rubrica: una delle esperte della Catawiki per l’arte e antiquariato era/è una signora che gestisce un negozio di abiti “vintage” (ovvero vecchi ed usati) e chincaglierie in quel di Bologna! Non conosceva né descriveva a dovere minimamente l’oggetto di cui dichiarava in una tornata d’asta. Ma le Case su cui ogni tanto scrivo e ripeto ora, sono legalmente venditori in “bona fides” di cose a loro affidate da clienti i quali ne dichiarano la sostanza; sensali, insomma, che non mettono in dubbio la fede del venditore che a loro si rivolge. Hanno sì periti, ma alla buona, tanto per far sì che il fruitore d’asta a loro s’affidi, personaggi della cui esperienza e conoscenza si può a volte dubitare (ciò naturalmente non toglie che ne abbiano qualcuno all’altezza, ma a trovarlo!) Far loro causa? Sì e al massimo il giudice potrebbe riconoscere l’errore e costringere la casa a rifonderle dietro restituzione l’oggetto ma senza aggravio di spese trasporti e giudizio e periti che rimarrebbero a suo carico. E ciò, a parte il suo caso, non le converrebbe affatto: ne conviene?


Ed eccoci alla signora Daniela Bellardita con una statuina della ditta Lladrò (che le pareva troppo misurare!). La manifattura nasce nel 1953 nel villaggio di Almacera (presso Valencia) in Spagna per opera dei fratelli Juan, Josè e Vicente Lladrò e fabbrica vasi e oggetti ceramici per la casa. Nel 1956 inizia la produzione (ancora attiva) delle sculturine in porcellana e nel 1958, per l’enorme successo, si trasferisce a Tavernes Blanque sempre in Valencia dove nel 1962 istalla una Scuola professionale e nel 1967 inizia a costruire la Città della porcellana terminata nel 1969.
V’è da fare, quindi, doverose premesse innanzi a tali tipologie vendute da ditte famose nell’arte della coroplastica e non solo. La prima: sono prodotti artigianali/industriali (anche nelle serie così dette limitate) e pur essendo di ottima fattura – e specialmente nei nudi – di valentissima estetica, rimangono sempre confinati nei termini della riproduzione seriale. La seconda: è indubbio che detti curati prodotti vengano venduti nei negozi a cifre di 500/1.000 euro ed oltre, e anche via internet hanno le stesse quotazioni – che però si abbassano anche a 50/70/120 euro da parte di non sprovveduti individui, se non commercianti, che hanno primariamente provato a venderle alle alte quotazioni primarie dette. Per quanto espresso, valuterei la sua – come altre simili – sugli 80/120 euro per arredamento. Ripeto: i nudi, le madonne ed altri particolari pezzi vanno valutati singolarmente e per la loro estrinseca bellezza, che anche se seriale, non manca mai di stupirci e appassionarci.


Signora Laura Baglini, sono trent’anni che scrivo in questa rubrica e da sempre mi danno enormemente fastidio le persone che mi scrivono come fa lei: ho un Anivitti, un Monti e un Costa, alla milanese come fossero patate e come se noi ne sapessimo comunemente! Signora, io temo ad onta di chi le abbia lasciato in famiglia i bei quadri che possiede, che lei al massimo ne avrà sentito dire o abbia consultato internet! Primo: chi è – lo chiedo a lei che io non ne so, e dal visto preferirei ignorare – il Monti? Secondo: di Anivitti (Filippo, 1876 – 1955 Roma) fortunatamente ve n’è uno solo, e l’opera ereditata è una campagna romana superba (cm 80×120) che potrebbe valere non meno di 10/12 mila euro. Il terzo, Costa (che non è il più famoso dei vari pittori Giovanni, detto Nino, romano – 1826-1903 – e quotatissimo) è Giovanni nato a Livorno (1833-1893) e da me riconosciuto più che dal bel ritratto dalla firma, e che può valere (cm 53×70) sui 3.500-4.500 euro.
La cornice tonda in porcellana senza misure, ma ad occhio e dalle brutte foto direi sui 30-35 cm, potrebbe essere di fabbrica austriaca/bavarese (per dire Meissen ci vogliono e/o marchi e/o visione dal vero), novecentesca; se intatta in ogni particolare, vale sui 400/500 euro.


E come sempre, un saluto a tutti e un abbraccio ai pochi.



Marzo 2023


Signora Ines Rosati dalla provincia di Pisa, generalmente non seguo le programmazioni televisive, se non nei telegiornali, sulle eccellenze dei territori, i programmi storici, le inchieste e i documentari che purtroppo, e specialmente la Rai del servizio pubblico, trasmette ininterrottamente da vent’anni e alternativamente sempre gli stessi. Poi vi sono trasmissioni ai limiti della decenza: sanremi e gare tra vecchi, giovani, bambini, per proporsi come cantanti o ballerini o presentatori e nelle proposizioni anelanti a tali carriere, nei fatti nullafacenti e bisognosi di essere perlomeno impiegati nei lavori socialmente utili e i bambini rieducati. Poi e a seguire l’arte culinaria condotta e partecipata da una miriade di cuochi, chef, lavapiatti e similari, si calcola uno ogni italiano: vecchi degenti e bambini compresi. Non parlo dei programmi di importazione estera sul riconoscimento di mestieri e altre baggianate del genere di cui voglio sperare non sia solo io alieno. Purtroppo è una gran cassa mediatica che a volte trascina per passatempo anche le persone pensanti e non solo chi ha deciso in illo tempore di porre le “due cc” come si suol dire all’ammasso! Quindi, e per risponderle, mi guardo bene dal seguire personaggi televisivi che, e va detto, felicemente e con un certo onore mi guardo bene dal conoscere e visionare. E tutta questa prolusione non richiesta – sono un parolaio per inclinazione e tendenza – per dirle ex abrupto di non comprare nulla da questi tizi senza certificazione adeguata, che sono soprattutto invenzioni dello schermo e la cui notorietà non desume affatto della loro serietà e a volte persino della loro esistenza, terrena intendo.


Grazie signor Bruno Picasso, l’abbraccio! Purtroppo i cretini in giro sono tanti ed i più indefessi li trovo a volte a scrivere alla mia rubrica. Essi, invece di agevolare la mia opera – che ricordo per chi si fosse messo a leggerla da poco è gratuita e svolta con l’ausilio di sole immagini – mi fanno le cosiddette “finte”: mi nascondono informazioni a loro conoscenza, mi mandano immagini tratte da libri e/o cataloghi, mi inviano – come nel caso che lei ha notato – i medesimi quesiti già formulati e soddisfatti (da un Ettore di Cesena e una Paola C. di chissà dove) 4 anni fa. Eh… che costanza però, per degli imbecilli. Nella sua lettera, compiacendosi, mette in evidenza come io abbia dato la medesima risposta già formulata per ambedue le richieste, e questo, pur a distanza di tanto tempo. Io le rispondo che ciò è normale, però aggiungo che l’invio di immagini del medesimo oggetto ma ripreso con altra qualità, da diversa angolazione e con altri particolari, potrebbe anche determinare nel perito “sensazioni” (che unicamente di questo si tratta nel caso di expertise da remoto) diverse e diversa valutazione. È difficile, ma può accadere. Ed è perciò che continuo a rammentare ai miei lettori, fedeli o meno, di essere esaurienti ed anche ridondanti di tutto (foto, provenienza, e informazioni anche generiche): siate prolissi, insomma, non temiate che ciò mi angusti o faccia perdere tempo perché, viceversa, di tempo ne perdo di più a scervellarmi per identificare i vostri striminziti quesiti. Suvvia… gli oggetti sono vostri, lavoriamo insieme!


Il signor Davide Marzano da Pesaro invia l’immagine di un servizio veneziano da rosolio ereditato dalla nonna. Di epoca e tipologia 1920-40, in vetro blu con ricami lattescenti, tale insieme, così come altre cose simili, anni fa sarebbe stato apprezzato e ben valutato. Purtroppo oggi, un periodo storico in cui il bello e l’antico non hanno – è proprio il caso di dirlo – più dimora, il servizio vale sui 150/200 euro.


Il signor Giuseppe De Maria, fedele lettore da vent’anni (prima nel formato cartaceo della storica rivista e ora di quello online) per cui mi si permetta un doveroso incipit). Egli, infatti, oltre a riversarmi graditi complimenti, mi felicita con preziose e diligenti informazioni riguardo le opere di cui mi chiede disamina e valutazione. La prima riguarda un bronzetto (cm 29×22) di Pietro Canonica (1869-1959), scultore tra i più emeriti del 900 per potenza plastica ed espressione, nonché compositore musicale di fine talento. Fu anche, ma non vada a suo discapito, Senatore del Regno, e ciò per serietà, ingegno, probità e quant’altro, insomma – e a tal motivo rimarco – per tutte quelle caratteristiche invise alla maggior parte dei nostri attuali. Tale  bronzetto è copia – lei mi dice – dell’opera “Alba ridente”, collocata nell’omonimo Museo a lui dedicato in Viale Pietro Canonica alla Fortezzuola adiacente Villa Borghese a Roma e che invito a visitare (fa parte del circuito museale del Comune capitolino e l’ingresso – non guasta – è gratuito). Il signor Giuseppe, che è amatore classico dell’arte ne vuole sapere oltre la venale valutazione e ne ho cercato a lungo tra i miei appunti e libri. Il Canonica, che aveva attività in una casa studio – sede dell’attuale Museo che fu a lui donata dal Comune di Roma a cui egli riversò poi  tutte le sue opere e gli arredi, comprò una vasta proprietà a Vetralla (VT) dove costruì un suo studio con annessa fonderia (nella Cassia Sutrina n. 10/1 ora sede della Pro-loco cittadina). Il rapporto con l’amministrazione viterbese locale negli anni non fu dei migliori (e né tale – per chi ben conosce le dinamiche “paesane” della provincia – poteva essere). In questo fondaco egli, con l’aiuto di valenti maestranze provenienti dalla capitale e reperite sul posto, fondeva tutte le sue opere, anche quelle di rispettabile volume – in ciò lo imitò, decenni dopo, il grande scultore Manzù che creò a Campo del Fico ad Ardea (LT), in una casa-fonderia oggi Museo, e anche lì con gli stessi poco idilliaci rapporti con le autorità  – così parmi si chiamino – del posto. Dettole quanto, anche il suo bambino sorridente ha tale origine; lo scultore però faceva, riprendendoli,  diverse versioni minori dei soggetti elaborati in grande o meno. Il suo, che lei colloca come copia dell’“Alba ridente” presente nel museo romano è (antecedente alla tale) ritratto della marchesa Anna Ferrero De Gubernatis di Ventimiglia “all’età di un anno”  scolpito in marmo statuario di Carrara (cm 30×45) e battuto per tale un esemplare un esemplare in asta dalla Casa d’aste Cambi (3.000-3.500 euro) il 04/05/2022 n. 758. Ho notizia di come siano circolate nel mercato opere riproduzioni ( negli anni 60-70) da parte di fonderie – del napoletano – non autorizzate. Rimane la venalità che è pur necessaria, e considerando il bronzetto in suo possesso come autentico dello scultore, penso abbia un valore intorno agli 800/1.000 euro, considerando il calo fisiologico della bronzistica minore d’epoca e il purtroppo dimenticato artista.
Il secondo quesito riguarda l’opera di un altro grande classico italiano anch’egli nel limbo dell’arte e di cui pure io non so molto: Michele Cammarano, pittore alla corte borbonica, affrescatore della Reggia di Caserta e poi docente alla Reale Accademia delle Belle Arti di Napoli. La tela (cm 40×32) in suo possesso, signor Giuseppe,  che lei ha denominato: “Amor perduto”, raffigura in effetti, nella sua dinamica pittorica, il titolo apposto. Le posso solo dire che raffigura una giovane fanciulla in folcloristico abito di ambito napoletano e che è una gran bella pittura di vaglia, su una partenza di 5.000-6.000 euro e oltre.


Il signor Emanuele Mazza manda in visione un servizio da sei prodotto dalla società ceramica Pucci di Umbertide, fondata dall’omonimo Domenico nel 1947 e chiusa nel 1962. Il servizio è stato prodotto negli anni 52-57 e può valere sui 350/400 euro.


Signor Andrea, suo nonno avrà pure acquistato spesso cose di valore, ma non in questo caso. Il quadro del 1976 con firma sconosciuta (cm 145×105), non ha alcun crisma artistico che possa farlo assurgere a valutazioni di sorta. Per solo arredamento e per gli amanti del genere, sui 60/80 euro.


La simpatica e affezionata lettrice Annalucia Bigerni che ringrazio di cuore per le belle parole che ha voluto donarmi, manda tre quesiti interessanti la ceramica e che presentano firme di illustri realizzatori. Il primo è un vaso-cestino (cm 28×40) della Ceramica Arte Aretini (fondata da Zulimo Aretini nel 1918, artigiano appartenente ad una stirpe di vasai umbri) che ebbe spostamenti e vicissitudini varie. Nel 1926 viene assorbita dal Cima (Consorzio Ceramica Deruta), nel 1934 si sposta insieme al figlio Galileo a Torgiano (PG) e nel 1950 a Cameri presso Novara con il marchio Casa (ceramica d’arte aretina). In quanto riportante la sigla Z originale in calce del vecchio “maestro” fondatore Zulimo, valuto il suo vaso da collezione, 500 euro.
Il secondo quesito riguarda un altro vaso “scritto” dell’eclettico pittore, scultore, Franco Assetto (Torino 1911- New York 1991) firmato 1952 (cm 20×13). Laureato in farmacia negli anni del dopoguerra l’artista iniziò l’attività di ceramista andando, tra l’altro, ad Albisola e frequentando società ceramiche prestigiose (MGA e Ce.As) per imparare le tecniche. Anche a questo oggetto che riporta la firma per proprio conto (ma presenta una cattiva “asciugatura” degli smalti apposti), assegno un valore che si aggira sui 300 euro.
La terza e ultima richiesta riguarda una testa in ceramica (h 20 cm) realizzata dalla Litoceramica Piccinelli per lo scultore Lorenzo Pepe (1912-1984). La scultura è un multiplo ma non è numerato, per cui il valore scende sensibilmente: sui 200-250 euro.
Ah!… Dimenticavo i “capodimonte” che la signora dopo aver iniziato a leggere le risposte date ad altri ha cominciato a rompere: ma… Annalucia!


La signora Carla Zanoli manda in visione due sculturine. La prima (h 48 cm) è opera dell’artista savonese Carla Cuneo (1903-1995), valente ceramista presente in musei e collezioni ma non trattata dal mercato. Valuterei, quindi, il suo bronzetto, con mia personale stima, sui 1.000/1.200 euro.
La seconda opera è un nudo in terracotta patinata del napoletano Amedeo Gennarelli (1881-1943), eclettico scultore e formatore che purtroppo nella coroplastica non ha che basse quotazioni (Casa d’Aste il Ponte, tornata del 20/06/2019 n. 456, lotto 311 “Nudo di donna”, anni 30, h 43 cm: stima 120 aggiudicazione 100 euro, e altre simili). Migliori, i valori per suoi i bronzetti e per le piccole opere in marmo. Il nudo in terracotta di cui mi si chiede (h 63 cm) vale sui 300 euro. Signora Zanoli, non tema affatto di riscrivermi, sarà un piacere risponderle.

 


Signor Domenico Lucisano, partiamo da un assunto: le pendole, o gli orologi tutti, che arrivano a valori consistenti sono solo quelli che hanno un meccanismo-movimento riconosciuto e/o importante, gli altri (se ne trovano nel mercato a migliaia, un po’ per la facilità delle riproduzioni dei modelli antichi ripetuti da secoli, e un po’ perché pare che nessuno li butti via e quindi vengono conservati anche in pezzi che danno poi luogo ad assemblaggi a non finire) non hanno elevato valore. La sua pendola “Andromeda incatenata alla roccia” (h cm 17x58x22), costruita dalla fonderia E. Vittoz – Parigi (metà ed ultimo quarto dell’Ottocento), funzionante, non sfugge alle dure leggi del mercato per quanto sia di buon livello bronzistico e presenti una elegante base in alabastro che la porta dai 350/400 euro (per tali tipologie) ai 600 euro.
Circa il secondo quesito: un virtuoso ricamo (cm 50×61) “a punto penna”, in seta, eseguito da sua nonna nel 1912 a Reggio Calabria e al quale, naturalmente, lei è molto affezionato, devo purtroppo dirle che il suo personale valore di affezione è l’unico che posso assegnargli, giacché tali encomiabili opere di un’antica arte femminile non vengono neanche più proposte, né recensite, né tanto meno acquistate.


Speravo da mesi fossero finiti i “capodimonte” e invece ogni tanto… La simpatica signora Elisabetta Giovacchini – che ha scelto un’intelligente indirizzo e-mail che non posso riportare – non ha mai letto le mie infuocate risposte in merito, e quindi mi propone una statuina seriale fabbricata chissà dove nel mondo, riportante sotto la famigerata N coronata. Naturalmente, essa può valere solo poche decine di euro per gli amanti del “bombonierato” et similia.
Il suo secondo quesito, invece, riguarda un bel libro: “Compendio delle divozioni e meraviglie del sacro Monte della Verna” (Casentino-Arezzo), nell’edizione veneziana. L’esemplare ha una bellissima incisione inerente, e nonostante abbia difetti vale sugli 80/120 euro.


Il caro lettore Roberto Desogus mi scrive dalla bella Sardegna, per farsi valutare due opere in coroplastica di maestri purtroppo “scordati”. Il primo lo scultore veneziano Armando Visinoni (1914-1989) che subì in vita l’ostracismo dovuto alla sua opera classica e legata ai temi del figurativismo, tendenza artistica che nel corso del 900 venne relegata in secondo piano a favore delle nuove correnti “moderne”; autore che, anche in seguito – come lamenterà in un suo libro autobiografico – rimase sempre ignorato sia dalle gallerie sia dai critici, avendo come sua unica soddisfazione l’essere stato chiamato in Messico da un’Accademia artistica ad insegnare la vecchia modellazione italiana. La formella in terracotta (cm 21×35), a mio avviso, vale dai 300 ai 400 euro.
Il secondo scultore di cui mi si chiede è il siciliano Giuseppe Viscona (1910-1974), anch’egli pressoché ignorato dal mercato. L’artista ebbe però diverse soddisfazioni proprio grazie alla ceramica di cui divenne negli anni valente interprete modellatore. La medusa smaltata (cm 34×25) vale intorno ai 250 euro.


La fedele lettrice Danila De Pieri, che ringrazio, manda foto di un piatto in ceramica (cm 39) avente impressioni in oro zecchino, e creduto dalla stessa lettrice un falso dello scultore maestro Ennio Finzi. Ebbene, no! gentile Danila, il manufatto è stato prodotto dalla nota Finzi di Firenze, azienda rinomata per l’argenteria sin dai primi del 900, che alla metà degli anni 40, aprendo laboratori e negozi anche a Milano, con il suo titolare e fondatore Arrigo Finzi iniziò a trattare la porcellana con decorazioni all’oro e all’argento “al terzo fuoco”. Daterei il piatto anni 50-60, e assegnerei un valore di 150/200 euro.
La statuina (h 18 cm) a cui lei ha assegnato erroneamente la tecnica “raku” che, mi permetta, è tutt’altra cosa, sembra una marionetta in ceramica, ma sinceramente (e da foto) non so dirle altro.


Signora Flavia Moratelli, le due statuine cinesi in osso (cm 36), di Scuola Tamashii, da remoto e da sole immagini io non posso espertizzarle, non posso cioè appurare se siano effettivamente in osso; però hanno un bel modellato, sembrano autentiche della Scuola e realizzate nei primi decenni del 900. Così fosse, valore sui 700 euro per la coppia.


Il signor Luis Conticelli manda un quadro senza misure, rifoderato, di mano popolare, di impianto fine 700, e non so perché identificato come immagine dell’arcangelo Gabriele. Si tratta, invece, di San Giovanni Battista, e calcolando ad occhio che sia di cm 20×30, il valore – cornice compresa – è sui 500 euro.


E come sempre, un saluto a tutti e un abbraccio ai pochi.



Febbraio 2023


Voglio iniziare con il simpatico signor Pasquale Siri che premettendo: “(…) ciò che le invio sono cose lasciatemi in eredità, le hanno rifilate al mio povero padre dicendogli che erano capolavori ma a me mi sa che lo hanno fregato”, mi invia una ventina di… chiamiamole “opere” che – Pasquale mi perdonerà – non mi è possibile far pubblicare. Esse, infatti, rappresentano in toto il vuoto e la lacuna delle norme italiche in materia non di arte (che qui non è per l’appunto contemplata) ma di socialità civile. E mi spiego. Se a taluno venisse la briga o l’infelice brio di suonare uno strumento molesto come ad esempio il tamburo ininterrottamente, oppure di farlo in luoghi ed orari particolari, è chiaro che sia la forza pubblica preposta sia la legge ne conculcherebbero il non pio desiderio con ammonimenti, e non dico con galera (riservata in Italia, e solo, ai messina-denaro, agli anarchici o ai mangiatori di bambini), ma perlomeno con il sequestro del non consono agli uditi altrui strumento per “Disturbo alla quiete pubblica (art. 659 CP)”. Invece, e qui il vulnus e la debolezza del nostro ordinamento, se taluno (e in questo pronome e aggettivo indefinito si annidano, ve lo assicuro, non nell’ordine: braccia sottratte all’onesto lavoro dei campi, perdigiorno, molesti per tendenza e professione, ex artisti di varietà/cantanti/circensi, stagnini e assimilati, professori a riposo o meno, ex combattenti e reduci, quando non dei veri e propri lestofanti usi e pronti a tutto, per dirne alcuni dei più ragguardevoli), se taluno, ripeto, tra i menzionati ed altri, un qualsiasi giorno e periodo della sua infelice e grama vita decidesse di porre mano, che so io, a pennelli e relativi colori e con essi imbrattasse più o meno delle superfici lignee, telate o comunque atte ad essere esibite come opere, procurando ipso facto una immediata sensazione di fastidio e deprimenza correlata a volte a dolori visivi veri e propri a chiunque si trovasse a passare per caso e certamente scevro dalla volontà di accorrere alla triste visione: che succederebbe? Ebbene, costui non sarebbe minimamente impedito da chicchessia nel suo nefasto esercizio! E ciò senza dimenticare che tale incuria e dabbenaggine – quando non prefigurante una volontà dolosa vera e propria – potrebbe, se a scapito di infanti o pargoli, determinare una lesione permanente dell’ars visiva che determinerebbe negli anni un difficile ed elaborato recupero. Come mai, mi chiedo – e insieme a me migliaia e migliaia di persone i cui avi hanno celebrato le bellezze della nostra Italia e che deprecano tali barbarie – nel nostro Paese non vi è, neanche accennata, la reprimenda legale a tali atti-abusi che, eufemisticamente, disturbano il pubblico godimento della vista? Voglio sperare che qualche voce alta e limpida nel nostro Parlamento mi oda e ne consegua levandosi. Auspico, inoltre, che il lettore in buona fede Pasquale perori la mia causa non conferendo le cose possedute in anonime raccolte di rifiuti indifferenziati (ove qualche raccoglitore onesto o meno le potrebbe, ohinoi, prendere e riciclare) ma piuttosto bruciandole senza tema, che la società civile ed io con essa gliene saremo eternamente riconoscenti.


Il signor Marco Cava scrive da Treviso chiedendo informazioni sulla sua lampada Noa (cm 40×46 h 27) in ottimo stato, di cui manda lodevoli e complete immagini (fortunatamente ogni tanto degli oculati e diligenti lettori che non si peritano di saggiare le doti extra sensoriali dell’esperto). L’oggetto è prodotto degli anni 80 della valente e specializzata ditta Lombardo di Villongo di Bergamo, fondata nel 1968. Idea e disegno sono opera dell’architetto e designer Gianfranco Frattini (1926-2004). Il valore varia tra i 300 e i 400 euro.


Il signor Umberto Ortica da Jesolo manda in visione una coppia di lampade Leucos (azienda di Murano specializzata nell’illuminazione fondata negli anni 60) designate da Roberto Pamio e Renato Toso negli anni 70. La ditta produceva, identico nelle linee e nei colori, anche il lampadario. Molto belle: 800 euro la coppia se perfetta.


Il signor Giovanni Gentile ha comprato in asta un quadro (cm 73×55) raffigurante una Madonna incoronata recante un libro in mano. Nel retro la tela riporta la scritta “Madonna de Monserat – Spagna” ma l’opera, purtroppo, non ha nulla a che vedere con la celebre Santa Maria de Monserrat, la madonna nera venerata nel monastero benedettino di Monistrol de Monserrat in Catalogna (di cui è patrona con ricorrenza 27 aprile). Portata dalla dominazione spagnola, una sua copia pedissequa si trova a Sassari, dove è nota come patrona della corporazione dei sarti. Iconograficamente, tale statua lignea rappresenta la Vergine con in mano un globo mentre sostiene il figlio che reca in mani una pigna. Nel caso del quadro presentato alla mia attenzione, non aiuta la possibile datazione l’archetipo simbolico del libro che risale al Rinascimento e alla rivalutazione delle donne sotto il profilo culturale. L’opera, rifoderata e rintelata, non può essere quindi visivamente interpretata nei materiali, ma certamente nulla ha a che fare con le laboriose e pur diligenti ricerche del lettore. Essa ai miei occhi si presenta come un quadro a impatto ottocentesco, non di scuola italiana e di non grande levatura artistica. Pertanto il suo valore oscilla tra i 500 e i 700 euro.


Il signor Giuseppe Crescella da Roccadaspide (SA), che ringrazio per la stima, mi chiede valutazione di un olio (cm 60×80) dal titolo “Contadino”, opera del pittore Gennaro Morra (1924-2011), suo zio. Dell’artista, ricordo bene, possedeva un nudo soffuso di luce, strepitoso, il grande avvocato Eugenio De Simone nella sua abitazione in Via Crescenzio in Roma negli anni 80; gli era stato donato dal sommo Antonio De Curtis inteso Totò, di cui era il legale. Signor Giuseppe, come lei stesso mi scrive, un po’ per l’operare di suo zio localmente nel padovano, un po’ per l’essere schivo da mostre e rumori mondani – e io aggiungo per via del disinteresse a suo tempo degli eredi che non ne hanno propagato l’arte – il suo nome non è circolato e dunque è chiaro come adesso il mercato non ne abbia quotazioni di rilievo, e ciò al di là del fatto che oggi come oggi, per fenomeni socio culturali, tutta l’arte antica e anche prossima abbia subito una declassifica paurosa, ed artisti che nel passato valevano milioni di vecchie lire vengono ora acquistati a fatica e a cifre di centinaia di euro. Mi spiace collocare il Morra, valente artista, tra i sotto quotati, ma il mio è mestiere che non può esulare dai parametri di mercato, a volte tetri, dell’economia venale e di risulta del momento. Pertanto, a malincuore valuto l’opera in suo possesso tra i 400 e i 600 euro.


La signora Anna A. da Vercelli presenta alla mia attenzione un’incisione a bulino detta “La Sibilla Samia” (cm 46×34) – dal dipinto del Guercino (1591-1666) collocato negli Uffizi di Firenze – disegnata da Buonauni Gustavo (attivo nella metà del XIX secolo) e incisa dall’Antonio Perfetti (1792-1872), collocata una copia originale presso l’Istituto Centrale per la Grafica, Fondo Corsini vol. 41 H3. L’incisione in suo possesso, signora Anna, datata 1833, sembra essere in ottimo stato e potrebbe valere sui 250/300 euro.


Signora Marina, riguardo al suo quesito, preliminarmente voglio esprimermi su Giuseppe Armani (1935-2006) scultore e ceramista, nome indebitamente accomunato a Capodimonte con cui non ha nulla a che fare (come d’altronde tutte le cose a tale luogo abbinate da migliaia di fabbriche che hanno operato e operano in tutto il mondo in produzioni ceramiche). L’artista fu modellatore in varie fabbriche e fabbrichette imitanti un po’ tutto, poi nel 1975 fu assunto come restauratore e copista dalla Pinacoteca di Pisa dove lavorò sino alla sua morte. Nel corso della vita cedette suoi modelli a varie ditte che iniziarono a sfornare migliaia di manufatti insieme ad altre che, pur non avendo le privative di concessione, si accodarono. Insomma, per farla breve, il mercato è oramai invaso da statue e statuine che neanche si sa se siano frutto della volontà, ma neanche della mente creativa, dell’Armani. E infatti, se ci si prende la briga di andare a dare un’occhiata nei siti di vendita di ceramiche, ci si accorge che vengono offerte dai 50 ai 200 euro, con picchi (dei “fulminati” dalla vita) che addirittura chiedono centinaia e centinaia di euro. Naturalmente, a tali prezzi queste statuine sono invendibili ai comuni “sensanti”, stuzzicano solo la mente di chi è privo di cultura minima e di chi è privo e basta. Concludendo, signora Marina, il suo “Pavone” con quegli apocrifi marchi, mi dispiace dirlo, non ha valore collezionistico né d’antichità, ma solo arredativo, per la cifra che le vorranno offrire.


Giudizio analogo al precedente assegno anche all’oggetto presentatomi dal signor Giuseppe Marziello: nessun valore collezionistico né di antichità. La statuina di Madonna Assunta (anni 80 del Novecento, h 45 cm circa), però, ha una valenza di per sé devozionale e in virtù di questo – e solo – può valere sui 250-300 euro.


Signor Marco M.: ma se lei – nel campo – ne sa più dell’esperto è d’uopo che sciorini il suo sapere apertamente e senza mettere alla prova chi, detto per inciso, svolge il suo lavoro da trent’anni in questa pubblicazione con plauso di chi edita e dei lettori.
Io non avevo pensato affatto all’Alfredo Beltrami (1901-1996), poiché il pittore da me ricordato non era un figurativo; solo, appunto, in seguito alla sua indicazione ho potuto consultare i miei prontuari e appurare che invece in gioventù aveva dato prova di esserne brillante esecutore. E quindi, sia gentile, la prossima volta mi fornisca adeguatamente i suoi saperi, giacché io non mi ritengo affatto in grado di espletare una conoscenza senza limiti, ed essendo un perito “tuttologo” ho bisogno degli aiuti e delle ricerche di chi mi propone le cose. Concludendo quindi, sì, si può pensare all’Alfredo come autore della sua opera, giacché ne corrispondono – a vista – appieno i canoni. Il valore che le posso fornire è modesto in quanto come tanti valenti artisti italiani anche lui soggiace alla legge dell’odierno basso mercato: sui 200 euro.


Signor Alessandro Pieri, il pittore Emanuele Cappelli (1936) è valente artista che in passato ha avuto valutazioni sostenute, intorno al milione delle vecchie lire per opere come la sua. Purtroppo, ai giorni nostri i valori sono attestati sul centinaio di euro.


Signora Francesca, il suo vaso (h 54 cm) firmato Schiavon non è a mio parere opera del ceramista Elio (1925-2004) ma di suo figlio (la madre, Linda Metta, era valente ceramista anche lei). Luca, che prese in mano le redini dell’azienda negli anni 80, inizialmente eseguiva per il mercato modelli sulla falsariga dei genitori. Valore sui 250 euro.


Signora Chiara, i suoi mobili di costruzione veronese sono degli anni 50-70 del Novecento; ottimi sotto il profilo artigianale-industriale, non sono però accedibili a livello collezionistico e di antichità. Valgono ognuno, come buoni mobili d’uso, intorno ai 300-400 euro al massimo.


Signora Anna Fiorito possiede la rivista “Domenica del Corriere” in annate rilegate dal 1953 al 1969. Sul mercato, gente esagitata e ignara vende a migliaia di euro gruppi di questa storica pubblicazione, ma in realtà il valore va dai 50-70 euro ai 100-120 ad annata, e solo se con copertina inserita in sequenza ad ogni uscita e i bordi non troppo rifilati, ma originali, o al massimo diminuiti di alcuni millimetri.


Signor Donato Luna, il suo vaso (h 22 cm), certamente realizzato dalla vetreria di Murano Barbini fondata nel 1912, rappresenta una delle produzioni seriali anni 60-70 della ditta ancora attiva. Il suo valore è tra i 250 e i 350 euro.


Il gentile e garbato lettore Michele Zampelli, giustamente premette nella sua missiva che secondo lui, in quel di Napoli, rifilarono al padre cose che non avevano e non hanno quei valori decantati dai venditori. Ed infatti, signor Michele, a ragione debbo confermare i suoi dubbi. Iniziamo dal Cristo penitente la cui vista è penosa veramente, e il cui autore, tale Sole (un “sòla”, per dirla alla romana), è certamente un vero filibustiere del pennello che troverebbe buona accoglienza – in un Paese di rispettose leggi – nelle patrie galere. Vale qualcosa, viceversa, la cornice in cui è impropriamente racchiuso: sui 200 euro.
La Marina a firma Dominech non presenta alcuna dimensione artistica di rilievo.

Il bronzetto del fanciullo pescivendolo, è una cosa da bassa fonderia industriale e per gli amanti del genere: 100-150 euro, come soprammobile di seconde case use agli svaligiamenti.
Le semi poltrone intagliate a pantografo, anni 70, sono di difficilissimo “appioppamento” a qualcuno per il solo uso quotidiano. Molto bella, invece, la credenzina liberty degli anni 20, ma la crisi dell’antiquariato la relega – così come l’altra credenza degli anni 40 che sta tra i 400-500 euro – a bassi valori, da mobili d’uso: 400 euro, nello stato in cui è.
La poltroncina eclettica “Napoleone III” vale commercialmente sui 150-200 euro, e infine, l’orologio e il candeliere in ottone sono cose industriali di basso arredamento: 150 euro il primo e 70 euro il secondo.


 

Signora Florencia Cerri, rispondendo a lei rendo edotti nel merito anche i tanti lettori che a volte trovano oggetti in metallo d’uso e seriali con firme di autori vari. Il suo porta gioie (h 27×7 cm) in ottone, firmato E. Laurent (Eugene Laurent 1832 -1888), anche in ragione della dicitura riportata nella base: Fabrication Francaise, va a significare che l’oggetto è sui modelli dell’artista e più o meno, quindi, che da lui ne venne autorizzata (ma in genere in tali tipologie mai) la riproduzione posteriore seriale, anche di molto successiva al periodo dell’ideazione. Il suo esemplare ha l’aria delle cose commercializzate per il pubblico nel corso del Novecento sino agli anni 60-70. Valore approssimativo, sui 50-70 euro.


La gentile lettrice Carmen presenta alla mia attenzione un grande soggetto ceramico (cm 60x 33 h) degli anni 60, firmato CAS (Ceramica Artistica Solimene) azienda fondata a Vietri sul Mare nel 1937 e ancora attiva. La signora, che ha fatto delle ricerche, devo dire, con dovizia, attribuirebbe l’opera a Guido Gambone (1901-1969), valente ceramista che lavorò in proprio ma anche negli anni – per sopravvivere – presso la detta CAS. Ebbene, per alcune rispondenze emerse proprio nelle forme e nella stesura coloristica, l’opera potrebbe anche essere attribuita a lui, ma non avendo impresse sigle specifiche dell’artista, naturalmente, il valore è assegnato, e solo, dalle quotazioni espresse dalla fabbrica di appartenenza: intorno ai 350-500 euro.


Splendida signora Irene Canepa da Stella (Savona), se tutti i lettori fossero come lei vivrei beato sugli allori. Diligente, la sua ricerca su Luigi Baracconi, di cui manda una foto del 1883 in un ovale ceramico di 70 cm per 60 di altezza. L’oggetto è raro, sia per le dimensioni sia perché non si hanno né notizie né immagini del ceramista che, come anche lei mi scrive, nel fin de siècle, insieme ad altri artisti collaborò con il più noto Pio Fabri all’interessante produzione ceramica romana in stile eclettico. Le do poche altre notizie sullo scenografo pittore e ceramista: Luigi Baracconi nacque a Roma nel 1840 e ivi morì nel 1909; fu impiegato al Teatro Costanzi di Roma (poi dal 1928 Teatro dell’Opera di Roma).
La cifra offertale per l’ovale: 350 euro, è buona, poiché sono pochissimi i collezionisti o commercianti di tali tipologie ma sono anche pochi i ritratti ceramici ancora interi di tali dimensioni (che hanno appunto valore tra i 400 ed i 500 euro). Il Circolo Artistico Internazionale che cita non esiste più da un secolo, ma – e nonostante la sua ottima e generosa volontà di donare il pezzo – un consiglio voglio darglielo anche se non richiesto: non dia niente a nessuno, tanto meno a istituzioni italiche che relegherebbero il suo manufatto in qualche nascosto ed inaccessibile deposito, quando non disperderebbero chissà dove.
La coppa con bronzi (cm 45×25) è del Novecento, probabilmente francese. Anche con piccole rotture è pezzo interessante, valore sui 250-350 euro, fosse intatto, il doppio.


Signor Renato Stecca da Treviso, delle sue tre statuine di foggia orientale in terraglia dura (h 10 cm) io non ne so nulla! E ciò nonostante i marchi impressi. Pubblico foto nella speranza che qualche dotto lettore e/o collezionista ben più ne sappia e ce ne ragguagli.


E come sempre, un saluto a tutti e un abbraccio ai pochi.



Gennaio 2023


Repetita juvant. Mi rivolgo ai tanti lettori che scrivono come se questa la rubrica fosse una pagina social dove poter disquisire con tracotanza o furbizia con l’esperto, rabbuiandosi poi per i pareri a volte tranchant di consuetudine, o per il fatto che li dileggi quando non mi scrivono le misure, non mi ragguagliano sui materiali o non mi forniscono, artatamente o meno, le informazioni necessarie a completare immagini che definire fotografiche è a volte eufemistico. Ebbene, a tutti questi lettori ripeto: cambiate indirizzo mail e rivolgetevi a chi, meglio di me potrà esaminare sia opere sia paturnie. Oh… mi raccomando! andate da uno bravo, uno di quelli che ti mettono a posto senza prescriverti medicinali di sorta.


Signora Carla Chiabotto, innanzitutto è inconsueto che si possegga un quadro (cm 50×70) acquistato in asta (Rapallo 1977) e non si abbia di esso documentazione né tanto meno se ne conosca l’autore. Le dico ciò perché la “donna con falcetto” rappresentata, è opera iconografica di uno dei pittori più rappresentativi dell’espressionismo italiano del 900, Giuseppe Migneco (1903-1997). Naturalmente, la sua autenticità è tutta da verificare visto che lei non possiede documentazione alcuna, e che senz’altro io non posso, da remoto e per immagine, confermarle nulla. Se lo desidera, può rivolgersi alla Fondazione Corrente che cura l’opera dell’artista (Via Carlo Porta 5 – 20121 Milano tel. 02-6572627.

 

 


L’affezionata lettrice Elena Bulla presenta alla mia attenzione delle spalline da Ufficiale della Regia Marina italiana, ipotizzando siano un unicum in quanto riportanti le iniziali del Re Vittorio Emanuele di Savoia. Ebbene, no! gentile signora Elena: le spalline – in dotazione alla guardiamarina – hanno tali iniziali in quanto il re in questione, con decreto 4419 del 1861 fondò la Regia Marina, e nel 1865, con decreto 2438, il Corpo della Capitaneria di Porto accorpato poi alla Regia Marina nel 1923; credo – altrimenti attenti collezionisti ne disquisiranno – che esse appartengano proprio ad ufficiali di questo corpo. Il valore sarebbe sui 100/150 euro, ma le sue, essendo ancora in scatola originale della Guglielmo Manucci di La Spezia (cm 17,5×13,7 h 24), ditta che le fabbricò, arrivano ai 250/300 euro.


Signor Marco Cupellaro, lei manda in visione una bolla pontificia di Pio IX (Mastai-Ferretti 1846-1878), Papa che ad oggi detiene il più lungo pontificato della storia: 31 anni, 7 mesi, 23 giorni e da ciò consegue che di bolle ne abbia prodotte abbastanza. Per questo motivo, dal punto di vista collezionistico il loro valore – a meno che non si parli di quelle contenenti atti di rilevanza – è contenuto sui 400 euro. Inoltre il suo esemplare, a vista, non sembra essere in stato ottimale, quindi sui 300/350 euro.
Lei manda in visione anche la copertina del libro di Gabriele D’Annunzio; anche qui le condizioni non sono buone e, avesse anche il testo (Edito da Pizzi & Pizio Riovedi Milano nel 1921), il valore sarebbe sui 30/50 euro; in condizioni buone viene venduto nelle librerie specializzate anche online variegatamente, come oramai tutte le cose, dai 70 ai 150 euro.


Signora Carmen Casto, nonostante decenni e decenni di studi e di frequentazioni d’arte e antichità, ogni volta – e di fronte a tante tipologie di oggetti – mi sento sempre un asinaccio e mi par di ben poco sapere; lasci perdere poi lo scrivere: sono un affabulatore di bocca e di penna ed ho un variegato lessico con cui colmo le mie sostanziali lacune.
Riguardo il suo grande vaso antropomorfo (cm 53) non credo sia manufatto dei Toso, per via della firma incisa con un comune vibratore elettrico da ferramenta, ma la famiglia si è talmente divisa nei suoi componenti che è impossibile per chiunque definirli e riconoscerli tutti, anche perché taluni di essi si sono specializzati nel riprodurre, pedissequamente o meno, tante opere del passato glorioso dei loro avi o parenti. Per la grandezza e la non disdicevole fattura, direi sui 500 euro.


Dott. Giorgio Montanari, debbo dirle subito che il suo candeliere con puttini (cm 30) non può affatto appartenere alla Real Fabbrica di Porcellane di Meissen: la composizione e la stesura plastica corrispondono a canoni ben più modesti, penso ad una delle tante fabbriche di Dresda (come risposi alla lettrice Danila Ferrari nel mese di maggio dell’anno passato) oppure anche alla Wallendorf oppure alla Wolkstedt nella Turingia. Il valore è sui 150/200 euro.
Riguardo agli angioletti (cm 25), essi vengono definiti “mortuari” da pendant a lapidi casalinghe o cimiteriali, una tipologia prodotta e riprodotta nei secoli. I suoi esemplari nello specifico mi sembrano avere un’aria novecentista per quella vaghezza – e cuoricino abbinato – nei loro volti. Valore, 120 euro la coppia.


Signor Marco M. fedele corrispondente, il suo dipinto (cm 29×47) attribuibile all’opera di Giovanni Trussardi Volpi (1875-1925) è stato purtroppo malamente tagliato (e incollato poi su compensato!). Cosa vuole le dica…, già l’autore, morto prematuramente in gloria artistica, non ha avuto in seguito quei successi economici dovutigli nel mercato, se a questo poi ci aggiunge che la tela è mutila di corpo e di firma, non si può che attribuirle un valore di 300/400 euro al massimo.
Riguardo il pastello su carta (cm 50×65) firmato A. Beltrame, è chiaro che ad onta di quella data che sembrerebbe un “72” ma potrebbe essere altro, il taglio e la firma stessa potrebbero attanagliarsi all’Achille Beltrame (1871- 1945) grande illustratore (le copertine mirabili in decine di anni della Domenica del Corriere) e valido pittore, ma…, ma vi sono pure tanti dubbi, compreso quello riguardante la stesura grafica non proprio attinente alla cifra stilistica dell’artista. Non potendo ascrivere l’opera ad alcun altro a me noto, la valuterei, come buon lavoro, sui 400 euro nello stato in cui si trova, ma avrebbe bisogno di altra disamina “de visu”.


Dottoressa Daniela Daniele, rispondendo a lei mi rivolgo anche ai signori Bonavita e Festa. Le litografie, tanto tempo fa, erano numerate singolarmente e realizzate con processo di incisione su lastre di zinco, piombo, pietra, legno (xilografie) e linoleum, e impresse, torchiate, a mano. Oggi invece, addirittura si utilizzano macchine tipo stampa a impressione di colore, e si raggiungono “tirature” di migliaia di esemplari. Una volta, la lastra originaria, raggiunti gli esemplari certificati, veniva “biffata”, cioè annullata cancellandola con bulino oppure veniva distrutta, oggi… neanche si sa se esista una matrice originaria. Ma, e al di là di ciò, nel mercato le uniche lito che valgono sono, e solo, quelle associate ai nomi di grandi autori e maestri ma…, ma devono anche avere le fatture e una documentazione ben precisa dei passaggi nel tempo, e cioè di esse si deve sapere quando sono state acquistate, dove e da chi, e questo perché eredi, gallerie aventi diritto o meno, continuano a stampare (questo il termine esatto) migliaia di copie, una volta vendute a prezzi esorbitanti (fu chiamata la grande truffa delle litografie), e adesso, accontentandosi, a qualche centinaia di euro ed anche meno. Naturalmente, non valgono nulla, a meno che non siano incorniciate, e allora qualche decina di euro si possono rimediare. Ciò, come detto, vale per le “grandi firme”, si figuri per le lito – pur piacevoli – che possiede lei, cara dottoressa, i cui autori sono pressoché sconosciuti nel mercato e in più sono falsamente certificate da un “Istituto d’arte per la grafica d’autore” (anch’esso sconosciuto a me ed ai miei prontuari nel tempo), senza timbro, né data, né indirizzo e a firma di un “nessuno” che certifica addirittura la tiratura complessiva di 6 opere (??).


Signor Enzo Tartagni fedele lettore, le do una bella notizia: il vaso di famiglia lasciatole dai suoi genitori non è degli anni 60, ma bensì del periodo 1912-1928, come dal marchio della Regia Scuola di Faenza fondata e riconosciuta nel 1925 da Gaetano Ballardini (1878-1953), grande ceramista e ceramologo, ideatore del prestigioso Museo della Ceramica di Faenza nel 1908. Se integro vale sui 2.000/2.500 euro!


Il signor Luciano Bruschi manda in visione uno “strappo” o ritaglio di quadro attribuibile (da scritta posteriore e da una certa affinità con l’opera del pittore sabino) a Girolamo Troppa (1636 + dopo il 1706); restaurato in conservativa, cioè senza integrazioni, e nel cattivo stato in cui fu reperito, purtroppo, vista l’unica cattiva immagine inviata, non mi consente ulteriore disamina. Che dirle…, fosse effettivamente del Troppa (cm 47×97) nell’attuale stato potrebbe valere sui 1.500 euro, altrimenti 400.
Il quadro (cm 49×37) della Madonna non ha, purtroppo, che canoni devozionali popolari e manca di pathos artistico. Opera forse tra 800 e 900, ne sconsiglio il restauro. Valore, sui 300 euro.


Signor Giuseppe Facchini, piano o pianola meccanica a gettone (cm 142×155) che sia, dell’800 o dei primi del 900, è indifferente per la valutazione monetaria. Il fatto è che per valutare lo strumento appieno, e considerando che la ditta trascritta sia solamente una sconosciuta importatrice o un’assemblatrice, bisognerebbe osservarne il meccanismo interno e provarne la funzionalità. Tali strumenti sono delicati e con il passare degli anni le ossidazioni e le usure (quelle degli “spinotti” dei cilindri soprattutto) li rendono bisognosi di cure e di costose revisioni, dato che sono pochi i professionisti artigiani del ramo. Nello stato di non funzionante, e a corpo, il suo esemplare potrebbe valere sui 600/800 euro, fosse in condizioni migliori, e variegatamente, dai 1.000 ai 2.000 euro.


Signor Antonio Guarnotta da Anzola dell’Emilia (Bo), il suo servizio incompleto (5) da caffè marcato MAP, prestigiosa ditta pesarese fondata nel 1915 dal Maestro Ferruccio Mengaroni (1875-1925), risale agli anni 40 del 900 e potrebbe valere nello stato in cui è sui 60/80 euro. Scomponendo il servizio invece: 10/15 euro una tazzina e piattino, 30 la zuccheriera e 50 la caffettiera.
Il quadretto (cm 35×25) acquisto della sua nonna è purtroppo opera di mero valore arredativo dei primi del 900; vale poco, e sarà bene che lo tenga gelosamente come piacevole ricordo.


Signor Marco Ricci, non dispongo attualmente di notizie sulla ditta Siap produttrice della sua salsiera, le posso però senz’altro dire che non è in argento ma probabilmente in alpacca (zinco-nichel-rame ) o “argentone tedesco”, e che forse è stata argentata galvanicamente. La scritta “Italia” è comune alle dotazioni di tanti alberghi che servivano personalità importanti e di regime nel periodo sabaudo del primo 900. Stento a crederla appartenuta a Mussolini in persona poiché avrebbe dovuto avere i rituali e ripetuti “fasci” a cui il dittatore teneva molto. Ma, e al di là di questo, le cose di interesse storico collezionistico, per essere reputate tali e di valore, devono avere una ben verificabile documentazione annessa altrimenti valgono, e solo, per le loro estrinseche caratteristiche esteriori. Pertanto, la sua salsiera potrebbe valere sui 120/150 euro al massimo.


Signora Carla Manganelli da Genova, lei può apprendere da me, ma anche io da lei. Da come scrive, evidentemente è una restauratrice e certamente è a contatto diretto con la materia. Io le posso dire che a prima vista sicuramente la zuppiera (cm 20×12), sui tipi come giustamente scrive “pseudo Tobacco Leaf”, non può essere ascritta alla ceramica cinese, sia pur d’esportazione, e neanche alla Mottahedeh che a volte tendeva a fare prodotti più “raffinati” del dovuto della produzione originale (a carissimi prezzi) o a fabbricare pedissequamente su ordinazione di scaltri antiquari veri e propri falsi. Riguardo al piatto (46 cm) invece, io come lei lo ascriverei proprio a manifattura “blue Canton” da esportazione. Ciò che non le posso proprio dire sono le valutazioni, che oramai tali oggetti vengono trattati secondo la tipologia della materia, secondo chi li vende e dove, e secondo chi li compra e quando. Gli unici riferimenti economici provengono dalle aste, io però li ho sempre considerati aleatori per loro natura, riportando parametri variegati di stima e di risultati, come del resto verificabile. In più lei mi riferisce di riparazioni e difetti che vanno osservati e computati. La ringrazio per la continua lettura del mio operato, un abbraccio.


Signor Alberto Vinci simpatico e arguto lettore, purtroppo i suoi quadri a firma Bach (cm 40×30) e a firma illeggibile (cm 47×45), ma da gettare subito, sono di nessun valore monetario. La litografia (cm 20×26) del maestro Mino Maccari (1898-1989), non numerata, siglata p.d.A (prova d’autore), è sicuramente spuria, ma comunque magari potrebbe spuntare 50 euro tra gli ignari.


E come sempre, un saluto a tutti e un abbraccio ai pochi.